Wotan e la ruota che gira

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Re: Wotan e la ruota che gira

Messaggioda beckmesser » ven 27 feb 2009, 18:37

MatMarazzi ha scritto:Insomma, se questo fosse vero non è l’anello che conta (come non è il castello) ma la volontà e la rinuncia che vi sono dietro.


Infatti, secondo me, è proprio così. Anche se non sono sicuro di aver le idee chiarissime (quello dell'anello è uno dei due punti che più mi hanno sempre lasciato perplesso nell’opera wagneriana, l’altro essendo il finale del II atto del Tristano) secondo me, l’anello in realtà funziona solo con Alberich, non con gli altri. Il punto credo dipenda da come si risponde alla domanda: a cosa serve la maledizione dell’amore? Per riuscire a forgiare l’oro in anello o a poter usare i poteri dell’anello? Le Ondine non sono chiarissime, ma in sintesi Woglinde dice grossomodo (vado a memoria) “solo chi maledice l’amore potrà compiere la magia di trasformare l’oro in anello”, salvo aggiungere che solo chi ha forgiato con l’oro l’anello ottiene il potere. Non basta possedere l’anello: occorre averlo forgiato, e solo chi maledice l'amore può farlo.

Anche dopo, in realtà, non ci sono chiarissimi segnali che il possesso dell’anello conferisca poteri: i vari personaggi lo vogliono più che altro per impedire che lo abbia Alberich, lui sì il solo che potrebbe farci qualcosa. La prima reazione di Fafner al racconto di Loge è di preoccupazione per i nuovi poteri di Alberich, vecchio nemico. E la cosa viene poi detta in modo chiaro da Wotan nel II atto della Walkure: solo chi ha maledetto l’amore potrebbe, se ne tornasse in possesso, usare i poteri dell’anello; per questo Wotan vorrebbe riprenderlo a Fafner. In definitiva, mi sembra che nessuno riesca a farci niente perché nessuno può farci niente: Alberich, che potrebbe, non ne torna più in possesso; per gli altri, che a vario titolo ci mettono le mani sopra, l’anello non ha nessun potere. In fondo, non mi dispiace pensare che anche questo sia stato un inganno di Loge: è lui che racconta la storia del furto di Alberich facendo nascere le mire di Wotan e Fafner, già sapendo (forse) che a loro quell'anello non serve a nulla...

In definitiva, mi è sempre sembrato che l’anello sia un esempio perfetto di quello che Hitchcock, in quel capolavoro che è il libro-intervista con Truffaut, chiama un McGuffin, ossia un “plot device” che serve a determinare azioni e reazioni dei personaggi ma che non significa nulla per se stesso (e tantomeno per lo spettatore). Comunque, se l‘equazione anello=potere è secondo me sbagliata, una cosa che mi ha sempre lasciato ammirato è l’analisi che Wagner fa delle diverse concezioni di “potere” che l’anello suscita nei vari personaggi; Alberich è l’unico che ha un’idea precisa e “attiva” di quel che vuole: conquista e ricchezza (un po’ alla Napoleone…); Wotan ha un’idea più “istituzionale”, con una buona dose di ipocrisia nello spacciare le sue mire per un interesse collettivo (forse alla Carlo Magno); Fafner è il potere per il potere, che non porta a nessun vantaggio per chi lo ha; mi ha sempre incuriosito immaginare cosa avrebbe fatto Hagen se avesse ottenuto l’anello: forse avrebbe incarnato l’idea di potere come male assoluto e metafisico, alla Hitler…

Saluti,
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Re: Wotan e la ruota che gira

Messaggioda pbagnoli » sab 28 feb 2009, 15:12

Già, Hegen: perché non parliamo mai di questo personaggio?
Ha ragione (il nostro! ) Alberich quando dice che è il Male per il Male, un po' come Hitler?
E' vero: lui cosa ne avrebbe fatto di questo cavolo di Anello?
"Dopo morto, tornerò sulla terra come portiere di bordello e non farò entrare nessuno di voi!"
(Arturo Toscanini, ai musicisti della NBC Orchestra)
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Re: Wotan e la ruota che gira

Messaggioda MatMarazzi » dom 01 mar 2009, 12:03

Maugham ha scritto:Penso che per rispondere alla tua domanda, il potere dell'Anello, giovi vedere le diverse versioni del Ring.

(cut)

Rivedere e rileggere tutta la tetralogia in un'altra chiave...
E forse non ci sarebbe mai stato l'agosto del 1876.... e Cosima l'avrebbe picchiato. :D
Quindi Mat, cosa ti posso dire?
Non so rispondere alla tua domanda.....


Caro Maugham,
se ho capito bene, tu a conclusione di questo bellissimo post (che mi ha fatto venire una gran voglia di approfondire la genesi del Ring, di cui non so nulla) ipotizzi che in fondo la Tetralogia non sarebbe che una lunga stratificazione di visioni filosofiche successive, maturate per decenni e in contrasto l'una con l'altra, su di un originario troncone "marxiano".
In questo modo si potrebbe quindi ammettere una lettura "anti-capitalista" come quelle di Shaw e Chéreau (perché il troncone originario è quello) mettendosi contemporaneamente al riparo dalle spaventose incongruenze che una lettura simile comporterebbe: le incongruenze infatti sarebbero dovute alle stratificazioni successive.

In linea di principio non nego che le cose possano stare come tu dici.
In pratica, però, io non riesco a credere che in trent'anni Wagner - avendo, come tu spieghi, superato l'entusiasmo rivoluzionario da molti decenni - non sia stato capace di svellere un sostrato risalente alla sua gioventù.
Nel 48 Wagner avrà pure pensato di fare il Ring, ma non l'ha fatto.
E' il Wagner sessantenne (non quello trentenne) che ha dato alle stampe l'opera, che l'ha firmata, che l'ha allestita.
Il Ring che ci interessa, quello su cui dobbiamo fissiamo la nostra attenzione (come già Shaw e Chéreau), è quello del 1876, non le lettere, le bozze, le correzioni e le riscritture degli anni '40, '50, '60.
Non riesco a concepire la figura di Wagner come di uno che dia vita a un'opera monumentale (frutto di una vita e per il quale ha fatto edificare un teatro) pur non riconoscendosi più nell'ideale che quell'opera rappresenta.
No, davvero, non ce lo vedo.
Gli fosse mancato il tempo, direi... ma non gli è proprio mancato.
Sono portato a credere che - quale ne sia stata la genesi - il Ring del 1876 rappresentasse in tutto e per tutto il pensiero del Wagner del 1876. E che se ha salvato qualcosa delle bozze precedenti è perché poteva rientrare nel definitivo pensiero; il resto ha avuto tutto l'agio di toglierlo o correggerlo.

Tu affermi che forse non esiste un'organicità ideale nell'opera... E che forse le nostre posteriori e generose velleità di sistematizzazione organica del ciclo potrebbero trascendere il pensiero di Wagner.
Non ho gli strumenti per contestare quest'ipotesi. E tuttavia, ammesso che quest'organicità potrebbe non esistere, perché non cercarla ugualmente?
Perché accontentarsi di altre sistematizzazioni che magari non reggono (per quanto "politicamente corrette") quando possiamo trovarne altre che invece stanno perfettamente in piedi (per quanto scorrettissime)?

Per quanto riguarda Beckmesser,

secondo me, l’anello in realtà funziona solo con Alberich, non con gli altri. Il punto credo dipenda da come si risponde alla domanda: a cosa serve la maledizione dell’amore? Per riuscire a forgiare l’oro in anello o a poter usare i poteri dell’anello? Le Ondine non sono chiarissime, ma in sintesi Woglinde dice grossomodo (vado a memoria) “solo chi maledice l’amore potrà compiere la magia di trasformare l’oro in anello”, salvo aggiungere che solo chi ha forgiato con l’oro l’anello ottiene il potere. Non basta possedere l’anello: occorre averlo forgiato, e solo chi maledice l'amore può farlo.


Dunque Beck, ci sono due cose diverse.
Una è la "rinuncia all'amore", una è la "maledizione dell'anello", entrambe sottolineate da temi importantissimi.
La "maledizione dell'anello" è solo di Albeich: hai ragione.
E' solo lui che maledice per la prima volta l'anello e la maledizione si reitererà lungo tutto il corso dell'opera.
Il tema apparirà solo alla quarta scena del Rheingold.

Al contrario, la "rinuncia all'amore" (che Alberich deve compiere per poter rubare l'oro e forgiare l'anello) non è solo di Alberich: è praticamente di tutti i personaggi dell'opera.
Il tema associato alla rinuncia all'amore (nelle sue due varianti) noi lo sentiamo - è vero - per la prima volta con Alberich, nella prima scena dell'Oro del Reno, quando appunto si impossessa dell'oro.
Ma poi lo sentiamo altri milioni di volte, associato a tutti i personaggi, come se la rinuncia all'amore fosse una sorta di "peccato orginale" che i personaggi si portano dietro.
Wotan, come dicevo, si ritrova etichettato da questo tema già nella seconda scena dell'Oro del Reno. Lui infatti ha rinnegato l'amore da moltissimo tempo, nell'attimo in cui ha fondato il sistema delle leggi.
E' un tema che Wagner attribuirà ai personaggi più impensati (Bruennhilde ad esempio, lo stesso Siegfried).
Una delle rare volte che il tema appare integrale e in massima evidenza (la prima variante) è quando Siegmund si appresta a estrarre Notung dal frassino. Ma come? La rinuncia all'amore proprio quando ha finalmente trovato l'amore? Quando sta per buttarsi nelle braccia di Sieglinde?
Meditate, gente, meditate....
Quindi tutti rinunciano all'amore e quindi tutti (virtualmente) possono usare l'anello.
Quanto ad Alberich, nemmeno lui riesce a impedire che gli venga strappato... proprio come non ci riesce Bruennhilde.

Secondo me l'anello non è malefico di per sè. Ne è portatore di potere.
Tantomeno ancora è il "male".
Direi quasi che non è niente. Un cerchietto di metallo e basta.
E' esattamente come il terribile filtro di Frau Minne che Tristano e Isolde bevono: cos'è quel filtro? acqua fresca!
E' solo la convinzione di star per morire, di star per finire nel nulla, che scatena la loro liberazione.
Tutto il potere sta nell'atteggiamento mentale dell'uomo che ad esso (al simbolo) si rivolge.

E' per questo che trovo infantili e pasticcione le letture "marxiane" del Ring: proprio per il loro tentativo di attribuire un significato "esterno" all'anello (il denaro, il capitale...ecc...)
Sarebbe come voler interpretare il Tristano con teorie di erboristeria e alchimia...
Affermare che l'anello rappresenta il denaro, il capitale o che so io è come discutere sul fatto che l'intruglio di Isolde contenesse quell'erba piuttosto che un'altra.
Gli oggetti, i simboli sono solo catalizzatori per Wagner, quanto lo è il Graal nel Parisfal.
Simboli potentissimi nella misura in cui l'uomo attribuisce loro un significato; fragilissimi quando gli stessi uomini tolgono loro quel significato (la lancia di Wotan che prima spezza Notung, poi è spezzata da Notung).

E' il Neid (la voglia di possedere l'anello) a essere - tanto per semplificare - il male o per lo meno "la maledizione".
In questo (almeno in questo) la Tetralogia è coerente.
Non importa la ragione per cui uno vuole l'anello: schiavizzare i nibelunghi (Alberich), possederlo per possederlo (Fafner), neutralizzare Alberich (Wotan), costringere in casa il marito farfallone (Fricka), come prova d'amore (Bruennhilde), come trofeo di gloria (Siegfried), ecc...
E' semplicemente la voglia di averlo (il lato negativo del "Wille") che genera la catena della maledizione, ossia quel "Not" che imprigiona i personaggi e che condurrà alla rovina delle stirpi originarie e di quella degli Eroi.

La tetralogia ha fine non appena qualcuno (metafora della rinuncia di sè e del mondo) fa quello che Loge e Erda suggerivano di fare fin dall'inizio.
"Ho l'anello? Ce l'ho in mano? Non mi interessa... Lo butto via".

Questo naturalmente imho.

salutoni,
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Re: Wotan e la ruota che gira

Messaggioda gustav » dom 01 mar 2009, 17:52

Se volete leggere qualcosa di interessante in merito alla tetralogia, consiglio vivamente il libro di Sinopoli edizione Marsigio (mi pare) "il mio Wagner". Io l'ho trovato cercando su Ibs; se a qualcuno interessa una lettura fra Nietzsche Feuerbach ecc. attraverso la visione di Sinopoli ne rimarrà soddisfatto "alla grande" :D


Salutoni...
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Re: Wotan e la ruota che gira

Messaggioda Alberich » lun 02 mar 2009, 2:26

Il nome corretto dell'editore è "Marsilio" (da Marsilio da Padova), eccezionale casa editrice retta dal fratello del fu ministro De Michelis.
Uno dei molti fiori all'occhiello dell'Italia culturale, a mio parere.
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Re: Wotan e la ruota che gira

Messaggioda gustav » lun 02 mar 2009, 19:00

Alberich ha scritto:Il nome corretto dell'editore è "Marsilio" (da Marsilio da Padova), eccezionale casa editrice retta dal fratello del fu ministro De Michelis.
Uno dei molti fiori all'occhiello dell'Italia culturale, a mio parere.




Scusa, hai ragione!!!! :D ho visto adesso l'enorme errore che ho fatto, non me ne ero accorto...

Ciao
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Re: Wotan e la ruota che gira

Messaggioda beckmesser » lun 02 mar 2009, 19:19

Anche se sull’argomento mi sento ben lungi dall’avere le idee chiare o anche solo conoscenze sufficienti, provo a rispondere, dato che il discorso mi sembra molto interessante (e ne condivido buona parte), ma su alcuni aspetti i conti non mi tornano. Dunque,

MatMarazzi ha scritto:Una è la "rinuncia all'amore", una è la "maledizione dell'anello", entrambe sottolineate da temi importantissimi.


in realtà, io mi riferivo solo al primo elemento, ma Alberich non rinuncia soltanto all’amore, lo maledice proprio “Così maledico l’amore”: è un atto preciso e voluto, un atto che Wotan non ha avuto il coraggio di fare. Lo dice sia nel Rheingold sia nel II atto di Valchiria (qualcosa tipo, vado a memoria “Io all’amore non volli rinunciare: volevo potenza e amore”) e se nel Rheingold non è certo che Wotan abbia le idee chiare, nel monologo invece sì, sa quello che dice. Secondo me questo resta uno snodo indispensabile: solo Alberich ha maledetto espressamente l’amore e quindi può rubare l’oro, forgiare l’anello e (secondo me) usarlo; per gli altri non funziona; che poi gli altri lo vogliano e che il loro “Wille” sia alla base di tutto il Ring è giustissimo, ma secondo me la posizione di Alberich e Wotan deve essere tenuta distinta: entrambi peccano per affermazione della propria volontà; Alberich pecca maledicendo l’amore; Wotan istituendo i patti (non rompendoli: già solo istituendoli), cosa che fa proprio perché vuole potenza E amore (cosa impossibile).

MatMarazzi ha scritto:Affermare che l'anello rappresenta il denaro, il capitale o che so io è come discutere sul fatto che l'intruglio di Isolde contenesse quell'erba piuttosto che un'altra.


Giusto, però resta il fatto che mentre nel Tristano non c’è nulla che contraddica il fatto che il filtro sia solo acqua fresca, l’anello di Alberich qualche potere lo dimostra: noi vediamo Alberich mentre lo usa coi Nibelunghi per due volte (nella terza e nella quarta scena).

MatMarazzi ha scritto:Non importa la ragione per cui uno vuole l'anello: schiavizzare i nibelunghi (Alberich), possederlo per possederlo (Fafner), neutralizzare Alberich (Wotan), costringere in casa il marito farfallone (Fricka), come prova d'amore (Bruennhilde), come trofeo di gloria (Siegfried), ecc...


Beh, però mi sembra che le posizioni dei vari personaggi siano ben diverse: in fondo, Siegfried non credo si possa dire che l’anello lo “voglia”; prima lo dà a Brunilde, poi starebbe per darlo alle Ondine, se non fosse che queste sbagliano le parole per chiederglielo… Io credo che la loro colpa sia piuttosto nel non volersi attivare per fare l’unica cosa utile: ridare l’anello al Reno. Loro antepongono il proprio interesse all’interesse altrui, e in ciò sono colpevoli quanto Alberich e Wotan. In questo, secondo me, sta la principale distanza con Schopenhauer (che, per quanto fondamentale sia stato per Wagner, venne anch’esso riadattato con notevole disinvoltura ai propri scopi): per il filosofo l’amore è una manifestazione (se non la più forte) della Volontà; per Wagner resta, alla fine, l’unico strumento che consente di opporvisi.

Saluti,
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Re: Wotan e la ruota che gira

Messaggioda Alberich » lun 02 mar 2009, 21:19

gustav ha scritto:
Alberich ha scritto:Il nome corretto dell'editore è "Marsilio" (da Marsilio da Padova), eccezionale casa editrice retta dal fratello del fu ministro De Michelis.
Uno dei molti fiori all'occhiello dell'Italia culturale, a mio parere.




Scusa, hai ragione!!!! :D ho visto adesso l'enorme errore che ho fatto, non me ne ero accorto...

Ciao

Era solo una precisazione per chi cercasse il libro... :D
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Re: Wotan e la ruota che gira

Messaggioda Maugham » mar 03 mar 2009, 16:49

MatMarazzi ha scritto:
Sono portato a credere che - quale ne sia stata la genesi - il Ring del 1876 rappresentasse in tutto e per tutto il pensiero del Wagner del 1876. E che se ha salvato qualcosa delle bozze precedenti è perché poteva rientrare nel definitivo pensiero; il resto ha avuto tutto l'agio di toglierlo o correggerlo.



Sai bene che il 1876 è solo la data della prima rappresentazione dell'intero ciclo nel teatro costruito apposta.
In realtà il Ring, così come lo conosciamo, era pronto da molto prima.
E non si trattava di bozze. Ma di edizioni definitive, pubblicate con tanto di riduzione per piano e raccolte di highlights....
Quindi definitive anche nel testo.
Wagner aveva un sistema di lavoro piuttosto meticoloso e lungo.
Prima scriveva l'abbozzo in prosa. Che nel nostro caso è datato 1848
Poi scriveva il testo poetico. Che si conclude nel 1853 con la prima edizione a stampa.
Poi cominciava a comporre.
Abbozzo musicale su quattro pentagrammi (in pratica armonizzava le idee principali)
In seguito orchestrava. Lui la chiamava strumentazione.
Infine ricopiava "in bella" la partitura. (A differenza di Verdi, Wagner non aveva un Ricordi che faceva questo per lui)
Negli ultimi anni -quando era diventato ricco e famoso- aveva al suo seguito uno stuolo di giovani musicisti che ricopiavano le parti per i singoli strumentisti e curavano le riduzioni per pianoforte e voce.
La "cancelleria nibelungica" la chiamava :D
Stando al Ring nel 1863 esce la seconda versione a stampa del testo poetico che, stando agli studiosi, non sarà modificata più da Wagner se non in piccoli dettagli.
L'unica modifica sostanziosa (che poi è quella che tutti riportano) riguarda il finale del Crepuscolo, chiamiamolo così, alla Schopenauer che poi Wagner non musicherà. Preferendo il finale Feuerbach, ormai superato per ammissione dello stesso Wagner, ma preferito in quanto (sono parole di Cosima) garantiva quella conclusione "epica" a cui il Mestro non poteva rinunicare.
Nel 1873 chiude la fatica con le ultime note della Gotterdammerung.
Ma le prime riduzioni per pianoforte -ovviamente solo di Walkiria e Oro- autorizzate dalle stesso Wagner e quindi definitive erano uscite già nei primi anni Sessanta.
Circa tredici anni prima di Bayreuth.
Quella di Siegfried è dei primi anni Settanta.
E' un caso singolare per l'editoria musicale. Giravano già per mezza Europa spartiti wagneriani (oggetto di discussione e accese dispute) ancor prima che queste opere vedessero il palcoscenico.
Certo, conoscendo il soggetto Wagner, è difficile pensare che potesse mettere in scena qualcosa di cui non fosse convinto. Però sono altrettanto del parere che la macchina messa in moto fosse di tali proporzioni da non consentire una frenata vicino al traguardo. Una frenata che avrebbe richiesto una revisione mica da ridere. Quasi una riscrittura. Altro che togliere e mettere....
Dopo il 1876 dichiarò di voler rivedere da cima a fondo il Tannhauser (opera ben più semplice) riscrivendone intere parti alla luce della sua nuova visione del rapporto con il Divino ( :shock:)e lasciò perdere.
Wagner voleva andare in scena e secondo me (considerato che siamo alla fine degli anni sessanta quando riapre la faccenda Ring) non aveva di certo il tempo di rivedere a modo suo quasi due terzi dell'Anello già pronti. Anzi, mi chiedo come diavolo abbia potuto chiudere la Gotterdammerung e nello stesso tempo girare l'Europa per fare concerti, attivare le società wagneriane per i patronati, gestire i progettisti dell Festpielhause.... Ci credo che aveva due attacchi di cuore all'anno, soffriva di crisi depressive ed era tormentato dagli attacchi di panico.
Ma queste sono mie ipotesi. (Non i malanni che sono scrupolosamente annotati dalla sua signora.)
Ovviamente parlo del testo poetico, attenzione.
Perchè invece, sotto il profilo musicale la coerenza wagneriana è assoluta. Quella era la sua idea sia armonica che strutturale quando scrisse il mib maggiore d'apertura e quella era ancora la sua idea quando scrisse il reb maggiore finale del Crepuscolo.
Sotto il profilo dei contenuti però io la penso come Hans Meyer "in nessun altra opera wagneriana la continuità e discontinuità del pensiero sono strettamente confinanti come nell'Anello del Nibelungo".
Comunque, tornando a noi...
Le ragioni del mio sproloquio riguardano solo l'impostazione del problema.
"Qual'è il potere dell'anello?"
Io ti ho risposto che non lo so. La tua tesi è convincente, come quasi tutte le tue letture che nascono da un attento studio e una passione pluriennale.
Non mi convince invece il modo in cui liquidi tutte le letture sociologiche dell'Anello definendole infantili e superficiali.
No, sono solo datate. Non solo. Per gran parte della sua vita Wagner le ha considerate e le ha sbandierate come le uniche possibili.
Poi, questo lo sanno anche i sassi, il Wagner di Wahnfried (ma anche quello di Triebschen) era quanto di più lontano ci fosse dal rivoluzionario anarchico di Dresda. Basti pensare che per la villona girava in quell'epoca quel fosco soggetto che era il conte Gobineau a cui il Wagner zurighese avrebbe tirato volentieri una ciabatta in mezzo agli occhi...

Tu affermi che forse non esiste un'organicità ideale nell'opera... E che forse le nostre posteriori e generose velleità di sistematizzazione organica del ciclo potrebbero trascendere il pensiero di Wagner.


Nel testo poetico non la trovo nè mi deprime il fatto che non ci sia. In molti sostengono che la Divina Commedia sia incoerente....figurati.
No, vedi, a me del pensiero originale di Wagner m'importa quanto a te.
L'ho tirato in ballo solo per difendere il mio amato Shaw, ben più valido come autore teatrale che come esegeta wagneriano.


Ciao
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Re: Wotan e la ruota che gira

Messaggioda MatMarazzi » sab 14 mar 2009, 14:28

Cari Beckmesser e Maugham,
intanto mi scuso per aver lasciato così a lungo in sospeso il bell’argomento di cui stavamo parlando.
In queste settimane il mio (poco) tempo libero è stato assorbito da un’impegnativa ricerca i cui frutti dovrebbero vedersi a breve in home page.
E mi scuso anche della lungaggine del presente post.

La questione avanzata da Beckmesser è interessante e presuppone una lettura del Ring molto diversa dalla mia.
L’elemento principale del nostro disaccordo è la cosiddetta “rinuncia all’amore”: a seconda dell’interpretazione che se ne dà si può arrivare a conclusioni molto differenti.

Io personalmente respingo le letture del Ring fondate sul dualismo “etico” tra Amore e Volontà di Potenza.
Sono le letture che io chiamo “biancaneviste”, quelle per cui ci sono da una parte i “buoni” (che amano e redimono il mondo) e dall’altra i “cattivi” (che, come chiunque voglia arricchirsi e diventare potente, rinunciano all’amore).
Questo tipo di lettura non solo riduce la Tetralogia a una favoletta edificante (proprio come fanno, checché ne dica l’amico Maugham, Shaw e Chéreau), ma soprattutto genera una serie di incongruenze spaventose a livello di testo e di temi musicali, giustificabili solo con una …probabilmente vera ma certo comoda tesi dell’ “inorganicità” del testo.
L’amore nel Ring (sia quello doloroso di Siegmund e Sieglinde, sia quello di Wotan per Siegmund e Bruennhilde, sia quello puro ed eroico di Siegfried e Bruennhilde) non è affatto veicolo di salvezza o redenzione. La maledizione del Neid grava su tutti gli amanti, nonostante amino, nonostante non siano “cattivacci” come Alberich e Wotan.
Il tema della “rinuncia all’amore” risuona fortissimo su Siegmund; e come spiegare il suo attaccamento – e quello di Siegfried – alla spada “neidlische”, simulacro dell’anello… e come spiegare il furore con cui i due amanti puri ed eroici (S e B) difendono l’anello o se lo strappano l’un l’altro?…
E soprattutto come spiegare il Crepuscolo?
Se la conquista dell’amore (Siegfried e Bruennhilde) - che scavalca le antiche stirpi, butta all’aria l’antico mondo dei patti, segue la “ruota che gira” e fa nascere una nuova alba sul mondo - fosse stato davvero il punto d’arrivo etico della Tetralogia, non ci sarebbe stato bisogno del Crepuscolo.
Il Ring sarebbe dovuto finire col Siegfried.
Così non è, perché a Wagner stava a cuore dimostrare nel Crepuscolo che l’amore e l’eroismo (il nuovo ordinamento fissato da Siegfried e Bruennhilde) sono destinati al fallimento esattamente come i patti di Wotan.

Io vedo diversamente le cose.
La rinuncia all’amore è molto più complessa di quel che sembra.
Il suo significato è quello di una spaccatura: da una parte l’origine indistinta, dall’altra la plurivoca individualità.
Detto così sembra turco. Cerco di spiegarmi meglio.

Per Beckmesser, Wotan non “rinuncia all’amore”. L’unico che lo fa è Alberich ed è per questo che è l’unico a poter usare la forza dell’anello (forza limitata, aggiungo io, dato che non riesce a fermare quelli che gliela strappano).

beckmesser ha scritto: solo Alberich ha maledetto espressamente l’amore e quindi può rubare l’oro, forgiare l’anello e (secondo me) usarlo; per gli altri non funziona; che poi gli altri lo vogliano e che il loro “Wille” sia alla base di tutto il Ring è giustissimo, ma secondo me la posizione di Alberich e Wotan deve essere tenuta distinta: entrambi peccano per affermazione della propria volontà; Alberich pecca maledicendo l’amore;


Ecco, Beck.
Credo sia importantissimo ragionare su questo punto.
Tu dici che Wotan non ha rinunciato all’amore.
Questo per me non è vero. Per me l’ha fatto eccome, anche prima di Alberich.

Tu giustamente citi le affermazioni di Wotan, ma sai bene che le sue affermazioni in quel monologo vanno interpretate…
Wotan, specie nella Walkiria, è diventato il simbolo della persona che mente a se stessa.
Glielo dimostra Fricka. Noi stessi assistiamo al crollo del suo edificio di menzogne.
Ci sono cose che sa ma non ammette; altre che non sa affatto (siamo noi a capirle sulla base di ciò che Wagner ci dice altrove).
Il lungo racconto a Bruennhilde non va preso come se fosse un trattato per decifrare il Ring, ma come una serie contorcimenti, punti di vista, contraddizioni e depistaggi, tutti da …verificare.

Lui dice di non aver voluto rinunciare all’amore.
Ok, ma noi cosa sappiamo in proposito?
Sappiamo che tantissimo tempo prima si è strappato un occhio.
Prima di spezzare il ramo del frassino eterno e ricavarvi la lancia, Wotan si è tolto l’occhio dell’amore (per ora chiamiamolo così): questo ce lo raccontano le Norne… e questo è accaduto prima dell’inizio dell’opera, prima dei patti e prima della lancia.
Se non è una rinuncia all’amore questa?
E poi? Cosa ci dicono i temi?
Be’ tante cose…
Fricka ad esempio, già alla seconda scena dell’Oro del Reno (quindi molto prima della Wakiria) definisce il marito “liebeloser” (colui che ha perso l’amore) e lo fa cantando – ma guarda un po’ – il tema della Rinuncia dell’amore.
Proprio lo stesso tema, canterà Wotan nella Walkiria quando si definisce “il più tristo fra i tristi” (la stessa identica espressione che aveva già usato Alberich, sempre cantando il tema della rinuncia dell’amore).
Il tema della Rinuncia all’amore (completo e grandioso) si sente quando Wotan addormenta Bruennhilde, che – appunto – incarnava il suo pensiero non pensato, la sua individualità che si ribella alla ragione, l’amore per Siegmund.
L’atto di addormentare chi rappresenta il proprio amore è una metafora talmente evidente della “rinuncia all’amore” di Wotan da giustificare la presenza del tema.
Così come l’atto (ugualmente simbolico) della “vendita” di Freia ai giganti: non è anche quella una ennesima rinuncia all’amore da parte di Wotan? Certo che lo è: il tema di Freia sarà la base di tutti i temi d’amore dell’opera, fino al Crepuscolo.

Checché ci dica Wotan, lui all’amore ha rinunciato tanto quanto Alberich; Wotan può mentire; i temi no. La sua maledizione è la stessa.

beckmesser ha scritto: Wotan istituendo i patti (non rompendoli: già solo istituendoli), cosa che fa proprio perché vuole potenza E amore (cosa impossibile).


Ci sono tante cose in questa frase che non condivido.
Istituendo i Patti, Wotan voleva tutto fuorché Potenza E Amore.
Anzi ha fatto proprio il contrario: ha schiacciato in sé (in funzione dei patti), sia l’una, sia l’altro.
Lo vedi chiaramente nella Walkiria.
A cosa lo costringe Fricka?
A schiacciare contemporaneamente la voglia di possedere l’anello (i patti non lo permettono) e l’amore per il figlio Siegmund (i patti non lo permettono).
Quindi Wotan fa esattamente il contrario di quel che dici. Costituisce i patti PROPRIO RINUNCIANDO alla sua volontà di potenza (individuale), ai suoi sentimenti (individuali) e a tutto ciò che un essere umano individualmente prova (la “singola” volontà schopenaueriana)


Torniamo alla capitale scena delle Norne.
Esse raccontano molto bene come è avvenuta la creazione dei patti: Wotan – prima o contemporaneamente rispetto al furto di Alberich - si è recato alla fonte della saggezza (che sgorga da sempre), ha divelto un ramo del frassino (che esiste da sempre) e – questo è l’importante – si è strappato un occhio.

Insomma ha prodotto uno strappo terribile fra ciò che è eterno (e indistinto) e ciò che è “individuale”.

Come abbiamo già detto, l’occhio che si è strappato è quello dell’amore, o per lo meno dei desideri individuali, delle passioni, dei sentimenti… in una parola “del Wille”.
Si è tolto l’occhio della sua individualità e ha tenuto quello della “scintilla universale”.
Ha violentato un’unità originaria, l’ha spaccata in due.
L’unità fra i due occhi (Ragione universale e Passioni individuali) è rotta.
Ma non solo.
Ha strappato un ramo dal frassino eterno (ha tratto leggi contingenti dalla legge universale), condannando l’albero mitico a seccarsi e a marcire.
Altra spaccatura.
E il fratellino “nero”? Alberich?
Stessa cosa: ha strappato l’oro dal Reno. Altra spaccatura dell’ordine originario.
Altra affermazione dell’individuo a danno della sintesi originale, descritta dal tema del Reno all’inizio del Rheingold.

La costituzione dei patti è stata possibile solo con lo strappo.
Si è dovuto rinunciare all’amore e a tutto ciò che sgorga dall’individuo (e quindi anche alla volontà, che ne è espressione).

A costo di ripetermi, voglio sottolineare che né la volontà di potenza, né l’amore sono alla base dei patti.
Non è per volontà di potenza che Wotan si arma della lancia: lui stesso è sottoposto alla lancia, lui stesso ammette di essere il meno libero degli uomini, e questo grazie ai patti).
Non è per amore che si arma della lancia: per la lancia e soprattutto con la lancia, Wotan sacrificherà ciò più che ama: Siegmund prima e Bruennhilde dopo.

Nel costruire la lancia, Wotan RINUNCIA alla volontà di potenza e all’amore per perseguire un sistema razionale, civile, che superi le istanze dell’io.
E così il Dio tenta di strappare qualcosa alla Natura (la sua Ragione "a priori"), rinunciando a qualocsa di sè: ciò che di umano e individuale ribolle in lui.
Ma quello che produce non poteva prevederlo.
E' come se dallo strappo scaturisse un mostro: il mostro della Volontà (individuale) che frantuma l'ordine originale.

Privata dell’elemento eterno che la plasmava, l’individualità degli uomini scaturisce dall’occhio strappato (o se vuoi l’Oro liberato dal Reno, o la lancia liberata dal frassino, o le Walkirie liberate dal ventre di Erda) e si diffonde nel mondo.
Ha inizio la guerra di tutti contro tutti.
E’ la stessa storia di Eva che coglie il frutto della conoscenza.
Ma soprattutto è la storia di Prometeo (vedi il rapporto con Loge).
Il male del mondo è identificato da Wagner (schopenauerianamente) con l'eruzione della coscienza individuale, liberata dallo strappo di Wotan/Alberich.

Scusate se lo chiamo così: Wotan-Alberich.
Il fatto è che io li considero un unico personaggio, con un lato della faccia in ombra e l’altro alla luce.
Wotan-Alberich ha spaccato l’eredità eterna; ha diviso in due ciò che fino ad allora (ossia da sempre) era stato unito e che Wagner descrive tanto bene con quell'ossessivo mi bemolle dell'apertura del Rheingold.

Ecco come, secondo me, va interpretata questa famosa “rinuncia all’amore”.
Non è: “da ora in poi diventerò cattivo, perché è noto che solo i cattivi diventano ricchi… farò il bagno nel denaro, affamerò gli operai! Farò la guerra invece dell’amore! Non ho più valori…Ecc…”
La rinuncia all'amore è una specie di strappo protostorico, di affermazione dell'individuo su quel blocco indistinto, parmenideo che era stato - fino ad allora - il creato.
Non c'è lancia di rune che possa tenere a bada i mostri della Volontà (Amore, Odio, volontà di potenza), nè purezza di sentimenti.

L'amore come rendenzione? Ma dove?
L’amore è terribile esattamente come ogni altra cosa scaturisca dall’individuo.
Ecco perché la Tetralogia non termina col tripudio all’amore (Siegfried), bensì con la sciagura che si abbatte sul mondo malamente gestito dai novelli amanti: il mondo di Bruennhilde e Siegfried è peggio di quello di Wotan; giuramenti a non finire (che si susseguono nel Crepuscolo) di cui nessuno è rispettato; e il povero anello continua ad essere voluto da tutti e strappato di mano in mano.
Eh no! Non è l’amore una ricetta contro il Neid.
L’amore è il Neid.

beckmesser ha scritto: Beh, però mi sembra che le posizioni dei vari personaggi siano ben diverse: in fondo, Siegfried non credo si possa dire che l’anello lo “voglia”; prima lo dà a Brunilde, poi starebbe per darlo alle Ondine, se non fosse che queste sbagliano le parole per chiederglielo… Io credo che la loro colpa sia piuttosto nel non volersi attivare per fare l’unica cosa utile: ridare l’anello al Reno.


 Scusa Beck,
Ma non vedo molta differenza fra “non voler ridare” e “volersi tenere”. Il punto è tutto qui.
Poi che l’anello Siegfried non lo dia alle Ondine…perché sbagliano le parole …è irrilevante.
Non glielo dà. Inoltre se lo era preso con la forza quando rapisce Brunilde e se lo terrà anche dopo.
La stessa Brunilde si era guardata bene dal darlo a Waltraute e diventa una furia d’averno quando lo vedrà in mano a Siegfried.
Il fatto è semplice: lo vogliono! Poi le ragioni che muovono i singoli personaggi sono irrilevanti (a meno che non si voglia guardare la storia in termini moralistici o sentimentali): che io rapini una banca per dare soldi ai poveri, e tu per farti la villa, non cambia il fatto che entrambi siamo rapinatori….
Forse per Shaw e Chéreau cambierebbe  ma – grazie al Cielo – per la legge no.

Vorrei concludere con il tuo riferimento a Schopenauer, da cui – per te – Wagner si sarebbe staccato.

beckmesser ha scritto: In questo, secondo me, sta la principale distanza con Schopenhauer (che, per quanto fondamentale sia stato per Wagner, venne anch’esso riadattato con notevole disinvoltura ai propri scopi): per il filosofo l’amore è una manifestazione (se non la più forte) della Volontà; per Wagner resta, alla fine, l’unico strumento che consente di opporvisi.


Anche qui, davvero non la penso come te.
A me pare che Wagner segua perfettamente Schopenauer, quasi più nella Tetralogia e nel Parsifal che nel Tristano.
Schopenauer considerava espressione negativa di “volontà” solo l’amore uomo-donna (quello di Tristan-Isolde o quello di Siegfried-Brunilde).
Ma al contrario intravedeva come possibile terapia contro la Volontà (e tappa verso l’Ascesi) proprio l’amore “pietoso” verso il genere umano.
Questo tipo di Amore (pietà e negazione del mondo) è un chiaro retaggio cristiano del pensiero di Schopenauer, ed è esattamente il retaggio che Wagner ha raccolto.
Non è l’Amore (derivato da Freia) che redime il mondo: non è l’amore di Siegmund e Sieglinde, né quello di Wotan per i Walsidi o la Walkiria, né quello di Siegfried e Bruennhilde (catastrofico).
L’amore che redime è quello “cristiano” di colei che rinuncia all’anello, ossia al Neid.

Nella sua immolazione, Bruennhilde non restituisce solo l’anello al Reno, ma soprattutto restituisce all’universo (annullandola nel fuoco) la propria individualità.
Quello di Bruennhilde è l’atto ascetico e pietoso invocato da Schopenauer; è l’atto buddista se vuoi; sicuramente è – nell’ottica di Wagner – l’atto cristiano.

In fondo in fondo, la tetralogia è solo la storia di una spaccatura (l’indistinto cosmico da cui emerge – con la violenza di uno strappo – l’individuo) e di una ricomposizione (l’individuo che – grazie alla rivoluzione cristiana – rinuncia a sé stesso e al proprio Neid, proprio come colui che si è sacrificato sulla croce).

Tutto questo ovviamente imho.

Salutoni,
Matteo
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Re: Wotan e la ruota che gira

Messaggioda pbagnoli » sab 14 mar 2009, 18:55

Chapeau, mon Maitre! :D
Hai trattato la materia come meglio non si potrebbe.
Di più: mi hai consentito di fare luce su alcuni aspetti che non riuscivo ancora a focalizzare, del che ti ringrazio
"Dopo morto, tornerò sulla terra come portiere di bordello e non farò entrare nessuno di voi!"
(Arturo Toscanini, ai musicisti della NBC Orchestra)
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Re: Wotan e la ruota che gira

Messaggioda Teo » lun 16 mar 2009, 10:52

MatMarazzi ha scritto:Nella sua immolazione, Bruennhilde non restituisce solo l’anello al Reno, ma soprattutto restituisce all’universo (annullandola nel fuoco) la propria individualità.
Quello di Bruennhilde è l’atto ascetico e pietoso invocato da Schopenauer; è l’atto buddista se vuoi; sicuramente è – nell’ottica di Wagner – l’atto cristiano.

In fondo in fondo, la tetralogia è solo la storia di una spaccatura (l’indistinto cosmico da cui emerge – con la violenza di uno strappo – l’individuo) e di una ricomposizione (l’individuo che – grazie alla rivoluzione cristiana – rinuncia a sé stesso e al proprio Neid, proprio come colui che si è sacrificato sulla croce).


Innanzitutto Matt complimenti per il tuo bellissimo intervento.
Se nei prossimi giorni proverò finalmente ad avvicinarmi al Ring credimi, sarà essenzialmente per la curiosità che hai destato in me (purtroppo ammetto il limite di non essere fra gli appassionati del genio tedesco...).

Per quanto concerne il "quote" che sopra ho riportato, sono rimasto esterefatto dalla tua brillante conclusione. Wagner sposa dunque il concetto cristiano di "sacrificio", coglie nella rinuncia di se stesso e del proprio "ego" la via per la redenzione, ovvero la via della salvezza (anche se probabilmente con finalità diverse da quelle di Gesù Cristo), e le trasporta all'interno della tetralogia.
Sinceramente mi fa specie (e non lo dico per polemizzare sia chiaro) vedere in Wagner una personalità così vicina all'ideologia ed al concetto di uomo-umanità espressa dalla religione cristiana (questo ovviamente per quanto io conosco). Non tanto per la sua supposta vicinanza all'ideologia nazista, quanto più per le sue idee sul concetto di "razza" che, se non erro, lui stesso promulgò a Bayreuth attraverso la fondazione di circolo culturale che tra le altre cose diffondeva l'opera del teorico francese Gobineau sull'ineguaglianza della razze umane (questo per lo meno quanto mi consta di sapere).

Come spieghi dunque tutto questo? io lo trovo davvero affascinante e allo stesso tempo sconcertante...

Comunque sia caro Matt, sono sempre più convinto che il tuo modo di parlare di un opera e di tutto ciò che la contiene (ovviamente non solo il tuo sia chiaro :D ) dovrebbe essere preso ad esempio quale metodo /sistema per fare cultura (come quegli splendidi incontri che Leonard Bernstein teneva nella sala della Carnegie Hall, ricordi?).

Grazie.

Teo
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Re: Wotan e la ruota che gira

Messaggioda beckmesser » lun 16 mar 2009, 20:06

Beh, che dire, si tratta certo di una ricostruzione molto interessante, anche se non mi convince del tutto. Non ho adesso il tempo di riprendere punto per punto, ma mi interesserebbe chiarire come la penso sulla parte finale. In particolare, mi ha colpito la frase:

MatMarazzi ha scritto:Questo tipo di Amore (pietà e negazione del mondo) è un chiaro retaggio cristiano del pensiero di Schopenauer, ed è esattamente il retaggio che Wagner ha raccolto.
Non è l’Amore (derivato da Freia) che redime il mondo: non è l’amore di Siegmund e Sieglinde, né quello di Wotan per i Walsidi o la Walkiria, né quello di Siegfried e Bruennhilde (catastrofico).
L’amore che redime è quello “cristiano” di colei che rinuncia all’anello, ossia al Neid.


Io credo invece che Schopenhauer abbia costituito solo un elemento di passaggio nella formazione di Wagner, ed un elemento che gli è servito a chiarirsi, per così dire, le idee, ma che non ha mai attecchito del tutto, anche perché semplicemente agli antipodi del suo pensiero.

Nel dicembre 1858 (circa quattro anni dopo, quindi, la sua “scoperta” del Mondo come volontà e rappresentazione, quando si suppone che ci avesse già meditato a lungo), Wagner scriveva in una lettera alla Wesendonck (premetto, la traduzione è mia da una versione inglese): “La strada di salvezza che porta al completo acquietamento della volontà (una strada che nessun filosofo, nemmeno Schopenhauer, ha individuato) passa attraverso l’amore inteso in senso stretto, quello che germoglia dall’amore sessuale, ossia dalla propensione reciproca fra maschio e femmina)”. Mi sembra che siamo più o meno agli antipodi di Schopenhauer, e non credo si tratti di un dato di passaggio: è la svolta.

Stando alla cronologia (vado a memoria, ma credo che grosso modo ci siamo…):

nel 1854 legge Schopenhauer e ne è folgorato;
entro il 1856 finisce di comporre Walchiria e riscrive il monologo finale di Brunilde del Crepuscolo in un testo (1856, appunto) che è Schopenhauer allo stato puro, in modo persino pedante; arranca un po’ sui primi 2 atti di Siegfried e si blocca: perché? Davvero è perché vuole scrivere qualcosa di pratico e che gli faccia guadagnare qualcosa?

Io non credo. Secondo me si è accorto che la “chiave” datagli da Schopenhauer in realtà non apre nulla: gli è servita per Walchiria, ma col Crepuscolo non porta da nessuna parte; scrive quanto ho citato sopra, si rivolge un po’ a Tristano (che secondo me è il manifesto della crisi del sistema schopenhaueriano, ma questa è altra storia) e, quando torna a occuparsi del Ring, per prima cosa riscrive il testo del monologo di Brunilde: la versione Schopenhauer-1856 non sarà mai musicata e, nella versione definitiva, torna nei paraggi della conclusione pensata all’origine della genesi del Ring (“all you need is love”… :D ), seppure con una fondamentale differenza: non l’amore fra Brunilde e Siegfried, colpevole anch’esso per colpa dell’ottusità di Siegfried e dell’egoismo di Brunilde, ma un’ipotesi di amore (il tema della redenzione). È inevitabilmente una soluzione di compromesso, ma era l’unica soluzione che consentisse di salvare la coerenza che ha subito le vicissitudini del Ring: nato sull’onda di un (non ben chiaro) utopismo blandamente rivoluzionario, cresciuto sull’illusione di Schopenhauer e finito quando l’autore aveva una concezione della società completamente diversa.

Ovviamente, in my opinion, e non sono nemmeno certo che sia un’opinion destinata a durare… Spero di non essere stato troppo confuso, ma ho scritto veramente di fretta...

Saluti,
beckmesser
 
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Re: Wotan e la ruota che gira

Messaggioda Maugham » lun 16 mar 2009, 22:01

Teo ha scritto: Innanzitutto Matt complimenti per il tuo bellissimo intervento.


Mi associo pubblicamente dopo essermi complimentato a voce.
Mat, credimi, è un pezzo coi cojones... :D

Non tanto per la sua supposta vicinanza all'ideologia nazista, quanto più per le sue idee sul concetto di "razza" che, se non erro, lui stesso promulgò a Bayreuth attraverso la fondazione di circolo culturale che tra le altre cose diffondeva l'opera del teorico francese Gobineau sull'ineguaglianza della razze umane (questo per lo meno quanto mi consta di sapere).


Frena....! :wink:
Hai toccato tasti sensibili. Dove bisogna andare con i piedi di piombo.
Sulla vicinanza all'ideologia nazista... be', questo semplicemente non sta in piedi.
Ormai la storia di Wagner antesignano della ferocia del pensiero nazista più radicale è passato remoto.
Anche perchè, se leggi le sparate socialiste e rivoluzionarie del nostro lo si potrebbe, e ben più a ragione, considerarlo vessillifero della ferocia staliniana. :D
E perchè non degli anarchici?
Certi suoi scritti ricordano i comunicati dei bombaroli più scalmanati! :D
Poi, che certe idee abbiano trovato fertile terreno negli anni cupi della Wahnfried del tardo Siegfried (cupi anche nel senso di cupezza intellettuale), che siano state usate, stravolte, modificate... non lo nego. Ciò non toglie che Wagner fosse un soggetto poco "prudente" nell'esprimere idee di cui, ma questa è una mia opinione, lui non era del tutto consapevole della pericolosità se ficcate in mani sbagliate.
Comunque...
A quale circolo culturale ti riferisci di cui Wagner fu fondatore?
Non ne so nulla. Forse mi è sfuggito.
Ti dico quello che so.
Wagner lesse per la prima volta un testo di Gobineau nel 1880. Cioè tre anni prima di morire.
Lo incontrò in seguito per brevissimo tempo durante un soggiorno in Italia.
Nel 1881 lo invitò a passare un mese a Wahnfried.
L'ho ricordato anche in un mio messaggio precedente.
Mi ha stupito infatti che Wagner potesse mettersi in piacevoli conversari con un rigido integralista quale era Gobineau. :shock:
Infatti Cosima ricorda nei Diari che Wagner trovava Gobinau un piacevole conversatore ma non ne condivideva assolutamente l'assolutismo del pensiero. Ovvero che, in parole povere, il melting-pot potesse essere, qualora non arginato, la causa della fine dell'umanità.
Addirittura ne diede anche giudizi poco eleganti.
Cosima invece era d'altro parere.
Dico questo per il solo amore di precisazione.
Sul cristianesimo ti risponderà Mat.
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Re: Wotan e la ruota che gira

Messaggioda MatMarazzi » mar 24 mar 2009, 9:24

Teo ha scritto:Innanzitutto Matt complimenti per il tuo bellissimo intervento.

Caro Teo,
intanto grazie infinite delle belle parole, anche se in effetti ehm… il paragone con Bernstein mi pare eccessivo!  Comunque il solo fatto che i nostri dibattiti ti abbiano convinto ad avvicinare il Ring mi sembra una fantastica conquista. I forum di Internet dovrebbero servire a questo.

Teo ha scritto: Sinceramente mi fa specie (e non lo dico per polemizzare sia chiaro) vedere in Wagner una personalità così vicina all'ideologia ed al concetto di uomo-umanità espressa dalla religione cristiana (questo ovviamente per quanto io conosco).

Be’ in effetti però, Teo, l’elemento “Cristiano” ricorre con estrema frequenza, se ci pensi, nella sua Opera.
Ne è già connotato il Vascello Fantasma (1843); ad esso sarà ancora dedicato il Parsifal (1882). Lo ritrovi nel Lohengrin, nel Tannhauser; nel senso che interessa a noi persino nel Tristano.

Un’altra delle costanti delle opere di Wagner è l’epoca in cui sono collocate: la maggioranza (tranne i Maestri Cantori e il Vascello) si svolgono nel Medioevo, in un feudalesimo antico e profondamente innervato nella cultura cristiana. Solo il Tannhauser è posteriore all’anno 1000; le altre si collocano nell’arco compreso fra il 6° e l’8° secolo (quelle tratte dalla materia bretone, come il Lohengrin, il Tannhauser e il Parsifal). Perfino il Ring – che a molti sembra solo una cosmogonia mitica – ha un suo precisissimo ancoraggio nella Storia: il Crepuscolo infatti si svolge già in epoca storica, l’età di Attila (che infatti nel NiebelungenLied da cui è tratto il Ring era un personaggio centrale), quindi il 5° secolo dopo Cristo.
L’insistenza a trattare vicende ambientate nel Medioevo feudale dimostra quale era l’ossessione di Wagner: lui era affascinato dal momento storico in cui la novità del pensiero Cristiano (una novità rivoluzionaria: la trascendenza) si è innestata nella antica e gloriosa tradizione germanica.
Le due forze la nuova e la vecchia hanno combattuto (vedi il Lohengrin, vedi il Parsifal, in parte anche il Tannhauser) dando però origine a una nuova sintesi.
Il pensiero Germanico, col suo altissimo fondamento morale e intellettuale (almeno a giudizio di Wagner, che lo riteneva ben superiore a quello latino) ha così conosciuto la metafisica, arrivando alla sua massima espressione, grazie alla sinergia del Cristianesimo.

Non va quindi, secondo me, giudicato il Cristianesimo di Wagner come qualcosa di “operativo”. Ma solo come fenomeno storico-culturale: la forza che ha permesso alla cultura germanica di liberarsi della materia e fissare il proprio sguardo oltre la realtà sensibile, oltre allo spazio e al tempo, oltre persino alla coscienza.
Non è che il Cristianesimo sia stato il primo pensiero a “negare” il mondo (la metafisica, anche nei suoi risvolti più radicali, era stata inventata dai Greci); né l’unico (Wagner, proprio come Schopenauer, osservava con estremo interesse il fenomeno del buddismo).
Fu però solo il Cristianesimo a libererare la cultura dell'Occidente dai vincoli della materia, dello spazio-tempo, della consoscenza, della centralità dell'IO, e lo fece con la forza epocale, collettiva di un grandioso atto di Fede.

E con questo risponderei anche a Beckmesser in riferimento a Schopenhauer.
Il povero Wagner ha fatto male ad ammettere la sua grande ammirazione per l’autore del “mondo come volontà e rappresentazione”, perché ha dato la stura a un comportamento per me abbastanza incomprensibile.
Tutti i professori e cultori di filosofia si sono messi a leggere i libretti di Wagner (specie il Tristano) con da una parte il libro di Schopenhaur, dall’altra una penna rossa e blu.
E ogni qualvolta notavano una non corrispondenza, si esaltavano dicendo che il compositore “non aveva capito niente di Schopenhauer” e cose simili.
Ma in realtà Wagner non era tenuto ad alimentare le sue opere se non col PROPRIO pensiero; non certo quello di Schopenhauer o di Nietszche o di Feuerbach.
E il pensiero di Wagner (mi spiace per tutti coloro che cercano di gravarlo di questa o quella posizione, come un pentolone in cui si può mettere di tutto) era chiaro e chiaramente impostato fin dagli anni della gioventù.
Proprio negli anni in cui secondo alcuni era infoiato di cultura rivoluzionaria (gli anni in cui avrebbe voluto scrivere un Ring anti-capitalista e filo-operaio) cosa ha in effetti scritto Wagner?
Opere che trattano di trascendenza cristiana, di rinuncia al mondo, di salvezza nell’auto-annullamento.
Altro che minatori sfruttati e cattiverie di capitali... una santa che si immola per salvare un peccatore troppo amante della sensualità, una ragazza che sogna di graziare un maledetto da Dio, un cavaliere senza nome...

Ciò che si attribuisce alla lettura di Schopenauer (ossia l’annullamento individuale come negazione del mondo, come atto di pura fede, come portato del Cristianesimo feudale) Wagner l’aveva già maturato pari pari all’epoca del Vascello.
Quindi ben prima di leggere il Mondo; ben prima di scrivere il Tristano.

In Schopenhauer non ha trovato un maestro, un ispiratore per pe le ultime opere, ma solo uno che la pensava come lui.
Lo ha anche scritto in una lettera “finalmente – cito a memoria – uno che ha chiarito quel che pensavo da sempre”.
In S. Wagner trovò un altro estremista della metafisica, che non solo considerava negativo e illusorio il mondo, l’universo, le categorie della scienza e del pensiero, ma persino l’individuo, persino la coscienza individuale.
L’io con Schopenhauer (e questa è una vera rivoluzione) non contava più: ridotto a un fardello della “volontà” universale, tutt’altro che libero, tutt’altro che reale.
Questo Wagner prese da Schopenhauer (lo prese perché lo aveva sempre pensato anche lui), mentre non ereditò per niente il pessimismo cosmico; quel “tutto respirante” in cui l’individuo si annulla, si immerge, si inabissa senza coscienza (voluttà suprema) resta per Wagner cristianamente qualcosa di positivo.
E non siamo tenuti a vedere in questa differenza una cattiva lettura da parte di Wagner, ...o una fase successiva provata dal fatto che nel frattempo era uscito una altro libello filosofico, ecc....
Semplicemente questo era il pensiero di Wagner.

Ovviamente secodno me.

Salutoni,
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