Adriana Lecouvreur (Cilea)

cd, dvd, live, discografie

Moderatori: DocFlipperino, DottorMalatesta, Maugham

Re: Adriana Lecouvreur (Cilea)

Messaggioda mattioli » ven 27 set 2013, 17:18

Cari miei,

invece dei consueti idealismi bello o brutto, poesia o non poesia, capolavoro o non capolavoro (che vuol dire?), non sarebbe meglio chiedersi se queste opere abbiano o no un senso OGGI? Se tutto un repertorio è scomparso dai cartelloni e i tentativi di rianimarlo non hanno molto seguito (non è che all'Adriana all stars di Londra sia seguita un'ondata di Adriane in giro per il mondo), se la gente preferisce fare a cazzotti per ascoltare Handel piuttosto che Cilea (non in Italia, ovviamente, ma l'Italia non conta) una ragione ci sarà, non credete? E non perché le opere di Handel siano più "belle" di quelle di Cilea (hai voglia!), ma perché le prime "parlano" al nostro tempo, le seconde no. Poi so bene che nelle discussioni artistiche i fatti non contano, ma restano comunque fatti.
Beninteso, il fatto che io odi Adriana non c'entra nulla con queste valutazioni :mrgreen: ...

Baci baci
AM
Twitter: @MattioliAlberto
mattioli
 
Messaggi: 1100
Iscritto il: mer 09 dic 2009, 19:09

Re: Adriana Lecouvreur (Cilea)

Messaggioda mattioli » ven 27 set 2013, 17:24

Statistica operabase:

Handel è l'ottavo operista più rappresentato, Britten il 13esimo, Janacek il 17esimo. Leoncavallo è il 19esimo e Mascagni il 21esimo. Cilea è al 64esimo posto, preceduto anche da Monteverdi (29esimo), Vivaldi (45esimo), Rameau (47esimo) e Lully (63esimo). Anche solo vent'anni fa, sarebbe stato impensabile, non trovate?

AM
Twitter: @MattioliAlberto
mattioli
 
Messaggi: 1100
Iscritto il: mer 09 dic 2009, 19:09

Re: Adriana Lecouvreur (Cilea)

Messaggioda VGobbi » ven 27 set 2013, 20:25

Io non pensavo che i Rameau, Haendel, addirittura Monteverdi fossero statisticamente tra i compositori più rappresentati.

Sul duo Cav&Pag, per me sono due grandissimi capolavori. Amo tantissimo Sinopoli (cos'è il suo Puccini in mano sua e dire che il lucchese non rientra certo tra i miei preferiti!!!), credo che la segnalazione di Maugham sul Sinopoli verista non vada per nulla trascurata. Devo rimediare al più presto ...
Nemmeno noi siamo d'accordo con il gobbo, ma il gobbo è essenziale! Guai se non ci fosse!
Avatar utente
VGobbi
 
Messaggi: 2455
Iscritto il: gio 05 apr 2007, 20:49
Località: Verano Brianza

Re: Adriana Lecouvreur (Cilea)

Messaggioda mattioli » ven 27 set 2013, 20:53

credo che la segnalazione di Maugham sul Sinopoli verista non vada per nulla trascurata


Nulla di quel che dice il Divino : King : va trascurato. C'è gente che si annota tutto quel che Egli dice, come faceva Katharina von Bora...
Resta il fatto che nemmeno l'interesse di grandi direttori ha potuto risollevare questo repertorio.

AM
Twitter: @MattioliAlberto
mattioli
 
Messaggi: 1100
Iscritto il: mer 09 dic 2009, 19:09

Re: Adriana Lecouvreur (Cilea)

Messaggioda DottorMalatesta » ven 27 set 2013, 21:38

Caro Alberto,
grazie per averci invitato a considerare la questione da un'altra prospettiva.
Come amo ripetere, un solo punto di vista è la vista di un solo punto.
Mentre tu te ne stai sul divano a guardare Masterchef : Chef : io provo a dirti come la penso (e spero di riuscirci).

Come spiegare che Handel o Monteverdi sono più rappresentati di Cav&Pav? Forse perché la gente nel 2013 fa la coda per un Giulio Cesare e diserta Cav&Pav? Perché il pubblico di oggi preferisce e si rispecchia in opere scritte secoli e secoli fa, anzichè preferire e rispecchiarsi in opere scritte "appena"cento anni fa?

E ancora: è la domanda che crea l'offerta o l'offerta che crea la domanda?

Mi spiego meglio: Alberto scrive che l'Adriana all-stars della ROH è stato qualcosa di isolato, cui non è seguita una ripresa di quest'opera nei cartelloni di tutto il mondo. Verissimo. Però, metti caso che, magari per pura coincidenza, in un altro dei teatri più importanti del mondo anche un altro dei registi più affermati (e capaci di far dialogare un'opera concepita un secolo fa con il mondo di oggi) metta in scena l'Adriana... Che succederebbe? Probabilmente i giornali specializzati e i fora sul web comincerebbero a parlare sempre più di quest'opera di Cilea, aumenterebbe la curiosità da parte del pubblico e della critica, e magari a qualche altro teatro più o meno importante verrebbe l'idea di mettere in scena l'Adriana, e così via in un crescendo di rinata popolarità per questo titolo dalla drammaturgia -ammettiamolo- piuttosto demodé :mrgreen: .
E in questo caso sarebbe l'offerta che crea la domanda.

Prendete l'esempio della "Handel renaissance". Si comincia a rappresentare Handel con frequenza sempre maggiore a partire dalla seconda metà degli anni '80. Bene, proprio in quel periodo, l'enfant terrible della regia operistica di allora, Peter Sellars, mette in scena dapprima il Giulio Cesare e poi Theodora (un oratorio, nientemeno! :shock: ). Successo clamoroso, cui seguono video, discussioni, dibattiti, e riprese di questi e altri titoli handeliani da parte di registi importanti: Alden, Dew, Carsen... Handel viene riproposto nei teatri di tutto il mondo, e ad ogni rappresentazione seguono dibattiti, confronti, discussioni, ulteriori riprese e ulteriori nuove rappresentazion. Si riscoprono le sue opere, si incidono dischi, si fanno video... Fino ad arrivare a scoprire che Handel ha soppiantato Cav&Pav. Bene, in questo revival di Handel mi sembra abbia avuto un ruolo centrale proprio la regia d'opera, che ha saputo riproporre Handel (e la sua drammaturgia vecchia di secoli!) immergendola nelle inquietudini e nelle contraddizioni della vita contemporanea. Paradossalmente, il pubblico si è visto rispecchiato in queste opere vecchie di secoli e che trattano di divinità e di personaggi mitologici, perché queste opere vecchie di secoli venivano presentate con un linguaggio comprensibile al pubblico di oggi. E il pubblico ha capito che l'opera non è un polveroso manufatto, non è "roba per matusa", ma è specchio della contemporaneità. Questo è quanto è successo per le opere di Handel negli ultimi tre decenni. Per Wagner invece è stato così almeno a partire dal Ring di Chereau nel 1976, se non addirittura dalla fondazione delle "neue Bayreuth" nel 1951, se non addirittura dall'Olandese alla Kroll Oper nel 1929 8) . Oggi sembra incredibile, ma prima del 1951 per il festival di Bayreuth non era un problema trovare biglietti. :shock: Mentre sicuramente a partire dal 1976 ottenere un biglietto per il festival di Bayreuth è diventato impossibile :cry: :cry: :cry: . Dubito fortemente che la situazione sarebbe questa se, ancora oggi, a Bayreuth continuassero a rapprsentare il Parsifal "su cui il Maestro avevav posato i venerati occhi" come voleva la buon'anima di Cosima :mrgreen: . La regia d'opera ha mantenuto in vita Wagner. E Wagner è tuttora vivo e vitale. E il paradosso è che sono più vivi e vitali Monteverdi e Handel di Leoncavallo e Mascagni :mrgreen: !
Quello che si è verificato per Wagner, Handel, Janacek, Monteverdi (forse) potrebbe accadere anche per Cilea o per Puccini o per chi volete voi. Ma, a mio modo di vedere, la riscoperta o il successo di alcuni determinati autori d'opera deriva essenzialmente da come le loro opere vengono trasportate in scena. In questo riveste un ruolo fondamentale la regia d'opera (forse ancor più che le "star", i grandi cantanti, e ancor più che i grandi direttori, incluso il geniale Sinopoli). E' l'offerta (registica) a creare la domanda. E non viceversa.

Chissà... forse è così. O forse no.

Ciao!
DM
Un solo punto di vista è la vista di un solo punto
Avatar utente
DottorMalatesta
Moderator
 
Messaggi: 2696
Iscritto il: gio 12 lug 2012, 13:48

Re: Adriana Lecouvreur (Cilea)

Messaggioda mattioli » ven 27 set 2013, 22:07

E' l'offerta (registica) a creare la domanda. E non viceversa.


No. Non è né l'uovo che viene prima della gallina né la gallina prima dell'uovo.
E non è nemmeno questione (almeno, non del tutto) di scelte personali di grandi interpreti, direttori, registi o cantanti che siano.
E' la Storia che impone queste svolte. Sono le caratteristiche storiche, sociali, politiche, estetiche del NOSTRO presente che regolano le scelte che facciamo fra i reperti del passato. Paradossalmente, non è il passato che ci spiega il presente, ma il contrario. Perché il teatro è uno specchio, è lo specchio nel quale noi vediamo sempre e soltanto noi stessi. E quindi cerchiamo nei capolavori del passato quello che ci spiega. Mezzo secolo fa, Cilea era il presente e Handel il passato; oggi è il contrario, perché nelle caratteristiche di quel teatro e di quella musica troviamo noi stessi. In Cilea, semplicemente, no.
Per questo Cilea interessa a chi è spaventato dal presente e concepisce il teatro come il ritorno del passato, mentre Handel piace a tutti gli altri, a chi pensa che il teatro non sia un museo, ma un'espressione della contemporaneità: una delle tante ma, nonostante tutto, nonostante i secoli che ci separano, una delle più raffinate e delle più puntuali.
Quando uno storico racconterà la cultura dell'inizio del XXI secolo, dirà che era l'epoca in cui nei teatri si dava Handel, non Cilea.

Bene, e adesso torno a Masterchef.
Ciao miao bao
AM
Twitter: @MattioliAlberto
mattioli
 
Messaggi: 1100
Iscritto il: mer 09 dic 2009, 19:09

Re: Adriana Lecouvreur (Cilea)

Messaggioda DottorMalatesta » ven 27 set 2013, 22:58

Probabilmente hai ragione.
Durante il Romanticismo, di Mozart era sopravvvissuto solo il Don Giovanni (e pergiunta senza il coro finale!), mentre opere come Nozze e Così erano cadute nel dimenticatoio (per non parlare della Clemenza di Tito). E solo conoscendo la Storia (l'estetica, la politica, la società, la filosofia, la cultura di allora) questa selezione appare non solo comprensibile, ma "storicamente inevitabile"!! E forse è così anche oggi, il nostro presente regola le scelte dei repertori del passato.
Però...
Se Handel fosse sempre stato dato in regie alla Pizzi & merletti, forse ora non sarebbe all'ottavo posto nella classifica di Operabase...
Se Wagner fosse sempre stato dato in regie alla "Cosima", forse ora non sarebbe al quarto posto nella classifica degli autori più eseguiti (anche se Wagner è Wagner : Love : !)...
Se il Parsifal fosse sempre stato dato nell'edizione originaria del 1882, forse ora non sarebbe al 37° posto nelle opere più rappresentate al mondo...
Se non ci fosse stato il genio teatrale di una Callas forse Armida, Medea, Macbeth, Vestale sarebbero state riscoperte più tardi...

Quanti forse!!!!

Ciao!
DM


P.S.:
mattioli ha scritto:Nulla di quel che dice il Divino : King : va trascurato. C'è gente che si annota tutto quel che Egli dice, come faceva Katharina von Bora...


Io per primo.
Aggiungo faccina : Nar : altrimenti il Divino mi fulmina : Chessygrin :
Un solo punto di vista è la vista di un solo punto
Avatar utente
DottorMalatesta
Moderator
 
Messaggi: 2696
Iscritto il: gio 12 lug 2012, 13:48

Re: Adriana Lecouvreur (Cilea)

Messaggioda mattioli » ven 27 set 2013, 23:59

Wagner è sempre rimasto Wagner (come del resto Verdi) e nessuno si è mai sognato di toglierlo dal repertorio, benché le ragioni per cui ci è sempre rimasto siano state e siano, con il passare del tempo, molto diverse.
Io non nego l'importanza delle, passami l'espressione, personalità personali. Ma anche le loro scelte hanno una spiegazione eminentemente storica che le giustifica e le motiva, quantunque siano state talvolta fatte inconsapevolmente (per esempio quelle della Callas, che probabilmente non avrebbe saputo dire perché debuttava Medea o Anna Bolena. Siciliani o Visconti, però, sì). L'Handel di Pizzi aveva un senso negli Anni Ottanta, ma già un decennio dopo non esisteva più e oggi è ridicolo, benché forse lui e sicuramente quelli che ancora se ne beano non l'abbiano capito.
Ma sono cose ovvie, dette e ridette, e mi sono stufato di ri-ridirle.
Veniamo alle domande serie (e molto amletiche): andare o non andare a Ginevra, dove domenica l'Antonacci esegue (in forma di concerto, maledizione) il folle Sigurd di Reyer?
Buona notte

AM
Twitter: @MattioliAlberto
mattioli
 
Messaggi: 1100
Iscritto il: mer 09 dic 2009, 19:09

Re: Adriana Lecouvreur (Cilea)

Messaggioda DottorMalatesta » sab 28 set 2013, 13:49

mattioli ha scritto:Ma sono cose ovvie, dette e ridette, e mi sono stufato di ri-ridirle.


Alberto, sei peggio di un gesuita: se sai già le risposte perché fai le domande? : Sailor :

mattioli ha scritto:Per questo Cilea interessa a chi è spaventato dal presente e concepisce il teatro come il ritorno del passato, mentre Handel piace a tutti gli altri, a chi pensa che il teatro non sia un museo, ma un'espressione della contemporaneità: una delle tante ma, nonostante tutto, nonostante i secoli che ci separano, una delle più raffinate e delle più puntuali.
Quando uno storico racconterà la cultura dell'inizio del XXI secolo, dirà che era l'epoca in cui nei teatri si dava Handel, non Cilea.


Com’è arcinoto, il “repertorio” musicale nasce nel 1829, quando Mendelssohn riesuma la Passione secondo Matteo di Bach. E’ quindi un fenomeno relativamente recente. Forse troppo per capire appieno perché la Storia ha operato certe scelte.
Può essere facile capire perché i romantici abbiano scelto o escluso alcune opere ed autori. Ben più difficile, almeno per me, capire il perché di certe scelte oggi. Forse nel 2200 i musicologi e gli storici dell’interpretazione musicale riusciranno a capire perché nel 2013 si eseguivano con frequenza autori tra loro diversissimi per drammaturgia, estetica, e stile come Handel e Monteverdi, Janacek e Britten…
Onestamente però io fatico a capire perché il nostro presente operi determinate scelte. Forse è perché mi manca “la giusta distanza” (come nel film di Mazzacurati) per giudicare in maniera adeguata il perché di alcune scelte. Ci definiscono con maggiore accuratezza le scelte di inclusione o di esclusione dal repertorio? Noi siamo gli uomini che ascoltano Handel e Monteverdi, Britten e Janacek o piuttosto siamo gli uomini che non ascoltano Cilea? Probabilmente enttrambi, anche se non mi so spiegare perché preferire opere in ceco, od opere scritte secoli fa e che trattano di vicende mitologiche o personaggi dell'antichità piuttosto che sanguigne, passionali, terragne opere dalla trama ben più lineare, dalla musica più orecchiabile e dal linguaggio più comprensibile. Però so per certo che, oggi come oggi, mi affronterei un lungo viaggio e sarei disposto a spendere dei soldi per una Jenufa, un Turn of the screw o un Giulio Cesare, mentre non schioderei il sedere dal divano per andare a vedere Cav&Pav o Adriana Lecouvreur o Arlesiana (a meno che non ci sia un fior fior di cast o un regista di quelli veri). E so anche che, a meno di trovare una Cavalleria diretta da Sinopoli, preferirei comprare una decima versione di Jenufa che una decima versione di Cavalleria.

DM

P.S.: giustappunto, siccome non mi limito a prendere appunti quanto il Divino parla, ma ne seguo devotamente i consigli : Chessygrin : , oggi ho comprato la Cavalleria di Sinopoli (ma solo perché diretta da Sinopoli : Love : e soprattutto perché consigliata dal Divino : Sailor : )!
8)

mattioli ha scritto:Veniamo alle domande serie (e molto amletiche): andare o non andare a Ginevra, dove domenica l'Antonacci esegue (in forma di concerto, maledizione) il folle Sigurd di Reyer?


Conoscendoti sei già in aereo! : Thumbup :
Ti invidio!
Un solo punto di vista è la vista di un solo punto
Avatar utente
DottorMalatesta
Moderator
 
Messaggi: 2696
Iscritto il: gio 12 lug 2012, 13:48

Re: Adriana Lecouvreur (Cilea)

Messaggioda fadecas » sab 28 set 2013, 14:37

In questo thread affiorano spunti molto interessanti che vanno al di là del caso Adriana, alla cui riflessione spero di dare un piccolo contributo .. premettendo, per dichiarare la “parzialità” del mio punto di vista, che appartengo a quella parte di pubblico molto sensibile alla temperie di gusto sia naturalista- verista che protonovecentesca in genere, italiana e non.

E’ frequente il ricorso a prese di distanza da questo repertorio in base a valutazioni di “drammaturgia old style” (a prescindere dalle predilezioni personali per l’uno o l’altro titolo o compositore), che fa il paio con il giudizio espresso da Mattioli sulla non-rispondenza alle inquietudini e alle contraddizioni del nostro tempo, esemplificate meglio da tutta un’altra linea che parte da Monteverdi e Händel e arriva fino a certi compositori del ‘900 (Britten?) saltando certi altri …

Faccio fatica ad inquadrare e a sottoscrivere l’”alterità” dei compositori italiani fine ‘800 se non pensando al peso condizionante – non importa se consapevole o meno – di certe pregiudiziali ideologiche ed estetiche che negli studi musicologici ma anche critico-letterari si sono assommate nel corso della seconda metà del sec. XX concorrendo alla stigmatizzazione di questo repertorio: lo storicismo in tutte le sue varianti (idealista e marxista) ha denigrato queste opere in quanto “fuori dal loro tempo”, espressione di una mentalità e di un gusto piccolo borghese attardato e misoneista, sostanzialmente un fenomeno di “paraletteratura” prima che nascesse in ambito letterario un modo meno spocchioso di approcciare anche questi fenomeni (cosa che dagli anni ’80 in poi è avvenuta in pieno, almeno per la critica letteraria).
Un esempio classico perfettamente coerente, fra l’altro di lettura scorrevole e gustosissima, è il “vecchio” libello di Rubens Tedeschi “Addio, fiorito asil” (Milano, Feltrinelli, 1978) che passa al setaccio sia dal punto di vista drammaturgico che da quello musicale tutta la produzione melodrammatica dalla Scapigliatura al verismo fino al postverismo di alcuni esponenti un po’ meno facilmente classificabili di quella temperie (Smareglia e Zandonai, che per certi versi anticipano la generazione degli ’80, quella di Respighi e Malipiero …) ironizzandone le assurdità gli eccessi le incoerenze fino a condannarla ad un generale naufragio con scarsissime eccezioni (anche Puccini ne esce con le ossa rotte).

A questo giudizio si è aggiunta l’aggravante della contiguità con il fascismo di alcuni di questi esponenti, nella fase tarda ed estrema della loro vita, quando la loro parabola creativa era comunque in via di esaurimento. Accusa che, per altro, è stata formulata anche nei confront i dei musicisti della generazione successiva, che negli anni ’20 –’40 raggiungevano il vertice delle rispettive produzioni.
Anche in questo campo, l’esaurirsi progressivo dei vari “ismi” del secolo scorso dovrebbe avviare ad un approccio un po’ meno fazioso, ad una riflessione meno condizionata.

Siamo sicuri , inoltre, che non nuoccia ad una comprensione meno pregiudiziale dell’opera italiana da Cavalleria in poi il tranello di prendere per autentico – e quindi di demistificare in quanto non riuscito - il programma drammaturgico, questo sì ingenuo e caduco in quanto strettamente figlio di quel momento storico, sbandierato dai manifesti quali Cavalleria e Pagliacci, quello cioè di voler copiare o rispecchiare il “vero” sostituendolo ad una presunta aulicità della tradizione precedente? Se l’equivoco è solo questo, un secolo e più di lontananza da quella dimensione sociale, culturale e ideologica in cui quelle opere sono nate non dovrebbe essere sufficiente per neutralizzare quell’ingenua pretesa e assumere l’universo dei compositori veristi e post-veristi (le coltellate di Tonio e di Turiddua, i salotti e i samovar di Fedora ecc.) con la medesima neutralità con cui ci accostiamo alle streghe del Macbeth e ai banchetti di Don Giovanni?

Forse non è del tutto sbagliata l’idea che il fattore che potrebbe fare la differenza sia proprio la genialità di un regista e/o di un interprete in grado di illuminare questo repertorio di luce completamente nuova.

Se rileggete alcuni spunti molto acuti dell’articolo di Matteo Marazzi attualmente in homepage su alcune intuizioni espressive della Kabaivanska nel fare proprio un repertorio di Adriane e di Francesche – sia pure 20,30 anni fa e non oggi, ma probabilmente ancora senza eredi – avete un esempio di come anche nell’accostamento a queste opere una nozione diversa potrebbe nascere, in presenza di proposte interpretative radicalmente nuove; e chi lo dice che il nostro tempo lo debba precludere?

Un saluto, Fabrizio
fadecas
 
Messaggi: 66
Iscritto il: gio 05 apr 2007, 21:53
Località: Trieste

Re: Adriana Lecouvreur (Cilea)

Messaggioda mattioli » sab 28 set 2013, 16:33

Mamma mia, ho suscitato un vespaio :oops: . Riprovo a spiegarmi.
La mia opinione non è affatto un giudizio estetico né storico. Intanto perché, come Fadecas sa (anche perché ho l’impressione che conosca questo repertorio molto meglio di me), l’opera italiana post-Cavalleria è un fenomeno molto complesso, fatto di tendenze diverse e talvolta contraddittorie, quindi è un po’ difficile riassumerlo in un minimo comun denominatore: quello usato di solito, il Verismo, mostra subito la corda. E poi perché, almeno qui, non sto discutendo degli esiti estetici, delle debolezze drammaturgiche, delle compromissioni con il fascismo (che ormai non dovrebbero più essere motivo di ostracismi, mi pare), dei giudizi della critica e degli ideologismi, di cui il libro di Tedeschi è una delle dimostrazioni più brillanti benché più faziose, o forse proprio per questo.
Lo ripeto. Non sto discutendo il passato, sto discutendo il presente. E, visto che è incontrovertibile, perché ho citato delle statistiche che lo sono, che dal repertorio è sparita tutta una fetta della storia dell’opera mentre ne è ricomparsa un’altra, mi chiedo perché. Non se quell’Atlantide sommersa fosse bella o brutta, ma se è vitale nel nostro tempo, se siamo in grado di riconoscerci in lei, se ci dice qualcosa, se, insomma, ha l’unica caratteristica che si chiede al teatro, anche (e forse soprattutto) quello del passato: di parlare al presente.
Proprio Puccini è la cartina di tornasole. Puccini continua a essere uno degli operisti più rappresentati del mondo e non solo perché, dal punto di vista musicale e drammaturgico, è abissalmente superiore ai vari Cilea, Giordano, Mascagni, Leoncavallo e via elencando (IMHO, ovvio), ma soprattutto perché nelle sue opere ritroviamo molte delle inquietudini, delle nevrosi, delle ambiguità di oggi. Tutto quello che non trovo in Adriana Lecouvreur o, per citare un’altra opera che detesto, in Andrea Chénier, che mi fanno l’effetto di sbiadite stampe d’epoca che è gradevole sfogliare perché piacevano tanto alla povera zia, ma non mi fanno per nulla palpitare (come giustamente diceva il Dottore: mai prenderei un aereo per un’Adriana, ne ho presi molti – forse troppi – per un Rinaldo o una Semiramide o un Billy Budd, per tacere degli evergreen Wagner e Verdi).
Mah, scusate la lenzuolata.
Buon week-end

AM

PS1: sulla Kabaivanska non la penso come il GM e d’altronde, benché l’abbia molto stimata, ho sempre pensato che proprio lei fosse la dimostrazione vivente e cantante di quella mutazione del gusto che ho cercato di illustrare sopra;
PS2: caro Dottore, per andare a Ginevra da Parigi bastano tre ore di Tgv. Però domenica ci sarebbe anche un’Armide ad Amsterdam… Che incertezze...
Twitter: @MattioliAlberto
mattioli
 
Messaggi: 1100
Iscritto il: mer 09 dic 2009, 19:09

Re: Adriana Lecouvreur (Cilea)

Messaggioda DottorMalatesta » sab 28 set 2013, 16:46

Fabrizio,
scrivi delle considerazioni davvero molto interessanti.
Sarebbe curioso sapere come, nel resto del mondo, vengono viste le opere del primo novecento italiano.
Forse da noi "certe pregiudiziali ideologiche ed estetiche negli studi musicologici ma anche critico-letterari" sono più forti che altrove...
Però non mi sembra che, anche altrove, si stia assistendo ad un revival di autori del primo novecento italiano.
Forse perché se queste opere non vengono riprese nel paese in cui nacquero, difficilmente troveranno la loro strada altrove.
Circa il ruolo degli interpreti e delle grandi personalità nel recupero e nella riscoperta di autori più o meno dimenticati, mi viene in mente che fino a quando Karajan, già direttore celebratissimo e "iper-massmediatizzato", non decise di accostarsi a Puccini imponendolo anche a costo di creare qualche malumore e di vincere ataviche diffidenze e resistenze (come accadde quando diresse Boheme alla Staatsoper di Vienna), questo autore veniva eseguito (ed inciso) quasi esclusivamente in Italia... Su Puccini, in area germanica pesavano enormi diffidenze e resistenze di varia natura (ideologica, culturale, estetica, linguistica, politica): ricordate il giudizio sprezzante di Mahler a proposito di Tosca?
Per chi non se lo ricordasse:


Ieri sera dunque sono stato a vedere la «Tosca» di Puccini. Esecuzione ottima sotto ogni punto di vista, si resta veramente strabiliati di trovare qualche cosa di simile in una città austriaca di provincia. Ma l'opera! Nel primo atto solenne processione con un continuo scampanio (le campane si sono dovute far venire dall'Italia). Nel secondo atto un tale viene torturato tra urli orrendi e un altro pugnalato con un acuminato coltello da pane. Nel terzo atto di nuovo immenso scampanio su una veduta di tutta Roma dall'alto di una cittadella - di nuovo un'altra diversa serie di campane - e un tale viene fucilato da un plotone di soldati. Prima della fucilazione mi sono alzato e sono andato via. Non occorre aggiungere che il tutto è messo insieme come sempre con abilità da maestro; al giorno d'oggi ogni scalzacane sa orchestrare in modo eccellente


Bene, mutatis mutandis, ora vi domando: quante diffidenze e resistenze pesano su Wagner (dico, Wagner! :shock: ) in Italia ancora oggi? Vogliamo ricordare le polemiche a tal proposito per l'apertura della scorsa stagione scaligera?

DM

P.S.: Delle polemiche circa l'opportunità di inaugurare la stagione scaligera con il Lohengrin se ne occupò perfino il The Wagner Journal (in un saggio a firma di Emanuele Senici pubblicato nel numero di febbraio 2013).

Vi riporto un brano tratto da quel saggio:

For many years the Scala season has opened on 7 December, the name day of St. Ambrose, Milan’s patron saint. Until a couple of decades ago no opera was performed in the theatre between June and this date, and la prima della Scala, as it is generally referred to, used to be a huge social and cultural event in Italy, discussed weeks in advance in newspapers and on television. Between 1976 and the late 1980s it was broadcast live on national television, a practice that has recently been resumed thanks to the arrival of digital TV and its niche channels (in this case Rai5, roughly the Italian equivalent of BBC4). Although it still makes the evening news, and national newspapers generally dedicate a few pages to previews and one to reviews (not only of the performance, but also of the outfits worn by the socialites and politicians who attend it), there is no doubt that the media prominence of la prima della Scala has declined in recent years, and with it, of course, its socio-cultural impact.
In early November, Sette, the weekly magazine of the most widely read Italian daily, Il corriere della sera (probably the closest Italy comes to the London Times), published a thirteen-page multi-article section on La Scala’s decision to open the season with Wagner. The tone was set by the title of the opening article, ‘La prima without Verdi: a mistake for both Milan and Italy’. It is not worth describing the contents in detail, apart from noting that an obvious reason behind the attempt to unleash a media storm was to promote the new production of Simon Boccanegra which would open the season of the Rome Opera on 27 November under the baton of Riccardo Muti (Muti was thrown out of La Scala, after almost twenty years as music director, in 2005, and has since found a welcoming new home in Rome; it is well known that he successfully demanded that the Roman season opening night be moved from January to late November or early December – the words ‘steal La Scala’s thunder’ do come to mind). What is interesting is that the debate basically failed to catch fire. The only prominent symptom of its impact was a letter by the classical-music-loving president of the republic, Giorgio Napolitano, to Daniel Barenboim, explaining that he would not attend la prima because of the particularly difficult political moment, and not because he would have to hear Wagner rather than Verdi: ‘I consider any debate about the order of priority in celebrating the Verdi and Wagner anniversaries totally futile, and I consider it rather pathetic to dig up oppositions that inflamed lovers and supporters of Verdi’s and Wagner’s art in the second half of the 19th century, and that even vaguely evoke the language of national antagonism.’ Indeed, the president’s letter struck many as not really necessary, given the relatively limited attention that the debate had attracted over the previous weeks.
It seems obvious that Il corriere della sera and the few other publications that took its bait were hoping to bank on a, shall we say, less-than-universally-shared love of Germany in the face of the tough economic measures imposed by a German-led EU on a group of nations insultingly referred to as PIIGS (Portugal, Ireland, Italy, Greece, Spain). Richard Wagner = Angela Merkel might have indeed crossed some minds. If so, though, it did not stick. While opera lovers unanimously distanced themselves from the terms of the debate (at least those making their voices heard on internet forums: see, for example, http://www.operaclick.com [e che, noi di Operadisc no?! : Andry : ]), the impression was that the majority of Italians responded with either ‘Wagner who?’ or ‘Who cares?’, thus making plain the vastly diminished hold that opera now has on the national imagination. The attitude of Il corriere della sera, then, can be likened to a sort of magical thinking, pretending, in the face of ample evidence to the contrary, that opera still matters for Italian society in the way that it did until a couple of decades ago. Perhaps less surprising is the readiness of some foreign newspapers, including a few British ones, to pick up the story: it is always comforting when stereotypes about foreigners – in this case opera-mad Italians – can be confirmed.
But the case failed to resonate not only because opera matters less to Italians than it used to, I would suggest. Nationalism also seems a compromised discourse, or at least one in quick and bewildering evolution. To mention just one telling case, in the face of the decidedly cool attitude on the part of the Berlusconi government (which included the fiercely regionalist Lega Nord) towards the celebrations of the 150th anniversary of Italian unification in 2011, singing the national anthem became ‘una cosa di sinistra’, a left-wing thing to do, as a colleague of mine said to me – to her astonishment. She told me how nonplussed she felt at finding herself doing it, and with some gusto, at a faculty senate meeting of an Italian university, as a sign of protest against the cuts to higher education on the part of the government. The colleague in question has been a leftist all her life, and would never have dreamed of finding herself singing the national anthem until a couple of years ago. If indeed Richard Wagner = Angela Merkel, the thought of Wagner taking over from Verdi might even have seemed comforting to some.


L'ultima frase è lievemente sciovinista :roll: però... meditate gente, meditate!
Un solo punto di vista è la vista di un solo punto
Avatar utente
DottorMalatesta
Moderator
 
Messaggi: 2696
Iscritto il: gio 12 lug 2012, 13:48

Re: Adriana Lecouvreur (Cilea)

Messaggioda pbagnoli » sab 28 set 2013, 17:08

mattioli ha scritto:Proprio Puccini è la cartina di tornasole. Puccini continua a essere uno degli operisti più rappresentati del mondo e non solo perché, dal punto di vista musicale e drammaturgico, è abissalmente superiore ai vari Cilea, Giordano, Mascagni, Leoncavallo e via elencando (IMHO, ovvio), ma soprattutto perché nelle sue opere ritroviamo molte delle inquietudini, delle nevrosi, delle ambiguità di oggi. Tutto quello che non trovo in Adriana Lecouvreur o, per citare un’altra opera che detesto, in Andrea Chénier, che mi fanno l’effetto di sbiadite stampe d’epoca che è gradevole sfogliare perché piacevano tanto alla povera zia

Verità drammatica.
Ecco, credo che quello che ci hanno insegnato anni di riflessioni sulle regie sia proprio la ricerca della verità drammatica.
Cosa che - evidentemente - non c'è nei lavori di cui parla Alberto.
Anch'io la penso come lui; con un minimo in più di bonomia perché in fondo la musica è molto bella, ma con la stessa sostanza.
Nessuno di noi crede alle esasperate tirate di Adrianamelpomeneioson e alla sua storiellina interrotta da un veleno nascosto nei fiori.
Nessuno di noi pensa veramente che Carlo (Carlo!) Gérard possa decidere di non farsi la polposa Maddalena solo perché lei fa riferimento alla mamma morta.
Ora, se non c'è riuscito una vecchia volpe come McVicar a dare polpa drammatica a Adriana, credo che non possa riuscirci nessuno, forse nemmeno Jones.

Quella del Barocco, invece, è stata ed è ancora in parte terra di conquista.
Ambiguità, doppiezza, scavo musicale anche con incursione in territori estremi che tanto spiacciono ad alcuni musicisti: mi viene da pensare a una recente tirata di Federico Maria Sardelli su Facebook contro quelli che cercano sonorità heavy in Vivaldi. A me è sembrato un attacco contro Spinosi che - di questa particolare corrente - è fra gli esponenti più estremisti, ma non è l'unico; ad ogni modo è l'espressione di una diatriba fra apollinei e dionisiaci che movimenta un repertorio ancora in parte da scoprire.
Può darsi che ci sia una certa ruffianaggine nei dischi di Cecilia Bartoli, ma è una che esperimenta con Caldara, Araja e Steffani.
E il tutto senza parlare di regia! Pensiamo per esempio alla libera rivisitazione drammaturgica del Messiah di Haendel da parte di Guth!
Il Barocco in musica - pur più lontano a noi nel tempo - ci ha evidentemente permesso di creare un linguaggio drammaturgico ex novo, cosa che invece non ci è permessa con questa libertà in altri ambiti.
Non so, io la vedo così
"Dopo morto, tornerò sulla terra come portiere di bordello e non farò entrare nessuno di voi!"
(Arturo Toscanini, ai musicisti della NBC Orchestra)
Avatar utente
pbagnoli
Site Admin
 
Messaggi: 4006
Iscritto il: mer 04 apr 2007, 19:15

Re: Adriana Lecouvreur (Cilea)

Messaggioda fadecas » sab 28 set 2013, 17:41

Per Mattioli:
certamente la storia dell’opera italiana fra ‘800 e primo ‘900 è molteplice e contraddittoria, forse solo molto sommariamente schematizzabile nel filone verista (in cui includo Puccini in questo momento soprattutto per comodità di ipotesi di lavoro) e nel filone dannunziano-estetizzante (Pizzetti, Respighi, Malipiero, Busoni, Casella), dove lo spartiacque fra i due è dato soprattutto dalla diversa appartenenza generazionale dei due blocchi, atteso che il secondo, prendendo l’avvio da una temperie culturale più novecentesca, ha conosciuto in certi casi evoluzioni molto diverse. E ci sono poi i musicisti a cavallo fra i due (i citati Smareglia e Zandonai, ad es., ma includiamo anche l’approccio di un Macagni maturo- cfr. Parisina - a un linguaggio che ha più di qualche contiguità con quello dei musicisti più giovani).

Però il denominatore comune, a giudicare dall’oggi, sta proprio … nella rimozione, nella quasi scomparsa dalle scene teatrali dei lavori sia della prima che della seconda onda, e di quella di mezzo. La differenza è che mentre l’opera della generazione dell’80 non ha mai preso saldamente il piede nel repertorio nel corso del ‘900, anche se IMHO la rivisitazione di certi titoli potrebbe dare luogo a grandi sorprese (è un parere personale, ma credo che ad es. l’Orfeide di Malipiero, nel suo genere, non abbia nulla da invidiare ai grandi lavori compiuti del XX secolo),l’opera verista era entrata per lunghi decenni a far parte del canone dello spettatore medio, Adriana come Chenier come Francesca facevano parte delle sue coordinate di ascolto, e poi, a poco a poco, la loro presa si è estinta né si è sentita la necessità di ravvivarla.

Sospetto che una certa animosità un tantino sprezzante che riaffiora a tratti anche in queste discussioni sia il frutto di una contrapposizione generazionale che ha fatto sì, e più che legittimamente, che il pubblico delle scene d’opera degli ultimi decenni abbia inteso circoscrivere il suo ambito di scelte e di preferenze, con relative riscoperte di repertori come i barocco – e, qualche decennio prima, il primo ‘800 a tutto tondo) ponendosi contro i clichet dei melomani di decenni e decenni prima; da ciò l’abbondare di aggettivi come “sbiadito”, “polveroso” ecc.

Di fronte però all’assunto che le opere citate da Bagnoli manchino di “verità drammatica” direi che sono d’accordo solo in una nozione molto a senso unico, quella di una lettura letterale e realistica di quel repertorio, continuandolo appunto a “prendere sul serio” come pretendeva di fare a suo tempo, senza introdurre filtri di mediazione, di riflessione critica e meta teatrale, che invece sono stati proprio alla base della riattualizzazione dell’”ambiguità” barocca.
Perché inseguire e dileggiare le storie di Chenier e simili sul terreno del “vero” e non assumere per scontato invece che siano tout-court false o meglio “finte”, e che solo dalla consapevole assunzione della loro finzione si possa ricavare qualche inedita verità? Qualora, beninteso, ci sia la scintilla del talento interpretativo (direttore, regista, cantante nell’ordine che preferite) capace di farla scaturire?

Sia chiaro che le mie sono domande a cui non sono in grado di dare una risposta in positivo …
Fabrizio
Fabrizio
fadecas
 
Messaggi: 66
Iscritto il: gio 05 apr 2007, 21:53
Località: Trieste

Re: Adriana Lecouvreur (Cilea)

Messaggioda mattioli » sab 28 set 2013, 18:53

una certa animosità un tantino sprezzante che riaffiora a tratti anche in queste discussioni


Questa è un'accusa è po' ingiusta. Anch'io trovo gli snobismi contro Giordano o Cilea sciocchi. E soprattutto facili: in certi casi è come sparare sulla Croce rossa. Vedo però che continuiamo a non intenderci. Tu dici che c'è un problema di, diciamo così, ricambio generazionale e che bisognerebbe, per giustissime ragioni estetiche, dare un'altra chance a questo repertorio. Io dico che, se nessuno ne sente il bisogno (e in effetti nessuno, lo dicono i fatti, lo sente), allora questo bisogno non c'è.

Di fronte però all’assunto che le opere citate da Bagnoli manchino di “verità drammatica” direi che sono d’accordo solo in una nozione molto a senso unico, quella di una lettura letterale e realistica di quel repertorio, continuandolo appunto a “prendere sul serio” come pretendeva di fare a suo tempo, senza introdurre filtri di mediazione, di riflessione critica e meta teatrale, che invece sono stati proprio alla base della riattualizzazione dell’”ambiguità” barocca.
Perché inseguire e dileggiare le storie di Chenier e simili sul terreno del “vero” e non assumere per scontato invece che siano tout-court false o meglio “finte”, e che solo dalla consapevole assunzione della loro finzione si possa ricavare qualche inedita verità? Qualora, beninteso, ci sia la scintilla del talento interpretativo (direttore, regista, cantante nell’ordine che preferite) capace di farla scaturire?


Questo è un discorso molto interessante. Il punto è che i "talenti interpretativi" di oggi, salvo qualche eccezione, a questo repertorio non sono interessati. Ma perché non sono interessati? Perché pensano, credo con qualche ragione, che quel repertorio OGGI non ci dica nulla. Hanno torto, hanno ragione? Purtroppo la realtà non è giusta o sbagliata; semplicemente, è. Di più. Parliamo di teatro: non trovi molto significativo che grandi direttori abbiano diretto Mascagni (si citava Sinopoli, ma pensiamo ieri a Karajan o oggi a Harding) ma che sia rarissimo che Mascagni abbia interessato grandi registi?

Grazie degli spunti, ci rifletterò.
AM
Twitter: @MattioliAlberto
mattioli
 
Messaggi: 1100
Iscritto il: mer 09 dic 2009, 19:09

PrecedenteProssimo

Torna a registrazioni

Chi c’è in linea

Visitano il forum: Bing [Bot] e 7 ospiti

cron