Il "significato non significante" della musica di Rossini

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Il "significato non significante" della musica di Rossini

Messaggioda DottorMalatesta » sab 26 apr 2014, 18:32

"La musica è l'atmosfera morale che riempie il luogo in cui i personaggi del dramma rappresentano l'azione. Essa esprime il destino che li persegue, la speranza che li anima, l'allegrezza che li circonda, la felicità che li attende, l'abisso in cui sono per cadere; e tutto ciò in un modo indefinito, ma così attraente e penetrante che non possono rendere né gli atti, né le parole."

In questa celeberrima definizione, riportata da Antonio Zanolini nella sua “Biografia del Maestro Gioacchino Rossini”, il compositore pesarese si concentra sulla natura espressiva della musica, latrice di significato emotivo, veicolo di stati d’animo. E tuttavia, si noti che, per Rossini, il “modo” della musica – sebbene più attraente e penetrante delle azioni teatrali (“gli atti”) e del libretto (“le parole”) - è “indefinito”, e quindi sfumato, ambiguo.
L’affermazione della natura espressiva della musica può stupire in un compositore in cui la pratica – comune al tempo – dell’ “autoimprestito” travalica i generi espressivi e arriva addirittura al “trapianto” del medesimo brano musicale da un contesto comico ad uno tragico e viceversa. Il carattere saltellante, giocoso, brillante (nelle sonorità, nei ritmi, nelle linee melodiche) applicato con indifferenza al contesto drammaturgico non poteva che risultare incomprensibile per gli esponenti del Romanticismo, e ancora oggi rischia di causare forti perplessità allo spettatore aduso unicamente al linguaggio del repertorio operistico tardo-ottocentesco.
Come sostiene Luigi Allegri, “in scena il grado zero della significazione non esiste, ogni segno è significante, ogni gesto o ogni immobilità lo è, ogni suono, ogni silenzio” [“Prima lezione sul teatro”, edizioni Laterza]. La musica di Rossini, nella sua intrinseca ambiguità e “indefinitezza”, appare tuttavia sfidare questa regola, ponendosi come assenza assoluta di significazione, forma priva di contenuto, esempio paradossale di contenitore che - per la propria natura talmente malleabile e fluida - è in grado di adattarsi al proprio contenuto mantenendosi al contempo inalterata e incontaminata in quanto forma. La musica, in Rossini, è fluido non-significante, in grado di irrigare le situazioni e i contesti più diversi. In questo, essa è l’esaltazione suprema dell’ars gratia artis che – “forma ideal purissima della bellezza eterna” - è bastevole a se stessa, confinata in una torre di cristallo eppur sempre pronta ad incarnarsi negli “atti” e nelle “parole”, per renderli “attraenti” e “penetranti”.

Ecco un esempio celebre di "autoimprestito" (non lo definirei... "autoplagio" :mrgreen: ):



: Thumbup :

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Re: Il "significato non significante" della musica di Rossin

Messaggioda DottorMalatesta » lun 28 apr 2014, 11:47

Ieri sera mi sono visto e riascoltato il Comte Ory nello spettacolo (complessivamente brutto) del ROF, che avevo visto a teatro (il mio battesimo pesarese!) con Florez. E' da un po' che penso alle somiglianze e alle differenze tra il trio e in finale di quest'opera e il finale delle Nozze di Figaro. Sono rimasto stupito nel considerare come, almeno nei saggi che ho letto in questi giorni, si sottolineino le affinità di "atmosfera" tra il trio del Comte Ory e il Così fan tutte, ma in nessun caso ho trovato un riferimento esplicito alle scene undicesima e dodicesima del quarto atto de "Le nozze di Figaro. Eppure, a mio modo di vedere, è possibile che scrivendo il trio e il finale del Comte Ory il "Tedeschino" Rossini, appassionato studioso dell'opera di Haydn e di Mozart, abbia pensato almeno per un attimo proprio alle ultime scene di quest'opera mozartiana.
Eppure quanto è diversa la notte del Comte Ory da quella de “Le nozze di Figaro”! Entrambe sono il regno dell’ambiguità, dell’indeterminatezza. Nel buio della notte ogni certezza viene meno, i volti sono irriconoscibili, e ciò che durante il giorno non doveva o non poteva essere detto, trova finalmente espressione nella transitoria libertà garantita dal velame dell’oscurità. Eppure la notte mozartiana è feconda di mutamento, metamorfosi, evoluzione. Il sole che ne decreta la fine è davvero la luce di un giorno nuovo: il Conte, la Contessa, Figaro, Susanna… nessuno è più quello che era stato il giorno prima, la notte trascorsa “sotto i pini del boschetto” in un “folto giardino” (l’oscura selva dantesca non è poi così distante) è stata per tutti loro vero e proprio percorso iniziatico. Dopo aver conosciuto le oscurità, le profondità più nascoste e impronunciabili del loro essere, essi possono risorgere (come Tamino e Pamina della Zauberflöte) alla luce di un nuovo modo di essere, che – in una commedia dal forte spessore sociale – significa in primis l’assunzione di nuove e più forti responsabilità (“Contessa, perdono! Più docile io sono, e dico di sì”), fondamento di un nuovo ordine dopo il caos primordiale. In Mozart, la luce della razionalità ha la meglio sull’oscurità delle pulsioni indistinte (i “tormenti”, i “capricci, la “follia”), forze della notte in grado di distruggere il singolo e la società.
Nessuna metamorfosi si verifica invece nella notte del Comte Ory, nessuna evoluzione. Il sole, al suono di una crudele marcetta dal sapore felliniano, risveglia i protagonisti esattamente come li aveva lasciati. Nessuna possibilità di trasformazione, nessuna via di fuga da se stessi è data ai personaggi di Rossini. Non tanto perché imprigionati in “tipi”, in tipologie astratte, quanto piuttosto perché immersi in un tempo che non permette alcuna evoluzione. Il tempo, in musica, è il ritmo che alla musica impone il passo, ed è la melodia, panorama che in quanto sempre cangiante diventa l’espressione di un cammino, di un’evoluzione. La musica si fa tempo nel ritmo e nella melodia. Ma nel trio del Comte Ory (“À la faveur de cette nuit obscure”) la scansione ritmica degli archi, il ritorno ossessivo della melodia (contro la quale le onde dei fiati sembrano quasi ribellarsi) evidenzia la natura illusoria del tempo rossiniano, che pur nel brulicare ritmico e nella ricchezza melodica, è in realtà bloccato ossessivamente in un meccanismo da orologeria.
All’illuministica fiducia nella luce della ragione di Mozart subentra il disperato, ossessivo, nevrotico cinismo di Rossini, che si può permettere di ridere e sorridere di ogni cosa, perché sa che il progresso è fallace, la verità è mescolata alla menzogna, e nel mondo non esiste che il relativo, la finzione, il gioco.





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Re: Il "significato non significante" della musica di Rossin

Messaggioda DottorMalatesta » lun 28 apr 2014, 16:41

Proseguiamo questa discussione filosoficheggiante :mrgreen: ...
Certo, Vittorio, hai ragione. Eppure a me sembra che l’aspetto “reazionario” in Rossini non riguardi solo la sua concezione filosofico-politica, ma investa in primo luogo le caratteristiche della sua musica. Reazionaria mi sembra prima di tutto la sua musica, nel suo essere al di fuori della storia e del tempo, non-significante, metafisica.
Nella sua paradossale e programmatica assenza di significato, nel suo spingersi alla negazione della sua stessa natura (che è il tempo), la musica di Rossini mi sembra possa essere considerato l’antecedente più immediato del Bolero di Ravel, ovvero del più paradossale e metafisico brano di musica mai composto. Qui la negazione del tempo in musica, già presente in nuce nelle composizioni di Rossini, si fa esplicita: la ripetizione ossessiva di ritmo e melodia impongono all’evoluzione della musica una stasi forzata, costringendola alla prigione dell’eterno ritorno. Il passo (il ritmo) è sempre lo stesso, il panorama (la melodia) pure: nel Bolero di Ravel si ha solo illusione del movimento, illusione dello scorrere del tempo. Eraclito e Parmenide, il divenire nell’immutabile stasi. Mica male :mrgreen: !!! In termini ben più prosaici, il Bolero di Ravel può essere considerata la traduzione musicale del “tapis roulant” :mrgreen: : con questa musica si cammina rimanendo fermi, il tempo scorre ma le lancette dell’orologio restano immobili!
A me sembra che questi aspetti si ritrovino puntualmente nella musica di Rossini. Penso a quello straordinario ingranaggio musicale che sembra stritolare in una vera e propria "tortura ritmica" i personaggi nel finale del I atto dell’Italiana in Algeri (con quel canone ad infinitum: “confusi, confusi e stupidi”), peraltro oggetto di un bellissimo saggio di Lorenzo Bianconi (“Confusi e stupidi. Di uno stupefacente (e banalissimo) dispositivo metrico”).



In questo “meccanizzazione” del ritmo il gioco in Rossini e Ravel si confonde con la nevrosi ossessiva e la coazione a ripetere. Forse non è un caso che Ravel amasse collezionare automi e orologi meccanici (ai quali dedicò addirittura la deliziosa operina, non a caso comica, L’heure espagnole”). E forse, ma qui forse mi spingo troppo lontano, non è un caso che entrambi i compositori siano stati vittime di gravi disturbi neurologici/psichici: Ravel affetto da demenza, Rossini da grave disturbo bipolare :roll: .

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vittoriomascherpa ha scritto:
DottorMalatesta ha scritto:Nessuna possibilità di trasformazione, nessuna via di fuga da se stessi è data ai personaggi di Rossini.

Secondo me, però, è proprio la disponibilità di vie di fuga da sé stessi che garantisce l'impossibilità della trasformazione.


Certo, è vero anche questo: noi siamo le nostre scelte, camminiamo, cresciamo, viviamo, ci trasformiamo proprio perché operiamo delle scelte, che necesssariamente sono mutuamente esclusive. Di fronte ad un bivio proviamo l'ebbrezza dell'infinito davanti a noi, eppure sperimentiamo la nostra finitudine, in quanto siamo costretti a scegliere una sola strada, scartando tutte le altre opzioni, pena il restare immobili. Come dice il saggio, "Quando ti trovi ad un bivio, imboccalo." :mrgreen:

P.S.: questo thread mi sembra più adatto ad un Philoso-forum :lol: :mrgreen: :oops: 8)
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Re: Il "significato non significante" della musica di Rossin

Messaggioda DottorMalatesta » mer 30 apr 2014, 15:39

Temo di essere stato impreciso nell'utilizzare il termine "reazionario" (parola alla quale si associa un significato negativo). Mi sari dovuto limitare a definire la musica di Rossini "al di fuori della storia e del tempo, non-significante, metafisica".

vittoriomascherpa ha scritto:Piú o meno allo stesso modo, il cromatismo del Tristano (e, su scala tecnicamente molto minore ma significativa nel contesto dell'opera di Verdi, del Simone Boccanegra) esprime molto bene e in forma convergente, il tramonto degli ideali del Vormärz (etichetta storica applicabile, a mio parere, anche all'Italia).


Oppure potrebbe esprimere la tendenza ad una maggior profondità di visione, ad un tentativo di non limitarsi alla superficie, all'apparenza (un'apparenza "filosofica", il velo di Maya nel Tristan) o al semplicismo (il Simone affronta la tematica politica con un'originalità ed una profondità uniche nel panorama operistico italiano di metà-fine Ottocento).

anche se nella biblioteca di Bayreuth è visibilissima una partitura del Guglielmo Tell, ma non della cosiddetta "cattedrale del bel canto").


Mi sembra chiaro che la "poetica del sublime e dell'indefinito" - che accomuna tutti i romantici, in tutti gli ambiti, dalla filosofia, all'arte visiva, alla letteratura da Caspar David Friedrich a Giacomo Leopardi - di cui è intriso il Guillaume Tell (quel suono misterioso dei corni che non si sa da dove provenga...) si estenda ad interessare l'opera di Wagner (si pensi all'assolo del corno inglese all'inizio del III atto del Tristan).
Nel Guillaume Tell e nel Romanticismo la "poetica del sublime e dell'indefinito" va letta in un contesto di un panteismo pagano (o paganesimo panteistico), in cui "Dio" (lo chiamo così giusto... per "semplicità" :mrgreen: ) è immanente nella natura o comunque nella natura si manifesta. Con Wagner la "poetica del sublime e dell'indefinito" si allontana da una concezione di panteismo naturalistico, assumendo un riflesso più propriamente metafisico, come porta tramite cui accedere al "mondo come realtà", nascosto sotto il velo del "mondo come rappresentazione".
Tutto questo, almeno, per come la vedo io...

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Re: Il "significato non significante" della musica di Rossin

Messaggioda teo.emme » mer 30 apr 2014, 18:00

Francamente non trovo nulla di più anti romantico - per stare al repertorio operistico ottocentesco - della musica di Rossini, Guillaume Tell compreso. L'equivoco è nello scambiare le suggestioni del soggetto (e le sue tarde interpretazioni e semplificazioni) con il suo contenuto musicale. Proprio l'adesione ad una idealità della forma, pur dilatata e portata a conseguenze inimmaginabili, si pone come discrimine invalicabile tra Rossini e il melodramma o la musica romantica: da una parte vi è la funzione autarchica della musica che trascende il testo e lo rielabora in una costruzione intellettuale, dall'altra vi è la ricerca di effetti/affetti attraverso la musica. Mentre nel primo caso il gioco è razionale (e l'irrazionale è un rischio calcolato), nel secondo il fine è il coinvolgimento emotivo (ora patetico ora lirico ora impetuoso). In questo vedo piuttosto la grande "inattualità" (inteso come lo intendeva Nietzsche) della musica di Rossini che non è mai reazionaria, non si riporta ai vecchi stilemi del passato, ma costruisce una diversa immagine del passato a cui aderire intellettualmente.
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Re: Il "significato non significante" della musica di Rossin

Messaggioda DottorMalatesta » mer 30 apr 2014, 19:14

Però il dramma da cui è tratto il libretto (1804), di Schiller (peraltro autore di un saggio di filosofia estetica del 1801 intitolato, per l'accunto, "Del sublime"), è imperniato sui concetti di libertà, popolo, natura e nazione. Che poi Duprez ci abbia messo del suo nello stravolgere la raffinata e stilizzata eleganza della vocalità di Arnold, e molti altri musicisti successivi abbiano visto nel Tell un'opera patriottarda (basti pensare alle esecuzioni in italiano dei primi anni '50 del Novecento) non ci piove.
Al di là del soggetto legato alla ribellione di un popolo allo straniero e all'anelito alla libertà - elementi che, presenti nel dramma originario, radicano fortemente la vicenda all'interno del contingente della storia-, l'atmosfera musicale del Guillaume Tell esalta comunque un'idealità della forma, una poetica del sublime e dell'indefinito (Rossini stesso parla di "indefinito" a proposito della funzione della musica) che, sebbene sempre presenti in Rossini in un idealismo astratto e inattuale (concordo pienamente con te!), nella sua opera estrema sono intrinsecamente legati ad un panteismo nella natura.
Rispetto alle sonorità della natura de "La Donna del Lago", a me sembra che il "canto" di questa Natura (forse per la prima volta intesa con la maiuscola, quasi fosse una divinità!) sia un elemento primario nel Guillaume Tell (basti pensare al finale dell'opera o alle sonorità dei corni fuoriscena).



Sono molto d'accordo nel dire che Rossini rifiutasse ogni valenza descrittiva alla propria musica (e per descrittivo intendo anche la "ricerca di effetti/affetti attraverso la musica"), valenza che - nelle concezioni estetiche dell'epoca - erano invece attribuite alla poesia e alla pittura ("ut pictura poesis"). In questa concezione, testo letterario e arte visiva hanno una componente oggettiva che tende invece sgretolarsi nella musica. Rossini di certo non avrebbe potuto nemmeno concepire l'esistenza del poema sinfonico, della musica a soggetto! E pensare che la Symphonie Fantastique venne eseguita nel 1830, appena un anno dopo il Tell. E' interessante ricordare che Berlioz (!), nel celeberrimo commento critico al Guillaume Tell, scrisse che l'ouverture dell'opera rappresenterebbe "ce silence solennel de la nature, quand les éléments et les passions humaines sont en repos" (il silenzio solenne (!) della natura (!))... Insomma, riconosce in Rossini l' "inventore" del poema sinfonico. Che fosse vero o no, poco importa. Però è significativo vedere come i contemporanei valutassero il Guillaume Tell. Per loso Rossini arriva sulla soglia di un mondo nuovo, apre una porta, ma si rifiuta di fare un passo in avanti.

DM

P.S.: scusate la mia prosa e l'ipotassi estrema... :oops:

P.P.S.: dimenticavo. Sempre a proposito di "Natura" (con la enne maiuscola nel Tell) ricordo l'inserimento del ranz de vaches nell'ouverture



ifrequenti richiami a canti popolari, le sonorità dei corni fuoriscena, il finale dell'atto secondo (con l'arrivo dei rapppresentanti dei tre cantoni), i numerosissimi cori (tra cui quello iniziale, con l'inno al Créateur de l'univers!!, quello che apre il II atto, quello conclusivo...) in cui i richiami agli elementi della natura e del "paesaggio naturale" sono espliciti...
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