Don Carlo di Verdi (Parigi 1867/Milano 1884)NOTA DEL MODERATORE:
Caro stecca,
ho già chiesto varie volte il piacere di non aprire nuovi thread su argomenti già trattati.
Altrimenti mi tocca spostarli in coda agli altri thread (cosa che dovrò fare anche con questo).
Ora la funzione "ricerca" funziona, quindi vi devo pregare di usarla!
contiamo sulla tua collaborazione in futuro!
Matteo
5 anni dopo la discontinua e forse in taluni punti eccessiva seppur sublime
Forza del destino commissionata dal Teatro di San Pietroburgo e 4 anni prima di
Aida commissionata dal Teatro del Cairo, l’oramai internazionale e famosissimo Giuseppe Verdi realizza alla età di 54 anni per il Teatro di Parigi questo gigantesco capolavoro in parziale stile grand-operà che verrà più “n
(R ?!!)azionalmente” rivisto quasi 20 anni dopo per la Scala di Milano, in quella che è la più nota ed eseguita seconda e definitiva versione musicata della celebre piece di Schiller. Il solitamente assai parco nei sentimenti amorosi Giuseppe Verdi racchiude in questo straziante dramma a tinte storiche ed un po’ fosche ben tre “amori” infelici che ruotano intorno alla figura del giovane Carlo, quello impossibile per Elisabetta di Valois, la giovane moglie del Padre Filippo II, quello non corrisposto della principessa Eboli per Carlo medesimo, ed infine quello viril-amicale in cui in molti videro una sorta di latente omosessualità pseudo-viscontiana tra il fedele Rodrigo marchese di Posa ed il conteso protagonista, e non a caso si trattò dell’opera di gran lunga preferita dal grande regista. Intorno a tutto ciò aleggiano le due grandi figure ieratiche e non a caso affidate alla corda vocale del basso, dell’infelice regnante e padre Filippo II e del grande Inquisitore che per certi aspetti si pone a metà tra il Commendatore mozartiano ed il futuro sacerdote di Aida. Musica stupefacente con picchi di vera e propria magia soprattutto nel primo atto e in quel memorabile incipit orchestrale alla grande scena finale di Elisabetta, unita ad alcuni momenti sia corali che più raccolti di grande effetto verdiano, basti pensare alla cd. scena dell’autodafè, rendono questa opera una delle più straordinarie creazioni melodrammatiche di sempre, e non a caso Don Carlo ha attirato quasi tutti i più grandi direttori del dopoguerra tra i quali a mio parere svetta tuttavia ancora oggi la insuperata e forse insuperabile lettura di
Claudio Abbado, leggendario protagonista alla Scala di Milano di alcune edizioni giustamente ancora oggi ritenute “storiche”.
Molto furba se si vuole la Scala a programmare questa ennesima inaugurazione con Don Carlo stante la attuale situazione delle voci verdiane (diciamo che la crisi si sente anche qui…), giacchè tra tutte le opere verdiane di rilievo, Don Carlo sembra, spartito alla mano, l’unica a consentire una decorosa riuscita anche in assenza di grandi personalità.
Però un qualche ricordo nostalgico ai tanti grandi del passato più o meno remoto che hanno affrontato questi sei incredibili personaggi che “il loro autore” stavolta lo hanno trovato e subito, ritengo vada fatto, e valga il vero.
Il protagonista (tenore) in realtà neppure nella propria romanza di entrata incide più che tanto nell’insieme, ma nelle occasioni in cui a cimentarsi nel ruolo furono tenori immensi quali
Bergonzi (il più grande in assoluto),
Corelli o Domingo la differenza si sentì eccome, ed anche il pallino di Karajan ovvero quel giovane
Carreras, oltretutto facilitato da una tessitura tutto-sommato centrale che esaltava quel timbro benedetto, ti faceva sobbalzare dalla sedia già al primo
Io l’ho perduta, mentre con tutto l’amore del mondo il tardo
Pavarotti poteva risparmiarsi la infelice inaugurazione mutiana di qualche annetto fa (anche se avercene oggi eh, sia chiaro….).
Il nobile e commovente Marchese di Posa ha trovato nel legato baritonale di
Renato Bruson forse il suo interprete più sommo, ma anche la sapienza di un
Gobbi o la intelligenza insinuante di un
Milnes o la classicità verdiana di un
Warren o di un
Merrill o di un
Bastianini non furono da meno, mentre la tonitruanza un po’ sempre sull’accelleratoredell’abbadiano doc
Cappuccilli fecero stavolta emergere, a differenza di Macbeth e Simone, più il cantante dotato che l’interprete ispirato.
Nei ruoli basso-profondo di Filippo e Grande inquisitore vezzo diffuso, come per il caso Ramfis-Sacerdote di Aida, fu quello dell’alternanza di ruoli tra i maggiori verdiani del dopoguerra, anche se a mio parere i colori del giovane
Ghiaurov nella interminabile
Ella giammai mi amò non li ha più trovati nessuno, ma come dimenticare lo straordinario mezzo di
Christoff, la bellezza della voce compatta di
Siepi ed anche e perché no ? la rutilante vis interpretativa di
Raimondi molto più sensazionale a parere di chi scrive però nel Grande inquisitore (il migliore).
Il ruolo ibrido mezzo-sopranil-drammatico di Eboli (forse vocalmente parlando uno dei più strepitosi in assoluto e non solo in Verdi) ha trovato alcuni mostri sacri che hanno esaltato i fortunati di allora che c’erano. C’è ancora chi ricorda quella serata scaligera degli ani settanta in cui la sconosciuta russa
Elena Obratsowa dopo uno sconvolgente
O Don fatal divenne in un sol colpo diva internazionale, ma se qualcuno ha avuto modo di ascoltare in uno dei tanti live o anche in disco ufficiale
Shirley Verret capirà come
la canzon del velo potesse assumere screziate insenature tali da smentire in un sol botto ogni pruderia circa la sensibilità musicale di Verdi, poi è ovvio che voci straordinarie tipo
Bumbry o
Cossotto sapessero trovare il meglio anche per la sventurata Eboli.
Infine veniamo al ruolo di Elisabetta meta ambita e non sempre adeguata, di quasi tutti i principali soprani lirici del dopo-guerra, e così solo a leggere cotanti nomi ti viene la pelle d’oca alla tale meraviglia.
E qui va a gusti signori miei, chi vuole lo strazio dell’anima adulta non rinuncia alla
Callas, chi l’incanto giovanile della purezza andrà a cercarsi una delle tante
Caballé d’annata, chi cercherà la rotondità piena della cavata tipica del Verdi maturo non rinuncerà alla
Tebaldi o alla
Cerquetti, chi vorrà ripulirsi le orecchie da ogni crosta sonora men che perfetta dirà la più moderna
Mirella Freni tutta la vita, chi ricercherà sforzo ed approfondimento richiamerà prima la
Gencer e quindi la
Scotto e così via insomma, le solite….note ivi compreso quel finale tutto in piano della giovane
Ricciarelli che ti faceva piangere.
Alla Scala hanno chiamato
Fiorenza Cedolins forse oggi come oggi il meglio insieme a Daniela Dessì che un po’ deluse nella citata inaugurazione di Muti, che dire ? Che anche solo per sentire quella orchestra che cresce prima del
tu che le vanità e che faceva assumere a Maria Callas in quel noto concerto grazie al cielo ripreso, tutte le espressione facciali di chi ama la musica più di ogni altra cosa al mondo, vale la pena andare a sentire Don Carlo. Se invece siete pigri comprate il CD, quale ? Non vi sono dubbi, la edizione EMI diretta da Giulini del 1970 con cast Domingo, Caballé, Milnes, Verret, Raimondi, rimane ancora oggi un vertice insuperato. Buon ascolto e W Verdi !!!