Karlheinz Stockhausen

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Karlheinz Stockhausen

Messaggioda walpurgys » dom 09 dic 2007, 12:13

Ci ha lasciati il 5 Dicembre Karlheinz Stockhausen personalità discussa e poliedrica della musica moderna.
Ecco la sua biografia da Wikipedia:

Karlheinz Stockhausen (Kerpen-Mödrath, 22 agosto 1928 – Kürten-Kettenberg, 5 dicembre 2007) è stato un compositore tedesco, tra i più significativi del XX secolo.

Stockhausen dal 1947 al 1951 ha studiato pedagogia della musica e pianoforte alla Musikhochschule (conservatorio) di Colonia e scienza della musica, germanistica e filosofia all'università di Colonia. Dal 1950 compone non solo creando nuove forme di musica ma anche inserendo nuovi segni innovativi nel campo della notazione musicale. Come docente universitario ed autore di numerose pubblicazioni sulla teoria della musica, attraverso le sue attività per la radio e grazie a più di 300 proprie composizioni che spesso hanno modificato il confine di quello che era considerato tecnicamente possibile, ha partecipato in modo significativo a modificare la musica del 20° secolo.

Negli anni 50 è stato sposato con Doris Andrae con la quale ha avuto un figlio, il trombettista Markus Stockhausen. Negli anni 60 è stato sposato con l'artista Mary Bauermeister con la quale ha avuto un figlio, il compositore Simon Stockhausen.

Mentre le sue prime composizioni come per esempio "Doris" sono più tradizionali negli anni 50 Stockhausen si volta verso la musica seriale (per esempio "Kreuzspiel" o "Formel"). È considerato in modo particolare uno dei fondatori della cosiddetta musica puntuale. Ispirato da "Mode de Valeur et d'intensités" (1952) di Olivier Messiaen, partecipa ai suoi corsi di analisi musicale e composizione presso il Conservatorio Superiore di Parigi.

Tra il 1953 ed il 1998 ha collaborato strettamente con lo "studio per la musica elettronica" della radio Westdeutscher Rundfunk per qualche tempo anche come direttore artistico e si è dedicato di più alla musica elettro-acustica. In questo studio di Colonia ha realizzato nel 1955 la sua opera centrale "Gesang der Jünglinge" (canto dei fanciulli) ponendo un nuovo obiettivo nel campo della musica spaziale.

D'ora in avanti segue attività nazionale ed internazionale come docente. Conduce per molti anni i "corsi colonesi per la musica nuova". È l'attrazione principale durante l'Esposizione Mondiale del 1970 ad Osaka con le sue composizioni nel padiglione tedesco. Dal 1971 al 1977 Karlheinz Stockhausen è professore per composizione al conservatorio di Colonia. Da quel momento si concentra anche sulla conclusione di una delle opere liriche più voluminose della storia della musica con il titolo "Licht" (luce) che è praticamente finita. In quest'opera come anche in altre opere teatrali (per esempio "Inori" del 1973) Stockhausen cerca di collegare l'idea scenica con quella musicale in un'unità indivisibile.

Oltre al suo lavoro di compositore Stockhausen è attivo anche come direttore d'orchestra e manager culturale che inizia e realizza progetti. Dal 1991 pubblica per la casa d'editrice Stockhausen-Verlag la sua intera opera in un'edizione premiata sia come spartiti sia come CD. Nel 1996 è stato nominato dottore d'onore dell'Università di Berlino e nel 2001 ha ricevuto l'ufficioso premio Nobel della musica il Polar Music Prize.

Nonostante la sua ottima reputazione Stockhausen è considerato una persona controversa: il suo a volte eccentrico narcisismo è molto criticato dagli esperti. Espressioni in pubblico come «Sono stato istruito su Sirio e ci ritornerò anche se vivo ancora a Kürten» o riferito agli attentati del 11 settembre 2001 «Questa è l'opera d'arte più grande mai esistita» (Stockhausen ha però precisato che quanto da lui detto era stato riportato in maniera ambigua e diffamatoria [1]) hanno portato a consolidare un'immagine tipica di Stockhausen come artista metà genio metà folle.

Si è spento il 5 dicembre 2007 all'età di 79 anni a Kürten-Kettenberg; la sua morte è stata comunicata due giorni dopo tramite un comunicato stampa della Fondazione Stockhausen.


Personalmente di lui ho ascoltato i primi 55 minuti di ''Mittwoch aus Licht'' che mi hanno lasciato cosi' :shock: (perchè era come ascoltare una sorta di trivella, tapis roulant e stridori assortiti mixati insieme).
Mi piacerebbe che chi tra lo conoscesse meglio indicasse le sue composizioni più rappresentative per poterlo approfondire e comprendere di più.
Il cilo ''Licht'' com'è?
Grazie
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Messaggioda teo.emme » dom 09 dic 2007, 13:01

Sulla figura di Stockhausen sono assai perplesso. L'ho sempre trovato una sorta di bluff, pompato da certa intellighenzia e osannato da taluni pubblici che più che con l'orecchio giudicano con l'ideologia. E credo che la morte dell'uomo non mi farà certo cambiare l'opinione sull'artista. Trovo la sua "musica" un vuoto esercizio di sperimentalismo (ormai tanto fuori moda), volto solo a rompere con la tradizione (da lui ritenuta borghese e reazionaria, ed espressione del "bieco" capitalismo) in nome di un vuoto progressismo classista. Il problema è che i lavori di Stockhausen (e compagni) appaiono totalmente distaccati da qualsiasi estetica della musica e altro non sono che "organizzazione del rumore". Se si leggono i presupposti teorici delle sue composizioni non si potrà non notare questo ridurre l'ispirazione a nulla, e sostituirla con complesse e schematiche teorizzazioni. E questo per me è la contraddizione di qualsiasi musica! Io ho ascoltato diverse cose (purtroppo), da Stimmung, che sembra una lunga serie di gargarismi, ai Gruppen, che assomigliano al suono che precede l'ingresso del direttore, quando vengono accordati gli strumenti, a Helicopter Quartet, puro frastuono che, al momento di inserire il cd nel lettore, mi ha fatto pensare che avessi rotto lo stereo, e così via... Non riesco ad apprezzare queste cose, le trovo insultanti, inutili e provocatorie a tutti i costi. E neppure apprezzo la figura di Stockhausen come di colui che rompe una tradizione: non è vero, cosa resta oggi delle sue musiche? Nulla..solo chiacchiere nei salotti radical-chic!

Mi spiace, ma credo che fosse un fenomeno (commerciale, politico etc...) del tutto estraneo alla musica. A qualsiasi tipo di musica.

Questa la mia opinione naturalmente, e se si vorrà potremo approfondire i motivi della mia posizione.
teo.emme
 

Messaggioda pbagnoli » dom 09 dic 2007, 13:20

teo.emme ha scritto:Sulla figura di Stockhausen sono assai perplesso. L'ho sempre trovato una sorta di bluff, pompato da certa intellighenzia e osannato da taluni pubblici che più che con l'orecchio giudicano con l'ideologia

Non ho purtroppo gli strumenti per potermi fare una ragione completa.
Nel dubbio, sono completamente dalla tua parte 8)
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Messaggioda teo.emme » dom 09 dic 2007, 15:04

pbagnoli ha scritto: Non ho purtroppo gli strumenti per potermi fare una ragione completa.
Nel dubbio, sono completamente dalla tua parte 8)


:D Beh, mi dai lo spunto allora per una piccola precisazione su Stockhausen.

Innanzitutto premetto che al di là dei miei gusti musicali (credo sia superfluo dire che prediligo il "belcanto"...penso che nel corso della mia frequentazione del forum si sia abbondantemente compreso :wink: ), mi ha sempre interessato approfondire ogni tipologia di musica, naturalmente anche le "avanguardie". Il mio discorso pertanto (lo dico per parare possibili obiezioni) non si basa su pregiudizi, ma sull'ascolto e un certo approfondimento teorico.

Tornando a Stockhausen: egli, in aperta rottura con ogni tradizione musicale precedente (Webern compreso) ha una propria visione radicale del serialismo. In particolare ritiene che oggetto della progettazione seriale non sia soltanto la nota, ma anche le altezze, il timbro, il ritmo, l'intensità, la durata. Un serialismo integrale quindi, che annulla l'intervento creatore del compositore, trasformato qui in una sorta di "ingegnere del suono" chiamato a distribuire e ad assemblare le sequenze, costruite a tavolino in modo del tutto artificioso. Si sostituisce l'approccio estetico del risultato, con una funzionalità scientifica del momento esecutivo (che diviene fulcro della sua musica).

Il messaggio che si vuole comunicare (per quanto discutibile e segnato dai soliti pregiudizi ideologici e politici delle avanguardie europee, inchiodate agli anni '60) diviene molto più importante della forma. Ma io mi chiedo se può ancora esistere "musica" quando si prescinde completamente dalla sua forma. Il messaggio ideologico (anti capitalista, anti borghese, anti occidentale) diviene più importante della fruizione stessa. Stockhausen infatti, è dichiaratamente "infruibile" da parte del pubblico, poichè è necessaria la mediazione di una teoria interpretativa che spieghi perchè quei "rumori" non sono "rumori", ma "musica". Ecco, io credo invece che i "rumori" restino "rumori", a prescindere dal significato che possono assumere (o meglio, che gli si vuole dare).

Penso poi che se la musica (come la pittura, la scultura, il teatro) ha bisogno di complesse e cervellotiche spiegazioni per essere "apprezzate" dal destinatario, allora qualcosa non va (non parlo di astrattezza contro realismo: un quadro di Picasso, o un brano di Schoenberg o Henze, non hanno bisogno di mediatori per raggiungere il pubblico).

L'arte di Stockhausen risponde ad una vecchia logica di distacco: l'idea di un volgo sciocco e borghese da una parta, e dall'altra i tanti "messia" di un avvenire radioso e geometricamente inquadrato, in cui l'arte è "impegno" finalizzato a realizzare chissà quale rivoluzione! Non è altro che propaganda e imbroglio: un vuoto e inutile lavoro di rottura che maschera l'assenza di idee personali, la sostituzione dell'ispirazione con la dottrina di partito (al quale Stockhausen e compagni obbediscono ciecamente).

Brutta cosa quando l'ideologia invade ogni spazio di libertà (e l'annullamento di ogni libertà si trova nelle rigide regole di Stockhausen). E come l'ideologia, quei prodotti, vengono spazzati via dal tempo, dalla moda, dalla memoria: cosa resta di questi esperimenti? Nulla di nulla. Solo alcuni critici militanti li incensano ancora, critici maestri della falsificazione del vero, ad uso e consumo del loro partito.

Un vecchio film di Sordi ha esplicitato questa truffa para culturale: durante un "concerto" di musica alla Stockhausen, Sordi si addormenta..e russa sonoramente. Il pubblico rimane estasiato da quel suono, ritenendolo parte della composizione.... :wink:
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Re: Karlheinz Stockhausen

Messaggioda gustav » mar 04 mar 2008, 22:36

Premetto che a Stockhausen preferisco diversi altri compositori contemporanei (anche meno conosciuti e nostrani come Maderna per citarne uno) ; tuttavia, sono meno d'accordo quando leggo tentativi volti a sminuirne l'importanza musicale puntanto l'accento su altri aspetti. Uno di questi, anzi forse il principale, è quello ideologico: non si può ridurre la presenza musicale di Stockhausen ad un fatto culturale, quasi abbia rappresentato piuttosto un fenomeno legato a certa cultura; così non si fa un servizio alla musica, non si individuano le vere carenze di questo musicista; inoltre se si usano gli stessi argomenti ideologici al contrario e cioè per dubitare di Stockhausen, si arriva ad un paradosso che fatico a comprendere.
Cito per l'occasione lì'intervista che ho postato nel settore "interviste" di Muti il quale dice:

"La musica non ha in sé poteri rivoluzionari, poiché in tal caso sarebbe contraddittoria. Il suo privilegio, infatti, rispetto alle altre arti, è la sua impalpabilità. Un quadro può esprimere un messaggio rivoluzionario; ma la musica non ha proclami. Quando è utilizzata a fini rivoluzionari, è soggetta ad un uso bieco e strumentale. Si prenda ad esempio il finale della Nona Sinfonia di Beethoven, un inno alla fratellanza fra i popoli, impropriamente usato dai nazisti come inno della grandezza della razza ariana. La musica, dunque, può essere utilizzata - ambiguamente - a fini rivoluzionari, ma in sé ha il privilegio di essere al di sopra di ciò che l’uomo definisce, in determinate circostanze, il bene e il male. Non esiste una musica rivoluzionaria, se non rispetto alla musica stessa. Un compositore infatti può essere rivoluzionario nel senso che può scrivere delle composizioni il cui sistema armonico-tonale è innovativo rispetto alla musica del passato. Si pensi, ad esempio, alla dodecafonia, che fu una vera e propria rivoluzione rispetto al sistema tonale. La musica non ha quindi messaggi rivoluzionari, e non può averne, in quanto non può essere portatrice di proclami."

Io mi ci ritrovo e ci metto dentro anche Stockhausen et similia. Lasciamo i tromboni che hanno usato certa musica come bandiera per altre cose, per altri fini che trascendono quello musicale. E lasciamo anche la vulgata che si tratti di musica che non trasmette niente alle emozioni perché troppo cervellotica. Per me non è. Nella fattispecie, i materialo sonori, uniti alla libertà d'espressione degli esecutori, alla geometrie, allo spazio di stockhausen creano dei muri di note sicuramente cionvolgenti. Alla razionalità delle citazioni, matematiche, musicali e non, dunque alle citazioni anche simboliche si sovrappone una dimensione irrazionale dai connotati quasi mistici. Pensiamo per questo, per dire, soltanto a Stimmung, una tra l'altro fra le sue opere maggiormente fruibili!
In ogni, caso, in onore alla brevitas, cercado su intrnet è possibile una serie di testi di Boulez Berio Stockhausen ecc. sulla loro musica e su quella elettronica( si tratta di circa 300 pag.); si tratta di un approfondimento che consiglio a chi si vogllia avvicinare a questi autori.
Ad esempio, dato che stiamo parlando di Stockhausen, vi posto un suo scritto riguardante l'opera Mantra:

"Ora, la modulazione ad anello, che è un procedimento tecnico, fa questo: voi fate entrare nel modulatore ad anello un suono qualsiasi insieme a un secondo suono; anche questo può essere un suono qualsiasi, ma io uso dei suoni sinusoidali cioè puri. Quello che esce dal modulatore ad anello è la somma e !a differenza di queste frequenze mentre i suoni originali vengono soppressi. Se per esempio prendo la nota la, nel registro centrale del pianoforte - 440 cicli al secondo - e metto questo la e una sinusoide nel modulatore ad anello, ottengo 880 cicli al secondo e zero: cioè la somma e la differenza. Il che significa che quando il segnale che esce dal modulatore ad anello viene ascoltato attraverso un altoparlante si sente l’ottava superiore del suono originale. Ora poiché l’ottava è la seconda armonica, io altero il timbro del suono del pianoforte, che viene udito contemporaneamente al suono uscente dagli altoparlanti; la seconda armonica diviene più forte perché è raddoppiata. Ora un esempio più complesso: se ho un suono di 440 Hz e aggiungo un suono alla sua quinta superiore nel modulatore ad anello, ottengo 440 più 660, che, poiché fra i due suoni c’è un rapporto di 2:3, produce la quinta armonica, cioè la terza maggiore a 1.100 Hz. E ottengo anche 660 meno 440, cioè 220, l’ottava inferiore della nota originale. Un altro esempio: quando ho un 440 Hz e metto un 880 nel modulatore ad anello, quello che ne risulta è il suono stesso, 440; e 440 più 880, cioè 1320: di nuovo la quinta. L'aspetto interessante è che quando vario la mia sinusoide a 880 Hz molto lentamente, in un lieve glissando ascendente o discendente, il suono originale negli altoparlanti incomincia ad allontanarsi dalla nota tenuta sul pianoforte, producendo così battimenti e microintervalli; ottengo suoni ai 441, 442, 443 Hz che provengono dagli altoparlanti e vengono uditi insieme al suono originale. E così, a seconda della frequenza delle sinusoidi che metto nel modulatore ad anello, posso produrre tutti i micro intervalli vicini alle note suonate dal pianoforte A proposito di Mantra: nei modulatori ad anello vengono messe tredici note diverse per le tredici sezioni del pezzo, e queste note sono le frequenze esatte della stessa mantra. Ed esse divengono quelle che chiamiamo le “frequenze specchio” di tutto quello che si sente in questa sezione, che è sempre la mantra con le sue espansioni e le sue contrazioni. Ciò conduce a un nuovo concetto di armonia cadenzale: quando si suona la prima nota della mantra, la stessa prima nota è anche nel modulatore ad anello, e il risultato è una completa consonanza, l’ottava del suono stesso.. Se ora vado alla quinta, voi udite uscire dagli altoparlanti il secondo grado di consonanza. La terza maggiore produce un terzo grado di consonanza, e, alla fine, la seconda minore o la settima maggiore producono le dissonanze più aspre, e questo timbro sembra molto diverso da quello del pianoforte. Cott: Assomiglia all’effetto del gamelan. Stockhausen: Sì. Emerge l'aspetto metallico del suono, e ciò si deve al fatto che i suoni differenziali producono spettri subarmonici che vengono uditi insieme allo spettro armonico costituito dai suoni somma. E quando ritorno alla tredicesima nota, al termine dell'esposizione “mantrica”, ritorno anche alla massima consonanza: gli intervalli della mantra sono così composti che si allontanano dalla nota centrale, dando luogo sempre più a deviazioni, microintervalli e componenti di rumore - quelli che chiamiamo componenti dissonanti - e poi ritornano indietro. Cosicché ogni mantra, dalla prima nota alla tredicesima è come una cadenza, che si apre e si chiude. E vi sono risoluzioni intermedie: la quinta della nota originale al termine del primo membro, la quarta al termine del secondo, la terza minore al termine del terzo, e la nota stessa al termine del quarto, una consonanza completa. Lasciando la nota centrale, la tensione aumenta, poi vi è una maggiore consonanza, con le false risoluzioni su differenti gradi, finché, al termine, vi è la risoluzione effettiva. Nella musica “classica” questo procedimento veniva realizzato mediante triadi e relazioni armoniche come le settime o le none. Ma qui avviene tramite il concetto di riflessione a specchio della modulazione ad anello".

Ciao...
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Re: Karlheinz Stockhausen

Messaggioda MatMarazzi » mer 05 mar 2008, 10:18

gustav ha scritto:"La musica non ha in sé poteri rivoluzionari, poiché in tal caso sarebbe contraddittoria. Il suo privilegio, infatti, rispetto alle altre arti, è la sua impalpabilità. Un quadro può esprimere un messaggio rivoluzionario; ma la musica non ha proclami.


Vedi, Gustav, io non ho mai creduto all' "impalpabilità" della musica.
A me pare un linguaggio netto e codificato (e pertanto interpretabile) esattamente come i colori e le forme di un quadro.

Ne parlavamo, tempo addietro, in altro thread.
Se io metto la colonna sonora di un film del terrore "splatter" e terrorizzante su una commediola sentimentale, chiunque (anche il meno esperto di musica) avvertirà lo stridore.
E questo perché ogni soluzione armonica, ritmica, timbrica, melodica corrisponde a un complesso di segni decifrabili anche dal meno esperto di musica di questo mondo.

Sono in pochi a sapere cos'è una "sesta napoletana", ma non c'è persona al mondo che, sentendo la colonna sonora di Lawrence d'Arabia o la danza delle sacerdotesse dell'Aida, non vi avvertirà qualcosa di esotico.
Bene, quell'esotismo è dato dalla sesta napoletana: questo significa che chiunque al mondo (e non solo lo studente di composizione) è in grado di riconoscerla!
Lo stesso vale per l'atonalità: a leggere i trattati sembra una cosa per iniziati, per gente che abbia passato la vita a studiare l'armonia; e invece basta prendere una signora al mercato che compra il pesce e farle sentire una dissonanza, per avere la certezza che lei stessa la riconosce immediatamente.

Quello che cerco di dire è che, secondo me, non è affatto vero che la musica sia impalpabile.
La musica è un complesso segnico estremamente semplice e chiaro, decifrabile e comprensibile da tutti, molto più esplicito e diretto di tanti altri, forse persino più pronfondo ed elementare (e quindi più immediato) della stessa lingua parlata.
E' per questo che la musica può benissimo - secondo me - essere "rivoluzionaria", e non solo per le eventuali riforme armoniche, ma per quello che descrive, per gli stati d'animo che evoca (per la stessa ragione per cui un coro militare esprime qualcosa di diverso rispetto a un valzer viennese).

La portata "rivoluzionaria" dell'antica musica Jazz era percepita, con un brivido di sgomento, fin dalle prime battute.
Me ne sono accorto (con una perplessità che non vi nascondo, poiché non me l'aspettavo da lui) quando vidii un'intervista d'epoca a Bruno Walter, a cui chiesero cosa pensava del Jazz (eravamo alla fine degli anni '50).
Il suo volto si irrigidì in una smorfia di disprezzo e orrore, scandalizzato solo del fatto che si potesse porre a lui, il grande direttore di Mahler, una domanda del genere! Ti lascio immaginare quel che Walter vomitò successivamente contro il Jazz (che non è musica ovviamente!) e contro i tempi nauseanti e senza valori che permettono a quei "suoni" di essere ascoltati dai giovani, portandoli alla perdizione! Se la prese persino col povero intervistatore americano, per essersi permesso di nominarla "alla televisione"!
Ecco.. in quell'orrore nel volto di Walter, io leggo, di riflesso, la forza di una musica realmente "rivoluzionaria" (altro che Stockhausen!) :)
Ma sto andando fuori tema! :) Sorry...

Tornando al topic, vorrei solo aggiungere che, è vero, non si dovrebbe condannare Stockhausen per la sua appartenenza ideologica. E' giusto!
Però, Gustav, devi ammettere che viene piuttosto naturale farlo.
Anche perché è proprio grazie alla sua appartenenza ideologica che Stockhausen è approdato alla fama (non dico al successo, che credo non abbia mai veramente conosciuto).
Intendiamoci, anche per me lo sperimentalismo linguistico va benissimo! E' sano e necessario!
Ma deve essere un qualcosa di dialettico, ossia che deve esercitarsi solo in un rapporto costante fra chi parla e chi ascolta.
Se si interrompe il rapporto, se chi parla ritiene che non sia interessante il parere di chi ascolta, allora non c'è più dialogo, e pertanto non c'è più sperimentalismo.

E' troppo facile essere "sperimentali" quando non c'è più alcun rapporto con chi ti ascolta.
Siamo capaci tutti!
Se io, ad esempio, scrivendo un post in questo forum, lo intitolassi "sceruhjsdwefoi79nnvspèè" e poi dichiarassi di essere molto più sperimentale di Gadda nella lingua italiana (per aver introdotto un termine che Gadda non avrebbe mai osato utilizzare), voi mi ridereste in faccia!
E avreste ragione!
Se mi pongo fuori dell'ambito dialettico e mi limito a inventare suoni o parole che nessuno ascolterà o comprenderà, non sperimento un bel nulla.
Tutt'al più giocherello, ...come un compositore che giocherelli con frequenze strane o macchinari elettronici o nastri magnetici.
La difficoltà della vera sperimentazione (e della vera rivoluzione) è quella di inserirsi in un tracciato esistente, partire da lì per proporre qualcosa di nuovo e audace e (questo è il bello) persuadere l'interlocutore della bellezza di ciò che si è inventato.
E' solo così che un nuovo termine (o un nuovo processo armonico) può "entrare" nella tradizione, innovandola.

Io almeno la vedo così...
Wagner non sarebbe stato un "rivoluzionario" se la sua musica non avesse persuaso il pubblico.
Ci ha messo un po' (diciamo un venti, venticinque anni) perché le riforme che proponeva erano tante e complesse, ma poi è diventato il compositore più celebre, idolatrato, imitato al mondo, e quando è morto era una specie di santone planetario.
Il fatto è che Wagner non scriveva per se stesso o per una cerchia di intellettuali: tentava disperatamente di convincere il mondo dei fruitori del valore della propria opera.
E - da vero rivoluzionario - c'è riuscito.

Mi scuso di essermi limitato alla questione generale, dato che nel particolare - ahimé - non posso scendere, non essendo un esperto di Stockhausen.

Salutoni e comunque grazie delle tue stimolantissime riflessioni.
Matteo
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Re: Karlheinz Stockhausen

Messaggioda gustav » dom 09 mar 2008, 19:40

Vi posto una conversazione tra IANNIS XENAKIS, OLIVIER MESSIAEN, OLIVIER REVAULT D'ALLONES, MICHEL SERRES (mi piacerebbe postarvi anche l'ascolto di opere come Metastasis, Pithoprakta o l'oresteia, ma quello...):

"Olivier Messiaen: Sembra lei faccia riferimento nella primissima storia della musica, alla nascita delle gamme, dei modi, delle scale. Prima delle scale, come lei stesso dice, si usavano solo i tetracordi. Non pensa che all'inizio dell'evoluzione dell'uomo ci sia dapprima il grido? Il grido di gioia, il grido di dolore: il linguaggio esclamativo (sia parlato, sia scritto). Poi l'ascolto e l'imitazione di altri suoni: il rumore del vento, dell'acqua, il canto degli uccelli, cioè il linguaggio imitativo (soprattutto musicale, si trova tuttavia anche nelle onomatopee primitive). Molto più tardi sono nati gli idiomi parlati sintattici e la frase musicale organizzata e con essa i preliminari, i fuori tempo come voi dite, delle gamme, dei modi, delle scale. Perché si ferma al materiale della gamma ed esclude tutto il resto?

Iannis Xenakis: Non mi fermo affatto. Vuole che ne parli subito? È vero che non ho proseguito nella ricerca, forse per ignoranza. Non so cosa passava per la testa dell'uomo paleontologico di un milione, due milioni o trenta milioni di anni fa, come si sta scoprendo adesso. Non si conosce affatto la struttura del suo pensiero e se è da questo secolo che guardo indietro è perché vi appartengo e quindi posso parlare solo di ciò che mi è comprensibile. Convengo che è senz'altro una mancanza non poter conoscere più a fondo gli argomenti che lei ha proposto.
D'altronde cosa significa imitare, esclamare, sono espressioni che vengono prima della sintassi, della regola, della costruzione e delle strutture, per quanto minime. È già un riconoscimento, un dare forma, dunque una visione strutturale dell'ambiente. Se si ammette che l'uomo è una sorta di oggetto in sé, la natura e il suo ambiente qualcosa al di fuori di esso, quindi imitazione di ciò che percepisce con i sensi. Probabilmente il fatto di poter imitare il rumore del vento, della grandine o del fulmine, ecc. era già una forma di costruzione, primitiva forse, ma già molto complessa. La scienza attuale e intendo il pensiero scientifico, ha approfondito alcune strutture mentali dell'uomo, solo da poco tempo. Altre verranno, ma è difficile il parlarne; non tratterò qui che di cose già relativamente ben formulate, ben visibili. Per tal motivo, ho iniziato con i tetracordi che sono già uno stadio avanzato di costruzione e debbo aggiungere che i tetracordi fanno parte di un procedimento culturale, scientifico od organizzativo, quindi di un certo materiale. Materiale presente in altre civiltà, come la giapponese, la cinese o l'africana, molto antiche, forse più antiche ancora della civiltà greca (l'egiziana non è ancora molto conosciuta), le quali hanno un'evoluzione diversa, in cui sono assenti i tetracordi. Ad esempio, nella musica del teatro Nô troviamo la quarta e possiamo dire che la quarta è una sorta di realtà universale, ma la sua costruzione interna è qualcosa di forse specifico del terzo o quarto secolo a.c. in Grecia. Visto che i tetracordi sono stati la base del sistema diatonico e quindi di tutta la musica posteriore fino ai nostri giorni, è questo filo conduttore storico e musicologico che ci permette di fare delle estrapolazioni, molto più che i periodi antecedenti che chiamerei pre-logici, anche se non sono affatto pre-logici in campo musicale. Quello che voi dite è fondamentale, visto che oggi si vogliono approfondire questi problemi di struttura bisognerebbe rifarsi o meglio allontanarsi da tali strutture, da queste idee che abbiamo della musica, come in genere si tende a fare oggi, per ragioni completamente estranee alla musica. Quindi guardiamo le cose con occhio nuovo, con nuovi strumenti. È il riconoscimento delle forme. Se si ricevono dei segnali dallo spazio interstellare, galattico, ebbene bisogna saperli distinguere dal rumore, per verificare se sono ordinati, coerenti e se la loro coerenza è significativa. Se è significativa e quindi ha origini dalla natura o da altri esseri simili all'uomo non è di questo tipo. La coerenza viene prima di tutte le strutture, di tutte le forme di pensiero che abbiamo ricevuto dalla civilizzazione e dallo studio e dunque fa riferimento ad alcune situazioni pre-razionali, pre-logiche, pre-strutturali, pre-sintattiche. Non so se con questo ho risposto alla sua domanda.

Olivier Messiaen: È una risposta interessante. Ma lei ha detto che il passato è nel futuro e viceversa, per tale motivo mi sono permesso di toccare argomenti di scarsa conoscenza per noi. La musica di Xenakis si riconosce immediatamente. Non solo per i glissandi o gli scambi, ma anche per una certa sonorità, per un certo modo d’orchestrare, di disporre i suoni che è diverso da qualsiasi altro.

Iannis Xenakis: Nella vita vi sono due modi di procedere, uno è l’azione e l’altro l'analisi. La migliore analisi per me è andare avanti, nego cioè l’analisi, la psicoanalisi, se volete, come metodo d’introspezione. Tanto più che se si toccano certi campi non si sa cosa si va a scoprire e si rischia di cadere in vuoti, in tranelli spaventosi. È dunque una tattica, per questo insisto a dire che la musica non è ermetica, mentre la parola analitica lo è.

Olivier Messiaen: Io invece interrogo la sfinge tutti i giorni, visto che sono in analisi e non ne sono scontento. Ciò non mi impedisce di fare musica!

Iannis Xenakis: Al di fuori di questioni tecniche, non vi date altre risposte?

Olivier Messiaen: Io mi occupo solo di questioni tecniche. Ad eccezione di un fatto musicale puro, beninteso, non mi permetterei di fare degli accostamenti di intenzioni perché non ne sarei capace. Se mi è capitato di farlo è stato del tutto occasionalmente.

Iannis Xenakis: Ma quando parla di tecnica musicale, a cosa si riferisce? A proporzioni, a durata, a combinazioni?

Olivier Messiaen: Durata, armonia, modi, colori, ne parlo molto, so che lei non ci crede...

Iannis Xenakis: Si tratta già, secondo me, di un campo diverso da quello tecnico

Olivier Messiaen: Anche l'orchestrazione per me è un fatto tecnico.

Iannis Xenakis: Si tratta quindi di cose di cui si può parlare.

Olivier Messiaen: Si tratta di tecnica, propriamente, puramente e completamente musicale. Mi sembra che è su questo argomento che Revault d’Allonnes ha cercato di interrogarla.

Olivier Revault D'Allones: E su ciò che è intorno, al di sotto, oltre la tecnica. Non credo di tradire un segreto dicendo che un giorno ho visto Xenakis al tavolo di lavoro. Aveva sotto gli occhi la partitura di un’opera in gestazione e la guardava, ostacolato da un dettaglio. Poi ha detto: «No, non va bene» e l’ha tolto. Si tratta di tecnica tutto ciò? Credo che tutti i compositori facciano così.

Michel Serres: In una parola, torniamo alla questione della scelta.

Iannis Xenakis: Sì, della scelta arbitraria, intuitiva, ecc.

Michel Serres: Si può chiamare ispirazione, se si vuole, ma resta una scelta.

Olivier Revoult D'Allones: Evitiamo dunque di tuffarci nelle fangose regioni della soggettività?

Iannis Xenakis: Non è forse il fare musica il miglior modo di tuffarvisi?

Olivier Revault D'Allones: La scelta tra un gran numero di possibilità è sembrata a Olivier Messiaen molto difficile, ma in definitiva un organo dei sensi, l'orecchio, l'occhio o il tatto stesso, funziona esattamente in questo modo; riceve cioè una quantità enorme di informazioni e ciò che gli opponete, cioè il problema tecnico della scelta, della scelta tra milioni di possibilità da una parte e dall'altra il problema soggettivo di dire approssimativamente «no, non va bene», sono esattamente la stessa cosa. Il naso, l'orecchio o l'occhio funzionano esattamente come il computer, cioè ricevono cinquanta milioni di informazioni che selezionano e trasmettono esattamente. Di conseguenza non vi è opposizione tra ciò che chiamate potenza, ispirazione, avvenimento, sensorialità e il problema che vi sembra difficile della scelta tra un'enorme quantità di elementi. Il mondo della vita funziona così.

Iannis Xenakis: Vi è anche, nella teoria degli insiemi, il famoso assioma della scelta di Zermelo, che sollecita la possibilità di scelta in modo arbitrario o tramite la rivelazione di un elemento in un dato insieme; è matematica e in questo caso la matematica tiene un discorso assolutamente estetico. È il dato e le calcolatrici ne sono i filtri.

Olivier Messiaen: Dei simulatori.

Iannis Xenakis: Dei simulatori di scelta con regole per poter scegliere. L'uomo, con il suo udito e i sensi fa delle scelte molto più complesse di quanto possa fare un computer attuale, vale a dire che la simulazione delle scelte è in embrione rispetto alla tecnologia odierna, l'automatizzazione delle scelte è ancora molto rudimentale in rapporto all'uomo.

Olivier Revault D'Allonnes: Sì, non si sa come ordinarla. I terminali sensoriali lo fanno, a loro insaputa, ma lo fanno.

Olivier Messiaen: Vi darò un esempio concreto. Quando prendo nota del canto degli uccelli, lo faccio con carta e matita. Mia moglie qualche volta mi accompagna, registra al magnetofono gli stessi canti che io appunto. Quando poi ascolto a casa la registrazione, mi accorgo che il magnetofono è stato spietato, ha inciso tutto, anche degli orribili rumori che non hanno niente a che vedere con quello che stavo cercando. Non avevo udito questi rumori, solo il canto degli uccelli. Perché non mi ero accorto di quei rumori? La ragione è che il mio orecchio aveva filtrato bene.

Iannis Xenakis: È ciò che si chiama l’ascolto intelligente, orientato. Corrisponde a uno dei criteri di scelta che lei si è imposto senza saperlo, perché non voleva ascoltare che il canto degli uccelli tra tutti i rumori della foresta.

Olivier Messiaen: La mia attenzione era orientata verso gli uccelli e li ho sentiti, ma li ho sentiti ad esclusione di altri rumori estranei come le automobili o gli aeroplani...

Iannis Xenakis: D'altronde, nella teoria dell'informazione, tutto ciò che non è il segnale voluto viene rifiutato come rumore.

Olivier Messiaen: Si ascolta solo ciò che si vuole ascoltare.

Michel Serres: Si ascoltano i segnali.

Iannis Xenakis: Sì. È la difficoltà nell’apprezzare una qualsiasi opera, è la scelta esatta di ciò che è importante. E per tale motivo che quando si ascolta un'opera di Bach già sentita cento volte, mille volte, a seconda della scelta che si fa in quel momento, l'opera stessa può sembrare completamente diversa da quella che si era abituati a sentire. E non si tratta solo dell'interesse in sé di un'opera, si tratta anche dell'interesse della scelta individuale, dell'ascoltatore. Per questo, Newton quando gli è caduta la mela in testa ha esclamato: «Ho trovato! Eureka».

Olivier Revault D'Allones: Tutto ciò chiarisce un po’ la tua creazione, ma non ciò che non è buono o il suo contrario: e a chi chiederlo, se non a voi compositori?

Olivier Messiaen: Poc’anzi, a proposito di struttura, abbiamo parlato delle fughe di Bach. Ora, non vi è niente di più strutturale (e scusatemi) di più noioso di una fuga di scuola. Bach ha concepito migliaia di fughe nella sua vita, ve ne sono dappertutto, nelle cantate, nelle Passioni, nella messa, nelle composizioni per organo e per clavicembalo. Queste fughe non hanno mai la struttura delle fughe scolastiche e sono diverse da tutte le altre dell'epoca perché trasfondono una certa gioia melodica e un controllo armonico che non appartengono che al grande Bach.

Iannis Xenakis: Credo sia questo il problema.

Olivier Messiaen: Dirò di più, nel grande Bach si trova un po' di quello che c'è anche nella sua musica. A volte troviamo delle volontà sovrapposte! Ad esempio, in certi corali la linea non si è potuta toccare perché era un testo sacro. C'era la volontà di lasciarlo tale quale. Nella parte inferiore grave, l'ostinato è una volontà. Nelle parti centrali i cromatismi sono anch'essi una volontà. Le tre volontà sovrapposte formano degli incontri straordinari, degli accordi e dei contrappunti quasi moderni, potrebbero essere di Debussy. Ecco un modo per comprendere come da una struttura può nascere qualcosa di nuovo, di personale.

Iannis Xenakis: Su un piano più attuale, una struttura di fuga non è totalitaria, vale a dire che presenta delle parti fluide, libere e degli schemi che sono più o meno seguiti. All'interno di questi schemi, vi sono dei “dati di entrata” come si direbbe oggi in informatica, che permettono di ottenere dagli stessi schemi dei risultati diversi. Nei dati di entrata liberi si può inserire una grande quantità di intelligenza in senso lato e delle volontà contraddittorie. Gli schemi possono tradursi in una sorta di sistema, o come si dice, di automa, visto che funzionano da soli e il grande anticipo della fuga su tutto il pensiero scientifico del tempo è stato il proporre dei sistemi che la scienza ignorava.
É solo da poco che la scienza si occupa in modo sistematico e con i suoi propri metodi di sistemi, cioè di orologerie, stockastiche o deterministe.

Michel Serres: Al diciassettesimo secolo, poco prima che Bach scrivesse le sue fughe o prima che le scuole ne commissionassero, tutto il pensiero scientifico si rivolgeva agli automi. Era dunque una dimostrazione di contemporaneità tra le scienze e le arti.

Iannis Xenakis: Ha ragione, anche Descartes ne parla molto.

Michel Serres: È vero, Descartes, Olivier de Serres...

Iannis Xenakis: Comunque solo i musicisti proponevano gli automi astratti.

Michel Serres: Ah sì,... è possibile... le scatole armoniche facevano furore.

Iannis Xenakis: I musicisti materializzavano (con la loro musica) il prodotto di questi automi astratti.

Michel Serres: Sì certo, erano in anticipo sulla scienza, come al solito."
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Re: Karlheinz Stockhausen

Messaggioda MatMarazzi » lun 10 mar 2008, 11:47

Caro Gustav,
il dibattito che hai postato è molto interessante e te ne sono grato.
però volevo conoscere soprattutto la tua opinione personale su quanto si è detto.
In che senso questa citazione si inserisce nel tema affrontato da questo Thread?
E tu in particolare cosa pensi delle cose che ho scritto nel mio precedente post?

Salutoni,
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Re: Karlheinz Stockhausen

Messaggioda gustav » lun 10 mar 2008, 12:02

Ciao Mat, prometto di risponderti...dammi tempo alcuni giorni perchè ora sono un pò(almeno fino a giovedì) impegnato...e prima volevo scrivere il mio parere, dato che l'avevo in programma da tempo, x non mancare all'altra mia promessa, nel post Abbado VS Rattle dandoti il resoconto dell'ascolto del Don Giovanni del signor A. che ho cercato di approfondire in questi ultimi giorni e di confrontare altre importanti esecuzioni...

Ciao... :D
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Re: Karlheinz Stockhausen

Messaggioda gustav » dom 16 mar 2008, 14:33

="MatMarazzi"]

Vedi, Gustav, io non ho mai creduto all' "impalpabilità" della musica.

Caro Mat.
se la domanda mi fosse stata posta tempo addietro, probabilmente avrei risposto in modo diverso.


E questo perché ogni soluzione armonica, ritmica, timbrica, melodica corrisponde a un complesso di segni decifrabili anche dal meno esperto di musica di questo mondo.
a leggere i trattati sembra una cosa per iniziati, per gente che abbia passato la vita a studiare l'armonia; e invece basta prendere una signora al mercato che compra il pesce e farle sentire una dissonanza, per avere la certezza che lei stessa la riconosce immediatamente.

In realtà, un punto di partenza è proprio il discorso formale sulla musica. Certo, la forma è il modo di estrinsecazione dell'idea, ma è questa il perno, il fulcro di tutto? Citare Eraclito e dire che musica e anima godono della medesima tensione all'infinito corrispondente pressochè ad un’emanazione dello spirito, non significa allontanarsi concretamente da quanto tu pensi; invero, significa stabilire, definire il rapporto musicale noi - musica in un senso, oserei dire, non dialettico in cui struttura, segni più o meno indecifrabili sono sì strumenti di comprensione, ma piuttosto elementi, seppur non addizioni, del discorso musicale che finiscono per combinarsi (e mai superare o travalicare) con l'indefinibile che è la bellezza della trascendenza artistica più sottile e meno palpabile.
Segni, studi armonici, sono utili, e anche necessari, ma non sono il fulcro; l'errore è che talvolta rivolgiamo il nostro accento definitorio pensando solo a questi mezzi formali che tolgono, se presi in se stessi, la musica dalla sua astrazione e la risportano su un piano di "palpabilità"; ovvero, e ripeto, non dobbiamo partire da questo "margine indispensabile" per definire il complesso dell'emozione e dell'esperenza artistica che si trasmette per suoni, non dobbiamo perdere di vista il tutto.E ciò non vale a sminuire per niente il rilievo della forma. Stando ache "dalla mia parte" si può benissimo ammettere il carattere idoneo alla decifrabilità anche del meno esperto.
Si è parlato che questo rende necessaria il ricorso ad una mente organizzatrice, ma allora se affermo questo sono in contraddizione? No, per quello che ho scritto qualche riga sopra: dobbiamo tenere presente che esiste un filo molto lungo che lega necessariamente vari elementi come "l'incorporea bellezza" frutto della mediazione musicale dell'esecutore-artista che legge segni formali ed usa strumenti fisici regolati, per essere suonati, da meccanismi oggettivi e per niente impalpabili.
Per esemplificare il tutto, caro Mat, ti riporto una situzione mutuabile dalla contrattualistica per cui certamente un contratto è costituito da vari elementi essenziali, come l'oggetto, senza dei quali è nullo, ma di cui tutti fanno parte per volgere ad un risultato che, per noi che parliamo di musica è alla fine estremamente unitario sebbene frazionabile eventualmente, ma in qualsivoglia momento, in elementi.


Tornando al topic, vorrei solo aggiungere che, è vero, non si dovrebbe condannare Stockhausen per la sua appartenenza ideologica. E' giusto!
Però, Gustav, devi ammettere che viene piuttosto naturale farlo.

No no è la musica ad essere rivoluzionaria, l'impalpabilità è rivoluzionaria, il genio, come dirrebbe Carmelo Bene, che trascende.
E qui ti mostro un esempio di quanto io sia legato alla formarispetto al "messaggio".
C'è un'opera di Luigi Nono, "come un'onda di forza e di luce" in cui sembrerebbe massimo il rilievo attribuito al contenuto del messaggio, quindi al significato legato alle intenzioni ideologiche. Se ne prende atto in primo luogo nel testo essenzialmente politico e battagliero. Addirittura, oltre che dedicato il pezzo è intonato e rivolto tramite la voce cantata a Luciano, un rivoluzionario del Sudamerica; eppure quando si canta Luciano Luciano, per me potrebbe benissimo cantarsi viva la pizza o che so, altro; che il dirscorso musicale poco o pochissimo perderebe della sua importanza: in ogni caso rimane la bellezza della massa sonora. Veramente rivoluzionaria è soltanto la musica. La musica non ha quindi messaggi rivoluzionari, i proclami sono veri addizionali, e neanche elementi. Ci sono ne prendiamo atto, ma ci fermiamo qui.

E' troppo facile essere "sperimentali" quando non c'è più alcun rapporto con chi ti ascolta.
Siamo capaci tutti!


E' per questo che ho postato quella conversazione...In realtà mi sembrava che si parlasse di qualcosa molto attinente con il sentire nel modo più immediato possibile una seggestione come quella che uno Xenakis ci può seggerire che so in una Oresteia, nonostante i discorsi che vengano fatti possano apparire quasi incomprensibili, soprattutto per uno come me che non è un musicologo! Eppure, anche qui torniamo al discorso iniziale: visto che alle spalle abbiamo una costruzione, un castello, insomma elementi fondamentali, che ho spiegato perchè necessari, ma sopra tutto cosa rimane? La musica, i rumori primitivi di una Pleiades i suoni degli uccelli di Messiaen che rispondono a leggi di che tipo? naturali forse, ma a questo punto anche questo non importa poi così tanto
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Re: Karlheinz Stockhausen

Messaggioda MatMarazzi » mer 19 mar 2008, 15:16

Carissimo,
anche se ti rispondo tardivamente, ho riflettutto molto sulle belle cose che hai scritto.
E' vero che la nostra "visione del problema" non corrisponde affatto! :)
Io ho capito come la pensi.
Tenterò di spiegarti come la penso io.

Vorrei citare la tua seguente frase, non come summa del tuo pensiero, ma come nodo del nostro disaccordo.

struttura, segni più o meno indecifrabili sono sì strumenti di comprensione, ma piuttosto elementi, seppur non addizioni, del discorso musicale che finiscono per combinarsi (e mai superare o travalicare) con l'indefinibile che è la bellezza della trascendenza artistica più sottile e meno palpabile.


Ecco, la ragione per cui (pur ammirando ciò che scrivi e come lo scrivi) temo di non poterti seguire.
C'è qualcosa di trascendente nella musica?
Può esserci?

Tu pensi di sì e sei in buona compagnia: secoli (millenni?) di pensatori ed estetologi ne sono convinti, proprio come te.
Io, purtroppo per me, no.
Che devo dirti? ...per me non è così!
E' libero ognuno di credere all'esistenza del trascendente (sulla base dei propri credo ideali, filosofici e religiosi).
Ma di una cosa sono ben convinto: che essa non è di questo mondo.
Mentre la musica, lei sì, lei è di questo mondo.
E in esso si esaurisce.
Si esaurisce dove vi sia qualcuno che:
1) possieda il senso dell'udito
2) sappia decifrare il codice sintattico e lessicale che costituisce la nostra musica (per riprendere un bell'esempio di Roberto, io non potrei gustare la musica cinese perché non ne conosco il codice).

Chiamami pure cinico e materialista, ma io non ci trovo nulla di trascendente nel piacere elementare e istintivo che proviamo di fronte a una triade armonica, o di fronte a una voluta dissonanza.
Quando potremo davvero conoscere ciò che è oltre lo spazio e il tempo, oltre i sensi corporei, oltre il distinto e il mutevole, non sarà possibile ritrovare la musica, che esiste proprio in virtù di questo: le dimensioni, i sensi, la distinzione e la mutevolezza.

Se è vero quanto affermo, e cioè che non vi sia nulla di trascendente nella musica e nell'arte, perchè la si è voluta così spesso tale? Come tu hai detto, già Eraclito vedeva nella musica una tensione all'infinito.

Secondo me, perché è sempre stato troppo difficile per l'uomo ammettere che il piacere estetico (come quello emotivo, ad esso strettamente legato) è congenito in noi, nel nostro dna, come lo è il piacere della carne, del cibo e di tutto il resto.
Il nostro corpo ci impone di provare piacere o emozione di fronte a certi spettacoli, certe atmosfere, certi suoni, certi profumi, certe situazioni: sono sensazioni per nulla trascendenti; le condividiamo con gatti e topi e tanti altri animali.

Con l'arte, gli uomini hanno semplicemente imparato a "canalizzare" queste emozioni, a "disporle razionalmente", proprio come i cuochi o ...le meretrici! :)
Hanno capito che poteva essere bello "riproporre" le sensazioni "piacevoli" o "emozionanti", senza lasciarne la fruizione al caso, ma a un certo punto questo non è più bastato.
Le sensazioni belle, oltre a essere replicate (o imitate), potevano aumentare la loro intensità se gli oggetti del piacere fossero stati disposti e organizzati in un certo modo, attraverso codici appositamente ideati, sulla base di sintassi sempre più evolute, sempre più dettagliate.

Ed è così che sono nate le arti.
Esse non si fondano più sulla semplice "riproposizione" voluta di certe emozioni (come, ad esempio, portare la gente a vedere una cascata, sapendo che ne sarà emozionata).
No: le arti vanno oltre; oltre a replicare o imitare le sensazioni belle (scusa se mi ripeto) esse ne potenziano l'effetto con l'ausilio di linguaggi, di codici, di convenzioni che se, da un lato, amplificano in modo esponenziale il piacere del fruitore, dall'altro lo rendono più "finto" e intellettuale: esso è, a questo punto, riservato solo a chi conosce e accetta le convenzioni del codice.
Se il fruitore non conosce il codice (che si tratti di musica cinese o di sperimentalismo esasperato da avanguardie novecentesche) l'arte non esplica più la sua funzione e il piacere (quello che tu chiami "trascendente" che, come tale, dovrebbe esistere a prescindere) non ci sarà.

Ed è qui (con l'invenzione dell'arte, ossia dei codici dell'arte) che è nato il grande problema del dissidio fra linguaggio (o come tu dici: "forma") e il piacere estetico.
Ed è qui che è nata la tentazione (tipica di tutta la storia del pensiero umano) di considerare "materia" il linguaggio e ...."spirito" il piacere, quindi non soltanto "impalpabile", "inspiegabile" (tutti termini da te utilizzati) ma addirittura "trascendente".

la somma di tutto questo?
Semplice: che la "forma" non è una parte dell'arte.
La forma è l'arte.
Almeno secondo me.


Ecco perché, in base alle mie semplici convinzioni, devo rispondere di sì alla domanda che mi hai posto.

Certo, la forma è il modo di estrinsecazione dell'idea, ma è questa il perno, il fulcro di tutto?


Per me sì.
La musica è un codice, la cui funzione è quella di riprodurre suoni (di per sè non artistici) ORGANIZZANDOLI, al fine di suggerire al fruitore piaceri ed emozioni sempre più profonde.
Ecco perché per me il "linguaggio" è assai più che "elementi di comprensione" (come è per te): è l'essenza stessa dell'arte umana.
Il piacere... di per sè non solo non è trascendente (per quanto ho detto), ma non è nemmeno artistico.
Esso (il piacere) c'era già molto prima che fosse inventata l'arte!
L'uomo delle caverne si emozionava di fronte a una cascata.
E la cascata non è arte.

E' con l'organizzazione razionale, l'esaltazione architettonica, la concentrazione del piacere in CODICI e linguaggi convenzionali e FRUIBILI che ha dato inizio alla Storia dell'Arte.
E' chiaro che i codici sono mutevoli e in continua evoluzione, anche perché sono destinati a perdere presto il loro impatto di "piacere": l'uomo ha bisogno di sempre nuove suggestioni;
sperimentare dunque è, da parte dell'artista, necessario.
Ma quando lo sperimentalismo ti porta fuori dalla comunicazione, allora sei fuori anche dall'arte.
Perché oltre al mezzo, smarrisci anche il fine dell'arte, che, dalla notte dei tempi è sempre quello: l'emozione e il piacere di chi ne fruisce.

Non so se sono riuscito a chiarirti il mio pensiero, e in tutti i casi mi scuso delle ingenuità che ho scritto.

Salutoni,
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Re: Karlheinz Stockhausen

Messaggioda Teo » mer 19 mar 2008, 18:07

Sicuramente sono/siamo off-topic, però questo discorso sulla trascendenza artistica o se vogliamo sul concetto dell'arte trovo sia davvero affascinante.

Premetto che, al contrario di MatMarazzi, io credo in una certa qual misura nel trascendentale quindi, non vedo perchè essendo l'arte appunto una forma comunicativa ed espressiva dell'uomo, questo concetto spirituale non possa essere presente.

Mi trovo d'accordo con l'amico Marazzo su alcuni concetti da lui espressi che vado riportando:
La musica è un codice, la cui funzione è quella di riprodurre suoni (di per sè non artistici) ORGANIZZANDOLI, al fine di suggerire al fruitore piaceri ed emozioni sempre più profonde.
Ecco perché per me il "linguaggio" è assai più che "elementi di comprensione" (come è per te): è l'essenza stessa dell'arte umana.

Ma quando lo sperimentalismo ti porta fuori dalla comunicazione, allora sei fuori anche dall'arte.
Perché oltre al mezzo, smarrisci anche il fine dell'arte, che, dalla notte dei tempi è sempre quello: l'emozione e il piacere di chi ne fruisce.


Così come trovo interessante questa definizione di arte espressa da Carlo Sarno:
"L'arte è una attività-olistica costituita da una attività-teorica fondata sull'intuizione che determina una attività-pratica in cui il valore dell'opera realizzata risulta individuato dal suo significato etico, estetico e spirituale".

A me questo concetto piace molto.

Credo che il problema nel riconoscere una forma artistica, nasca quando cerchiamo di dare oggettività al suo significato.
Come detto dal buon Marazzo, ritengo sia importante il concetto dell'organizzazione del linguaggio, ovvero trovare un codice che aiuti a comprenderne i segni; ciò nonostante, ritengo comunque che il valore che si possa attribuire ad un opera, oltre a comprenderne appunto il suo linguaggio, stia proprio nell'emozione e nel piacere che sa trasmettere, e a seconda del caso, questi elementi possono trovare la loro giusta collocazione nei diversi significati etici, estetici e spirituali (a volte uniti a volte disgiunti).

Tutto questo secondo il mio modestissimo parere.

Salutissimi e complimenti per il topic.

Teo
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Re: Karlheinz Stockhausen

Messaggioda dottorcajus » gio 20 mar 2008, 2:57

Rifiutando tutto quanto riconduca al trascendentale, qualunque sia la forma, non posso che essere perfettamente d'accordo con le tesi "ciniche e materialistiche" (per me non lo sono affatto anzi le trovo realistiche) espresse da Matteo.
Trovo che il codice sia un ulteriore elemento oggettivo della musica indispensabile alla sua comprensione, lo definirei l'aspetto "laico" dell'arte. Il codice è indispensabile poichè senza la sua comprensione qualsiasi forma d'arte ci potrebbe restituire emozioni superficiali, spesso indotte da cause esterne all'osservazione od all'ascolto.
L'elemento trascendentale, in quanto elemento soggettivo, non può essere contenuto nel codice e quindi non è parte integrante dell'arte.
Roberto
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