Che diciamo di Meyerbeer?

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Che diciamo di Meyerbeer?

Messaggioda MatMarazzi » lun 13 set 2010, 23:59

Prendo spunto da un suggerimento di Rodrigo e apro un thread sul grande Meyerbeer, con particolare attenzione ai suoi 4 grand-opéra.
E' un argomento che mi sta molto a cuore e spero nel contributo di tutti.

Rodrigo ha scritto:Non ho mai capito come un compositore che eccitava folle intere sia stato cancellato dai repertori e che anche oggi, in cui molta acqua è passata sotto i ponti, le riprese siano rarissime e non abbiano (mi pare) dato luogo a qualcosa di paragonabile - tanto per dire - alla rinascita rossiniana. Aveva ragione Schumann allora? : Chessygrin :


No! :) aveva torto!
(n.d.a: e poi che se ne restasse a far sinfonie. Non mi pare che la Genoveva abbia cambiato la storia dell'Opera; certo molto meno degli Ugonotti).
:twisted: :twisted:

Io credo, spero, Rodrigo, che qualcosa si stia muovendo.
Non mi pare poco che un teatro "progressista" come Bruxelles annunci un Ugonotti iper-filologico, con Minkowsky sul podio, la regia di Py, e un cast scelto con straordinario acume (la Delunsch, Cutler, la Petersen...).
"Ma dimmi..." ;)
Mi pare di capire che tu personalmente non ami Meyerbeer? Se sì, dicci cosa non ti garba? Partiamo dai difetti...

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Re: Che diciamo di Meyerbeer?

Messaggioda mattioli » mar 14 set 2010, 17:47

Non aprite quella porta...
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Re: Che diciamo di Meyerbeer?

Messaggioda MatMarazzi » mar 14 set 2010, 17:55

mattioli ha scritto:Non aprite quella porta...


Ehilà! :) Guarda chi si materializza!
E' sempre un grande piacere risentirti!
(A proposito, tu ci sarai a Bruxelles, vero? Io probabilmente ci andrò il 15 giugno).

E... come mai non dovremmo aprire la porta? :?: :?:
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Re: Che diciamo di Meyerbeer?

Messaggioda mattioli » mar 14 set 2010, 18:11

A Bruxelles ci sarò, forse due volte per entrambe le compagnie. Ti segnalo fra l'altro che gli Ugonotti vengono riesumati anche a Madrid, anche se (grave errore) solo in forma di concerto.
Non apriamo la porta Meyerbeer perché il discorso sarebbe interessantissimo, complicato, affascinante ma anche lungo e uno che fa fatica a trovare il tempo per scrivere quello per cui viene pagato lo trova difficilmente per scrivere per suo piacere. Ma non sai quanto mi piacerebbe...
Cmq al solito hai centrato l'argomento: prima o poi (meglio prima che poi) il caso Meyerbeer dovrà essere affrontato... e non solo per le solite ragioni storiche, cioè che senza Meyerbeer non si capisce una fetta di Ottocento e il grand opéra e bla-bla-bla, ma proprio per capire se ha qualcosa da dire a noi oggi, che è poi l'unica cosa che ci interessa e, se sì, perché diavolo non gliela facciamo dire. Sulla speranza che Meyerbeer torni all'onor del mondo (il Meyerbeer importante, intendo: Il Crociato in Egitto possiamo lasciarlo a chi sappiamo...) non sarei troppo ottimista...
Ciao ciao
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Re: Che diciamo di Meyerbeer?

Messaggioda pbagnoli » mar 14 set 2010, 18:18

Amo molto gli "Ugonotti"; centrarne lo stile esecutivo, però, mi sembra difficilissimo.
Di tutte le versioni che ho ascoltato, quella che mi sembra più centrata è quella live di Vienna 1970, con Gedda, Enriqueta Tarrès e Rita Shane. I tre interpreti sono, a mio gusto, assolutamente perfetti nel mix di afflato eroico-misticheggiante, abbandono sentimentale, giusta dose di languore. In particolare, alla voce "tenore" c'è l'interprete ideale: il Gedda di quel 1970 è magari già un filo avanti ma, nondimeno, veramente stratosferico.
Vi metto qui un frammento del duettone Raoul-Valentine, il più significativo. Qui Gedda fa uso di un'emissione mista di testa da vero haute-contre che fa un po' inorridire certi puristi dell'emissione di petto a tutti i costi, ma gli assottigliamenti, le smorzature, l'esaltante ebbrezza comunicativa sino al "Viens, fuyons" finale - raggiante per l'insolente facilità - è qualcosa che non ho più ritrovato in nessun altro interprete. La Tarrès - pur bravissima - al confronto appare un po' stridulina:

Vi posto adesso lo stesso duetto cantato da Franco Corelli e Giulietta Simionato. La Simionato è - come al solito - intelligentissima nel creare un personaggio inizialmente altero in cui l'albagia si stempera progressivamente nella sollecitudine e nell'amore. Corelli invece non c'entra nulla. Il colore è bellissimo, come sempre; il personaggio è invece inesistente, soffocato nei singhiozzi in stile Amedeo Nazzari, e poi rifugge tutta la progressione di "Viens, fuyons!" che tanto esalta la nobiltà e l'appropriatezza stilistica dell'emissione di Gedda. Corelli NON E' Adolphe Nourrit. Non sono pregiudizialmente contro alle invasioni dei grandi artisti in repertori che non appartanerebbero loro, ma qui oggettivamente c'è un abisso (oltre al fatto che è tutto tagliato; anzi, amputato):


Vi invito adesso ad ascoltare il piglio guascone - che pure si stempera in estasianti mezzevoci - di Gedda nel duetto con Marguerite, qui un'impegnatissima Rita Shane. Nella pur celebratissima versione scaligera, quella con la Sutherland, Corelli - ad onta di un timbro più scuro e virile - taglia indegnamente tutte le impennate all'acuto. Sentite Gedda con la Shane:

Non ho invece trovato il duetto con la Sutherland, ma non è una gran perdita anche perché gli interventi del tenore sono praticamente inesistenti.

Da quanto sopra detto, risulterà evidente quanto io consideri importante il ruolo del tenore in un'opera del genere, che pure avrebbe fra i protagonisti molti elementi di interesse anche nelle altre voci.
Il punto è che proprio la vocalità à la Nourrit è probabilmente l'elemento più difficile da recuperare in un'opera del genere.
Ho ascoltato tenori molto acuti, che pure non riuscivano a convincermi in questa parte; persino Blake, cantante dalla rara intelligenza e uno di quelli che amo maggiormente sotto tutti i punti di vista, non riesce a trovare la quadratura in questa parte.
Voi che ne pensate?
"Dopo morto, tornerò sulla terra come portiere di bordello e non farò entrare nessuno di voi!"
(Arturo Toscanini, ai musicisti della NBC Orchestra)
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Re: Che diciamo di Meyerbeer?

Messaggioda MatMarazzi » mar 14 set 2010, 19:04

mattioli ha scritto:A Bruxelles ci sarò, forse due volte per entrambe le compagnie.

magnifico... Vedi almeno di esserci il 15, così ce lo vediamo insieme!

Non apriamo la porta Meyerbeer perché il discorso sarebbe interessantissimo, complicato, affascinante ma anche lungo e uno che fa fatica a trovare il tempo per scrivere quello per cui viene pagato lo trova difficilmente per scrivere per suo piacere. Ma non sai quanto mi piacerebbe...


Lo so... So bene che non hai il tempo di partecipare attivamente a un forum e so bene anche che l'argomento è di vastità intimidatoria.
Come hai scritto, le implicazioni culturali, storiche e poetiche dei capolavori di Meyerbeer sono importanti quanto i capolavori stessi... in certi casi anche di più. Si sa dove si parte e non si sa dove si arriva.

Sulla speranza che Meyerbeer torni all'onor del mondo (il Meyerbeer importante, intendo: Il Crociato in Egitto possiamo lasciarlo a chi sappiamo...) non sarei troppo ottimista...


Capisco il tuo pessimismo, eppure io sento che le cose stanno cambiando e che la freddezza di molti direttori artistici degli ultimi vent'anni (condizionati, anche i più grandi, da pregiudizi anti-borghesi e post-sessantottardi) stia per essere superata.
Guarda l'intellettualissima Parigi, che frequentiamo molto entrambi! Vi trovi un teatro essenzialmente dedito alla riscoperta del repertorio popolare ottocentesco (la Salle Favart) e un altro che sta facendo del Musical americano il centro della propria attività (Chatelet).
Non ti pare che siano segnali?
A me pare che anche nell'ambito delle dirigenze teatrali europee vi sia, finalmente, un cambio generazionale: la fase (gloriosa intendiamoci) dei direttori artistici post-sessantottini sembra volgere al termine e che ad avvantaggiarsi del cambiamento saranno proprio gli operisti "borghesi" e "popolari" primo- o medio-ottocenteschi, sottovalutati negli scorsi decenni.

In questo senso già il recupero di Ugonotti sia a Madrid, sia a Bruxelles (peraltro con criteri esecutivi giovani e moderni) è, a mio parere, benaugurante.
Isn't it?

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Re: Che diciamo di Meyerbeer?

Messaggioda MatMarazzi » mar 14 set 2010, 19:32

pbagnoli ha scritto:Il punto è che proprio la vocalità à la Nourrit è probabilmente l'elemento più difficile da recuperare in un'opera del genere.
Ho ascoltato tenori molto acuti, che pure non riuscivano a convincermi in questa parte; persino Blake, cantante dalla rara intelligenza e uno di quelli che amo maggiormente sotto tutti i punti di vista, non riesce a trovare la quadratura in questa parte.
Voi che ne pensate?


Intanto grazie dei bellissimi ascolti.
Per quanto riguarda il personaggio tenorile e la sua centralità nelle opere di Meyerbeer, voglio aggiungere che per Nourrit Meyerbeer scrisse solo i primi due, ossia Robert (Robert le Diable) e Raoul (Uguenots).
L'immenso personaggio di Jean de Leyde (Profeta) fu scritto per Roger: ne parlammo a proposito di Kunde e Di Stefano, ricordi? Roger fu anche il creatore dei Vespri Siciliani.
Invece Vasco de Gama (Africaine) fu scritto per un cantante tutto italiano, come Emilio Naudin.

Interessante anche la distinzione delle prime donne, che sono sempre due.
Una "à roulades" e una (diremmo oggi) più drammatica, almeno a partire dagli Ugonotti.

Infatti:
UGONOTTI: Margot di Navarra (à roulades, creato dalla Dorus-Gras) e Valentine (drammatica, creata dalla Falcon).
PROFETA: Bertha (à roulades, creato dalla Castellan) e Phidès (drammatica, creata dalla Viardot)
AFRICAINE: Ines (à roulades, creato dalla Battu) e Selika (drammatica, creata dalla Sass)

Con il Robert le Diable c'è qualche problema.
Come imitazione delle altre opere, tendiamo a affidare la parte di Isabelle a un soprano acuto e virtuoso (la Scotto, la Anderson), mentre quella di Alice addirittura a un mezzosoprano.
In fondo la stessa Falcon si impossessò, l'anno dopo la creazione, di Alice, facendone una composizione geniale e idolatrata.
E tuttavia la parte era stata scritta per la giovane Dorus-Gras (ossia lo stesso soprano acuto che avrebbe creato Marguerite), mentre Isabelle fu creata dalla diva dell'Opéra Laura Cinti-Damoreau, dalla voce certamente più fastosa e centralizzante (prima Matilde, per intenderci).

Interessante la questione dei baritoni e dei bassi.
Levasseur detenne la creazione dei personaggi più mastodontici del repertorio meyerberiano.
- Bertram nel Robert le Diable,
- Marcel degli Ugonotti
- Zacharie del Profeta (da notare che l'altro anabattista, ossia Jonas, fu creato dal celebre tenore Gueymard).

In compenso il personaggio di Nelusko (il primo vero grande ruolo per baritono lasciatoci da Meyerbeer, il più alto esemplare di baritono "extra-comunitario" ottocentesco) fu creato da Faure.

Ci sono tantissime considerazioni da fare anche semplicemente da queste "scritture".

Per ora mi limito a sottoporvi una delle più elettrizzanti incisioni meyerberiane della storia.
Il Nelusko di Titta Ruffo.

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Re: Che diciamo di Meyerbeer?

Messaggioda mattioli » mar 14 set 2010, 19:43

D'accordo sull'Opéra-Comique, un po' meno sullo Chatelet (scusate, non riesco a fare l'accento circonflesso), ma solo per una questione di gusti personali (in altri termini: il musical mi piace un sacco, ma a Broadway o nel West End).
Assolutamente sì anche su un ricambio generazionale e soprattutto culturale ormai non più eludibile, di cui la dimostrazione più clamorosa è, secondo me, l'approdo di Dominque Meyer a Vienna: l'uomo che ha costruito la grandezza degli Champs-Elysées sul barocco, e sul barocco fatto nel modo che ci piace, che conquista quella veneranda "grande boutique" che è la Staatsoper.
A proposito di "grande boutique": mi sembra che sia un ottimo segno la scelta di Py per gli Ugonotti, ma credo sia destinato a restare piuttosto isolato. Rimane, a mio modestissimo parere, da affrontare il problema dell'aspetto scenico delle opere di Meyerbeer (quello vocale diamolo per perso se vogliamo ritrovare i suoni dei 78 giri; ma, visto che ci interessa altro...). Posto che Meyerbeer non è solo effetti senza cause, va però detto che gli effetti ci sono. E rivedere in teatro un film di De Mille non mi interessa. Insomma il problema è: come declinare, oggi, una spettacolarità così fastosa e magniloquente e kolossal come quella del Nostro? Perché la spettacolarità è consustanziale alle opere di Meyerbeer: non è la ciliegina sulla torta, ma proprio un ingrediente della medesima.
Non a caso, l'allestimento della "Juive" di Halévy che vidi a Vienna (quello con Shicoff anche in dvd: io amo moltissimo la "Juive" - Matteo magari no - e Halévy mi interessa anche più di Meyerbeer: per esempio il suo "Charles VI" - sentito in una raffazzonata esecuzione a Compiègne - è interessantissimo) funzionava benissimo con momenti di autentica emozione nelle scene più intime, ma "toppava" nel restituirne la magniloquenza che, ripeto, non è solo contorno. Anche perché il passo drammaturgico di Meyerbeer è concepito proprio in funzione di questi ritmi: cercare di "verdizzarlo" tagliando di qua e stringendo di là, tipo Gavazzeni negli Ugonotti alla Scala, significa snaturare l'opera. E non perché vogliamo a tutti i costi l'integralità assoluta, ma proprio perché la drammaturgia è diversa. Né, credo, il problema sia risolvibile con attualizzazioni che poi sono spesso banalizzazioni, tipo: gli Ugonotti parlano di fanatismo religioso, quindi li piazzo nell’Irlanda del Nord Anni Settanta o in Medioriente oggi e il problema è risolto (e lo dico io che sono un pasdaran delle regie “moderne”, ma proprio per questo dico che ce ne sono di buone e di cattive). Certo, un Robert le diable di Carsen o un’Africana di McVicar potrebbero essere la quadratura del cerchio (però il Meyerbeer più difficile da mettere in scena resta quello della Dinorah - e allora Guth!). E la lunga lista dei problemi per rimettere in scena Meyerbeer potrebbe continuare a lungo.
Vabbé, per uno che non voleva scrivere mi sembra che ho dilagato abbastanza. Scusate l’intrusione e l'italiano involuto. E poi, Matteo, da qui a giugno sentiamoci, così almeno ci mettiamo d’accordo sulla data (e poi c’è un ristorante fantastico a due passi dalla Monnaie...). Scusate ancora, saluti
AM

PS: Ahi, Matteo: Roger fu il creatore del Prophète, non dei Vespri (quello fu Gueymard). Era un tenore d’opéra-comique che si scassò la voce per cantare Meyerbeer all’Opéra e poi, mi sembra di ricordare, perse un braccio o una gamba in un incidente di caccia... Avevo la sua autobiografia: se ti piacciono, come credo, i tenori intellettuali alla Nourrit, vale la pena di leggerla...
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Re: Che diciamo di Meyerbeer?

Messaggioda MatMarazzi » mar 14 set 2010, 22:35

mattioli ha scritto:il musical mi piace un sacco, ma a Broadway o nel West End


Be', Alberto, dipende un po' anche da come lo si vuol fare.
Broadway va bene per le creazioni contemporanee; molto meno - secondo me - per il Musical classico. Le rare volte che riprendono titoli antichi lo fanno come se fossero dei "remake" cinematografici, da aggiornarsi sulle tendenze e sulle convenzioni del musical di oggi (un po' avveniva all'opera negli anni 30, quando si eseguivano i capolavori di Monteverdi con grande orchestra, interpreti verdiani e Ottone baritono).
Lo Chatelet ha capito, per me, che i musical storici sono pronti per essere fagocitati dall'Opera, ed essere riproposti in ...edizione critica, strumenti originali e fasto di allestimenti intelligenti, proprio come è successo con l'operetta di Offenbach (proprio allo Chatelet) e con ogni forma di teatro musicale... diventato vecchio! :)
E in tutti i casi, non sono tanti gli allestimenti di Broadway che mi attraggono quanto il "My fair Lady" con la regia di Carsen che faranno allo Chatelet!!

Dominque Meyer a Vienna: l'uomo che ha costruito la grandezza degli Champs-Elysées sul barocco, e sul barocco fatto nel modo che ci piace, che conquista quella veneranda "grande boutique" che è la Staatsoper.


Quando finalmente si sarà sbarazzato dell'eredità Holander (che del buono ne aveva, ma anche tanto ciarpame), Meyer ci farà vedere quanto vale.
Mi dispiace solo per i bravi ragazzi dell'An der Wien, che rischieranno di perdere le loro posizioni d'avanguardia nella capitale austriaca. ;)

Il problema è: come declinare, oggi, una spettacolarità così fastosa e magniloquente e kolossal come quella del Nostro? Perché la spettacolarità è consustanziale alle opere di Meyerbeer: non è la ciliegina sulla torta, ma proprio un ingrediente della medesima.


Assolutamente vero! La sfida sarà questa.
Ed assolutamente vero anche che la formula (tipicamente sessantottina) di risolvere lo sfarzo borghese del grand-opéra con riletture intellettuali alla tedesca non regge (anche se Kramer resta un grandissimo e la sua Juive decisamente efficace). O, per lo meno, può reggere per un caso isolato - come appunto la Juive a cui facevi riferimento - ma non nella prospettiva della resurrezione di un intero repertorio.
Oggi siamo in una fase di travolgente ricerca linguistica, nell'ambito della regia musicale.
Superata l'ossessione contenutistica dei registi mitteleuropei, e grazie anche all'ormai lungo contributo di autentici sperimentatori e contaminatori di generi come Jones e Carsen, ci stiamo avviando sempre più sulla fusione di tutte le forme di musica-immagine prodotte dalla nostra società.
Dalla clip di musica rock al "cirque du soleil", l'infinita varietà di lingue visivo-musicali tendono a convergere, in una grande, sfolgorante macchina globalizzata.
In quest'ottica rientrava - non so se l'hai visto - il Benvenuto Cellini a Salisburgo con la regia di Stoelz; io l'ho visto dal vivo e, se anche ammetto che il risultato fu alla fine discutibile (perché non si può riassumere la ricerca linguistica in una gag continua: è più facile sputtanare una drammaturgia difficile che non farla funzionare), tuttavia ho dovuto riconoscere che quella era la strada giusta per il Grand-Opéra.
L'effettismo travolgente che tu - giustissimamente - consideri connaturato a questa drammaturgia, può trovare il suo contraltare moderno nella sperimentazione figurativa, nella stratificazione culturale e figurativa delle regie moderne.

Quindi... sì, Py va bene. Però piuttosto che un sopravvissuto francese (di genio, intendiamoci) della cultura sessantottina, avrei preferito un americano capace di mescolare e far reagire i linguaggi estremi e contrapposti dell'immagine attuale.
Staremo a vedere... e speriamo che anche questi Ugonotti non si risolvano nella solita ricontestualizzazione da lunghi coltelli. :)

Certo, un Robert le diable di Carsen o un’Africana di McVicar potrebbero essere la quadratura del cerchio (però il Meyerbeer più difficile da mettere in scena resta quello della Dinorah - e allora Guth!).


:) che è esattamente quel che avevo in mente io! :)
Vogliamo anche metterci un'Africaine di Jones o un Etoile di Nord di Lepage?

Ahi, Matteo: Roger fu il creatore del Prophète, non dei Vespri (quello fu Gueymard).

Ma certo... hai ragione! :)
Parlare di Gueymard mi ha confuso la testa. A proposito:

Avevo la sua autobiografia: se ti piacciono, come credo, i tenori intellettuali alla Nourrit, vale la pena di leggerla...

Incredibile! :) ce l'ho anche io... Un vecchio esemplare da bancarella. L'ho sleggiucchiato a spizzichi e bocconi. Seguirò il tuo consiglio.

Salutoni,
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Re: Che diciamo di Meyerbeer?

Messaggioda mattioli » mar 14 set 2010, 23:32

Sì, certo...
E tuttavia non vorrei che si passasse da un estremo all'altro. Non vorrei, in altri termini, che un'eventuale resurrezione di questo repertorio, da intendere ovviamente come ricerca di quanto di presente c'è nel suo passato e non come confronto fra il do acuto del tenore e quello di Escalais, si risolvesse soltanto in una serie di contaminazioni linguistiche o prodigi scenotecnici. Il rischio che corre un genio riconosciuto come Lepage è, secondo me, quello dov'è già rovinosamente caduta la Fura, cioè in un mero adeguamento hi-tech del vecchio decorativismo, come se Zeffirelli, parlandone da vivo, scoprisse il computer o la videografica. L'idea di Gelb di affidare a Lepage il nuovo Ring del Met è giustissima (da quarant'anni abbiamo rotto il giocattolo per vedere com'è fatto dentro, ora proviamo a rimontarlo e a rimetterci a giocarci) ma non vorrei che ci ritrovassimo con le corna in testa, sia pure aggiornate al Duemila...
Il tutto complicato dal fatto che, lo ripeto ma secondo me è centrale, la drammaturgia del grand opéra è difficilissima perché se si parte dal fatto che c'è un piatto forte e il resto (danze, cori, pezzi di bravura, Margherite di Valois gorgheggianti) è contorno, si finisce per distruggerla. La scelta di Py mi sembrava azzeccata proprio perché il signore, che certo ha un approccio molto intellettuale e anzi intelletualistico, ha però dimostrato (Tristan, Contes) di saper usare e magari anche divertirsi con il "mezzo" teatrale. Altrimenti, come dici giustissimamente tu, si frana nella gag. Il Cellini di Salisburgo non l'ho visto, nemmeno in video, ma quello di Zurigo di Pountney era così (ma io ero andato per sentire Gardiner...).
Senza contare l'altro convitato di pietra che incombe su Meyerbeer & affini: lo storicismo. Insomma, la notte di San Bartolomeo con le gorgiere e i pugnali ce la mettiamo o no? Vedi che è un discorso troppo complesso? Non bisognava aprire quella porta... però far due chiacchiere fa bene. E complimenti per il sito. Ciao ciao
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Re: Che diciamo di Meyerbeer? (ot)

Messaggioda Maugham » mar 14 set 2010, 23:46

mattioli ha scritto:Assolutamente sì anche su un ricambio generazionale e soprattutto culturale ormai non più eludibile, di cui la dimostrazione più clamorosa è, secondo me, l'approdo di Dominque Meyer a Vienna: l'uomo che ha costruito la grandezza degli Champs-Elysées sul barocco, e sul barocco fatto nel modo che ci piace, che conquista quella veneranda "grande boutique" che è la Staatsoper.


Speriamo proprio!
Sono appena uscito dalla grande boutique dove davano la prima della Forza del destino con due debutti viennesi importanti.Westbroek e Lucic. Incredibile che la Westbroek fosse la prima volta che metteva piede su quel palcoscenico! :roll: Accanto a loro Armiliato, Furlanetto e Krasteva. Allestimento di Pountney. Teatro esaurito. Pubblico gelido. Gli applausi fragorosi solo ad Armiliato. :shock: Veniva giù la boutique. Battimani calorosi a Furlanetto. Cortesie a Lucic e Westbroek. Sonori buu alla Krasteva. Voglio vedere come fara' Meyer a conquistare il pubblico più reazionario d'Europa dopo la Scala.
Vediamo domani sera con il Tannahauser di Guth. Botha ha gia' dato forfait. Al suo posto Van Aken.
Con calma parleremo di questa fuerza del sino.
Ciao
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Re: Che diciamo di Meyerbeer?

Messaggioda mattioli » mer 15 set 2010, 0:04

Mi stupisco del suo stupore. Il pubblico di Vienna non lo definirei nemmeno "reazionario", aggettivo che per me ha una certa solenne bellezza (mi evoca Chateaubriand, De Maistre etc.) ma proprio e solo ottuso. Ha sempre osteggiato con una pervicacia demente qualsiasi novità, a partire da quando Karajan iniziò a fare i Mozart-Da Ponte in italiano suscitando incredibili proteste. A Vienna, come del resto in Italia, si crede che la bellezza consista nel fare le cose come si sono sempre fatte. Sono degli adoratori del luogo comune, e infatti, per dire, è una delle poche città dove ancora si prende sul serio Muti, non a caso non amato a Berlino. Ma del resto basta leggere quel che Bernhard scrive nel "Soccombente" di Salisburgo per avere un quadro di come sono davvero questi posti.
Quindi Meyer non li conquisterà affatto, o meglio riporterà semplicemente alla Staatsoper quelli che hanno traslocato un po' più in là, all'An der Wien. Meyer sarà osteggiato, criticato, contestato e poi, quando se ne andrà, il suo modo di fare teatro sarà diventato la regola e in suo nome sarà osteggiato, criticato e contestato il suo successore.
Scusi la replica, complimenti per la sua prosa. Cordialità
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Re: Che diciamo di Meyerbeer?

Messaggioda Riccardo » mer 15 set 2010, 0:32

mattioli ha scritto: A Vienna, come del resto in Italia, si crede che la bellezza consista nel fare le cose come si sono sempre fatte. Sono degli adoratori del luogo comune, e infatti, per dire, è una delle poche città dove ancora si prende sul serio Muti, non a caso non amato a Berlino.

Al di là di Muti, che però oltre a Vienna sguazza anche a Salisburgo e ora a Chicago...
E' verissimo quanto scrivi sul pubblico di Vienna, anche se secondo me ci sono alcune differenze rispetto all'Italia. Quel "fare le cose come si son sempre fatte" poggia nel loro caso su un passato davvero gigantesco ed ingombrante. Più del nostro.
Questo permette paradossamente maggiori spiragli di innovazione dei quali l'esistenza dell'An der Wien e i cambiamenti in corso alla Staatsoper sono testimonianza...
E in ogni caso va detto che pure Holender alcune scelte interessanti le ha fatte. Tra cui, per rimanere in argomento, a livello di titoli un Profeta discutibile quanto si vuole per allestimento e cantanti, ma che è stata un'idea coraggiosa e pure di successo. E a livello di cantanti a Vienna sono sempre comunque passate ugole di levatura storica di cui qui abbiamo notizia solo per sentito dire...
Certo con Holender non si sarebbe mai potuta sentire un'Alcina (che arriva quest'anno) o una Zelmira (che vorrei tanto tornasse come ai vecchi tempi di Porta Carinzia).

Nella nostra presunta capitale dell'opera, Milano, ma pure negli altri teatri, ahimé nulla ancora di minimamente paragonabile si vede all'orizzonte...

Saluti e complimenti per tutto
Riccardo

P.S. Mi sono permesso il generico "tu" forense, spero senza problemi!
Ich habe eine italienische Technik von meiner Mutter bekommen.
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Re: Che diciamo di Meyerbeer?

Messaggioda mattioli » mer 15 set 2010, 1:06

Ma io non ce l'ho affatto con Holander, anche se certe sue scelte non mi sono piaciute (per esempio, proprio quel Prophète, anche se non dovrei dirlo perché non l'ho visto. Ma le descrizioni che ne ho letto mi hanno fatto rabbrividire e poi temo, dopo il Lohengrin di quest'estate a Bayreuth, di aver proprio chiuso, con Neuenfels...), ce l'ho con il pubblico di Vienna. Da Alcina mi aspetto grandi cose; per Zelmira, bisogna tenere presente che, per un teatro di repertorio, il Rossini serio presenta degli ostacoli organizzativi quasi insormontabili.
Non sarei invece così drastico su Milano (il resto d'Italia non conta): però credo di sapere come la pensiate, da queste parti della rete, sulla Scala e non mi farò trascinare in una discussione su Lissner neanche con le catene. Anche perché, se quella su Meyerbeer sarebbe lunga, quella su Lissner sarebbe eterna.
Per finire, Riccardo, due curiosità: complimenti, perché? E benissimo il tu, ma perché "forense"?
Ciao
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Re: Che diciamo di Meyerbeer?

Messaggioda Riccardo » mer 15 set 2010, 1:27

mattioli ha scritto:Ma io non ce l'ho affatto con Holander, anche se certe sue scelte non mi sono piaciute (per esempio, proprio quel Prophète, anche se non dovrei dirlo perché non l'ho visto. Ma le descrizioni che ne ho letto mi hanno fatto rabbrividire e poi temo, dopo il Lohengrin di quest'estate a Bayreuth, di aver proprio chiuso, con Neuenfels...),

Nessun problema, non volevo affatto difendere Neuenfels, né l'esito discutibile, semplicemente l'idea di mettere su un Prophète oltretutto con due star non è una scelta da poco... Questi rischi i teatri nostrani non se li prendono facilmente. Meglio una Traviata con la Devia e la Cavani.
Comunque è vero, il pubblico è particolarmente chiuso. E' Vienna stessa ad essere una città per natura un po' isolata e chiusa in sé stessa. Però può per certi versi permettersi di fare la snob. Noi un po' meno, scadiamo più in fretta nel provincialismo mi pare...

ce l'ho con il pubblico di Vienna. Da Alcina mi aspetto grandi cose; per Zelmira, bisogna tenere presente che, per un teatro di repertorio, il Rossini serio presenta degli ostacoli organizzativi quasi insormontabili.

Hai ragione però, suvvia, addirittura il Met è riuscito a fare l'Armida adesso e già vent'anni fa una Semiramide...
Se solo Vienna si beasse meglio del suo passato, invece di farlo in modo tedescamente ideologico, altro che Rossini serio... Si risveglierebbe tutto un mondo per i viennesi.

Per finire, Riccardo, due curiosità: complimenti, perché? E benissimo il tu, ma perché "forense"?

Complimenti per quel che scrivi in generale, ti leggo abbastanza di frequente.
"Forense" perché nel mondo di internet e dei forum in particolare mi pare si usi sempre il "tu" indipendentemente dai rapporti di conoscenza, no?

Salutoni
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