I Ruoli Ronzi de Begnis

cantanti, direttori, registi, scenografi

Moderatori: DocFlipperino, DottorMalatesta, Maugham

Messaggioda stecca » gio 15 nov 2007, 20:00

Arrivano Lucrezia e Stuarda

“Lucrezia Borgia” (1833) e “Maria Stuarda” (1835) di Donizetti:

Quest’anno il “Festival di Donizetti” di Bergamo inaugura con “Lucrezia Borgia” (interprete principale Demetra Theodossiu) e la Scala presenterà il 15 gennaio “Maria Stuarda” (interprete principale Mariella Devia).
Ce ne è a sufficienza, insomma, per affermare che i due principali eventi italiani dedicati al prolifico musicista orobico siano dunque queste due rappresentazioni, sulle quali potrebbe essere utile dire qualcosa dato che, pur essendo a mio parere entrambe bellissime, non si tratta di opere poi così note al grande pubblico come altri più celebri lavori donizettiani.
Sia “Lucrezia Borgia” che “Maria Stuarda” furono rappresentate per la prima volta alla Scala di Milano ed entrambe a dicembre nella consueta “prima” post-natalizia (Lucrezia il 26 dicembre e Stuarda il 30 dicembre), a distanza di soli due anni tra loro (Lucrezia 1833 e Stuarda 1835) e in mezzo a queste due opere si pone (sempre alla Scala in data 26 dicembre 1834) Gemma di Vergy altra opera, per mio conto, notevolissima.
Per Lucrezia Donizetti si fece assistere dal noto librettista di Bellini Felice Romani (quello di Norma) mentre per Maria Stuarda dal meno famoso Giuseppe Bardari, la parte di Lucrezia fu composta per la cantante Henriette Méric-Lalande mentre quella di Stuarda, originariamente destinata al San Carlo di Napoli e poi rifiutata dalla censura (!!!), fu scritta per il soprano Giuseppina Ronzi che aveva da poco meritato la fiducia di Donizetti con la Gemma dell’anno prima (in seguito sarà anche la prima interprete di Roberto Devereux e di Fausta), ma, si dice a causa un violento litigio con Anna del Seru (scritturata quale Elisabetta), la parte di Stuarda fu poi interpretata alla Scala (e pare neppure benissimo) dalla diva per ecellenza Maria Malibran, la cantante prediletta da Bellini.
Ovviamente chi scrive non ha potuto ascoltare queste prime-donne, sulla vocalità delle quali come noto in quei tempi l’autore “confezionava” le proprie musiche, ma il fatto che Stuarda fosse stata concepita per un soprano che aveva bene eseguito il pesantissimo e prevalentemente “centrale” ruolo di Gemma, ci consente di ipotizzare che Donizetti avesse in mente per Stuarda una voce di una qualche robustezza ed espressività anche “malvagia” seppur regale (stiamo pur sempre parlando di grandi nobili o di regine...), ipotesi peraltro che trova piena conferma nella furente invettiva del secondo atto nel corso del drammatico incontro-scontro con la cugina Elisabetta, mentre poco sappiamo circa la tipologia di voce ai tempi identificata per Lucrezia che di certo doveva essere di matrice belcantista ma quale tipo di belcantista non è poi così chiaro.
Da un punto di vista drammaturgico tuttavia (oltre che di scrittura vocale) possiamo notare che la figura di Lucrezia, qui tratta dal lavoro di V.Hugò, risulta un pò “diversa” da quella storicamente tramandataci dalla tradizione giacchè della nota perfidia della signora Borgia Donizetti ci trasferisce ben poco nella sua opera, in qualche modo nobilitando ed idealizzando in uno sconfinato amore materno e sostanzialmente “buono”, un personaggio che poi così remissivo non doveva poi essere.....
In sintesi potremmo dire che, fermo restando che l’ideale sarebbe trovare una cantante in grado di egualmente sviluppare tanto il fronte drammatico e tragico quanto quello lirico e puro come in ogni Donizetti serio che si rispetti, è pur vero che sulla carta e soprattutto sullo.....spartito Lucrezia parrebbe richiedere uno stile di canto più sorvegliato e immacolato di Stuarda che non può prescindere da una certa foga e “cattiveria” anche perchè Lucrezia risulta contrassegnata da un più casto amore filiale per Gennaro, mentre Stuarda da un amore assai più carnale per Leichester.
Dico questo perchè trattandosi della classica opera donizettiana incentrata sulla primadonna, anzi direi che in questo dittico incentrata sul confronto tra due primedonne giacchè il Maffio Orsini di Lucrezia è infatti ruolo “en travesti” e quindi interpretato da un mezzo-soprano esattamente come Elisabetta in Stuarda, la scelta della interprete principale conta moltissimo (anche se completano il classico quartetto donizettiano il tenore ed il basso va detto più di rilevo, da un punto di vista vocale, in Lucrezia ove fa il consorte Borgia).
In entrambe le opere poi si ripete in certo qual modo la struttura musicale nel senso che in entrambe la protagonista entra in scena dopo le grandi scene di tenore e di mezzo-soprano (da vera diva si fa aspettare....in Stuarda addirittura nel secondo atto), esegue una grande aria tripartita secondo il noto schema recitativo-aria e cabaletta, si lancia quindi in un grande duetto col tenore con relativa stretta e poi si volge il tutto verso il grande concertato di fine atto con irrinunciabile crescendo e vorticosa stretta di chiusa.
La seconda parte invece le distingue tra loro già di più nel senso che mentre Lucrezia affronta un inviperito duetto col basso (Don Alfonso pietade vi chiedo), quindi uno struggente duetto con il figlio (Tu pur qui) ove si inserisce la grande romanza di struggimento finale (M’odo o m’odi), e quindi la finale cabaletta di bravura (se eseguita) “Era desso il figlio mio”, Stuarda, che ha già sfogato la propria rabbia nello straordinario confronto-scontro con Elisabetta (Figlia impura), ha un finale prevalentemente malinconico quasi “Boleniano” perchè troviamo il duetto con il basso ove si colloca la romanza struggente (Quando di luce rosea), la bellissima preghiera sul coro e la cabaletta lenta (che ricorda quella di Gemma) “Ah se un giorno”.
Sia ben chiaro, per evitare delusioni del post, che quando dico che entrambe queste opere sono molto belle intendo dire che debbono tuttavia essere molto ben eseguite, e che non basta affatto cantare quello che c’è scritto sullo spartito perchè come noto le opere di Donizetti, ma in generale quelle di belcanto, non sono lavori che “corrono da soli” come può essere una Aida o una Tosca o anche un Tristano.
Nel belcanto infatti l’interprete vocale diventa fondamentale per trasformare in poesia una musica altrimenti di per sè un pò ordinaria, cosiccome per non fare apparire noiosa una partitura e soprattutto una vicenda, che si poggia tutta sul canto.
Sono insomma entrambe un gran bel vestito ma che per fare la sua figura deve essere indossato con classe, sennò è meglio che se ne resti nell’armadio, ma su questo non mi sento di fare previsioni anche se posso dire che Mariella Devia in questo tipo di repertorio è comunque e sempre una garanzia, anche se non è cantante che brilli per fantasia o per natura di voce soprattutto nei ruoli Ronzi ma traseat, mentre la talentuosa Theodossiu può riservare “sorprese” di opposta valenza.....
In passato ovviamente alcune tra le più grandi belcantiste del dopoguerra non si sono fatte sfuggire la ghiotta occasione di sfoggiare questi bellissimi due vestiti, quindi il panorama discografico, soprattutto quello live, e nonostante la imperdonabile assenza di Maria Callas, consente a chi vuole di farsi una giusta idea di quanto possano diventare sublimi queste due opere.
Lucrezia Borgia fu riscoperta per prima e da Montserrat Caballé nella celeberrima esecuzione in forma di concerto alla Carnegie Hall di New York dell’aprile del 1965, ove, arrivando all’ultimo quale sconosciuta sostituta di Marylin Horne, la spagnola divenne dal giorno successivo un “caso internazionale” da lì muovendo, e grazie ad una sola serata (!!!), una delle più straordinarie carriere liriche del dopoguerra.
Maria Stuarda invece fu riscoperta due anni dopo da Leyla Gencer nel maggio fiorentino del 1967 in una leggendaria esecuzione con la regia di De Lullo e la straordinaria presenza di una giovane Shirley Verret nel ruolo antagonista di Elisabetta.
Diciamo che meglio di così non poteva andare ad entrambe (esistono fortunatamente i CD di tutte e due queste “prime moderne”) e così le due opere citate piano piano cominciarono ad entrare nel repertorio, cantanti permettendo.
Sempre nel 1967 infatti sarà la Caballé ad eseguire Stuarda in terra americana e di nuovo alla Carnegie hall, ove nel 1965 aveva presentato anche Roberto Devereux che proprio Leyla Gencer aveva riesumato nella leggendaria recita napoletana del 1964, ed infine a grande chiusura del cerchio entrambe le due citate prime-donne daranno vita ad uno straordinario duello alla Scala nel 1970 proprio in Lucrezia dove verranno entrambe scritturate in alternanza e che sarà il debutto in Scala di Montserrat Caballé.
Due modi più diversi di affrontare questi due ruoli non si potevano immaginare, la spagnola, dotata di voce per natura meravigliosa, cesella ogni singolo respiro in una sfrenata ricerca del suono perfetto, la turca, dotata di carisma e di genio artistico, si lancia senza rete sul pentagramma quasi fossero due Medee, entrambe comunque, ed in questa immane diversità, “centrano” il personaggio e di certo non annoiano anzi esaltano....
L’anno dopo nel 1971 la Caballé tornerà in Scala per Stuarda con la Elisabetta della Verret anche se sarà una terza cantante, la funambolica americana Beverly Sills ad incidere la regina decapitata nell’ambito di una interessante operazione di registrazione in disco del trittico Tudor, mentre Lucrezia Borgia era stato il primo disco ufficiale di opera integrale registrato da Montserrat Caballè per la splendida edizione del 1966 della RCA ancora con la Verret, stavolta quale Orsini, ed uno straordinario Kraus nel ruolo di Gennaro.
Dopo Gencer, Caballé e Sills anche il fenomenale soprano australiano Joan Sutherland fino a quel momento in altri autori affaccendata si farà tentare da entrambe queste eroine incidendo sia Stuarda che Lucrezia per la Decca con fior di cast (Pavarotti e Aragall tanto per dire...) e portando in scena soprattutto la seconda anche in una memorabile edizione barcellonese con Kraus e Dupuy.
Negli anni d’oro della cd. belcanto renaissance queste opere infatti trovavano molto più spesso di oggi spazio nelle più importanti stagioni teatrali, al punto che accanto alle rinomate primedonne troviamo anche fior di voci dell’epoca, dato che oltre ai citati Verret, Kraus e Pavarotti, abbiamo un giovane Carreras cimentarsi sia in Gennaro che Leicester, oppure un Giacomo Aragall, cosiccome nel campo delle voci gravi un Cappuccilli o un Ruggero Raimondi etc..
Ma la storia di queste due opere ovviamente non finisce negli anni settanta e primi-ottanta, e se è vero che i grandi fenomeni di quegli anni sono “passati” è anche vero che altre e più recenti cantanti stanno tentando, seppur con minor carisma vocale e questo va detto aldilà della loro bravura, di mantenere in vita questi due interessanti lavori.
Per ragioni di timbro, stile e più in generale natura, vi è chi si è affidato al versante di perfezione esecutiva esaltando il lato più virtuoso della scrittura donizettiana sulla scia di Sutherland e Sills per intenderci, e si tratta dei soprani leggeri tipo Gruberova e appunto Devia, chi al versante più lirico e patetico sulla scia della Caballé tipo Katia Ricciarelli o Daniela Dessì che anni fa fece una discreta Lucrezia a Napoli, e chi, e vedremo a Bergamo, al versante più “spinto” sulla scia della Gencer.
Proprio perchè al giorno d’oggi non capita più così spesso di assistere ad un Donizetti serio, che in ogni caso è esperienza che merita di essere vissuta, consiglio di trovare il tempo di andare a vedere almeno una delle due opere in oggetto, e visto che Stuarda la danno alla Scala forse la regina Tudor è più comoda e più vicina.
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Messaggioda stecca » lun 03 dic 2007, 16:52

Il pesante "tonfo" della Lucrezia bergamasca (io non c'ero ma a leggere i resoconti dei presenti di tutti i gusti la protagonista è stata un autentico disastro vocale) dimostra una volta di più che senza un buon "legato" è impossibile riuscire bene nel belcanto italiano....ma sembra che tale facile concetto sfugga a molti quindi si va incontro a Bolene o Lucrezie tipo quelle andate in scena al festival dedicato a Donizetti.....peccato
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Maria Stuarda alla Scala.

Messaggioda VGobbi » dom 06 gen 2008, 23:53

Il 15 gennaio debuttera' la Stuarda donizettiana.

In prossimita' dell'ascolto (io saro' presente alla recita del 3 febbraio), qualcuno potrebbe consigliarmi edizioni di riferimento di questo lavoro?

Per il momento ne possiedo solo due : Sutherland/Pavarotti (edizione Decca) e Sills/Burrows (edizione Westminter).

Sarebbe cosa assai gradita che gli amministratori, aggiungessero qualche chicca nella sezione audio, confrontando le varie interpreti del ruolo nelle pagine piu' famose dell'opera. 8)
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Messaggioda stecca » lun 07 gen 2008, 15:56

Teatro alla Scala di Milano:
“Maria Stuarda” di Donizetti (1835)
(15, 18, 20, 22, 26, 30 gennaio/ 3 e 7 febbraio)
Regia: P.Pizzi
Direttore: A. Fogliani
Interpreti: Mariella Devia, Anna Caterina Antonacci, Francesco Meli, Carlo Cigni
“Maria Stuarda” di Donizetti (che racconta in maniera un tantino romanzata la celebre guerra tra le due cugine divise anche dalla fede religiosa, e che conduce all’eroico patibolo di Stuarda nonostante l’amore ricambiato per Leichester) fu rappresentata per la prima volta alla Scala di Milano nella consueta “prima” post-natalizia il 30 dicembre del 1835, esattamente in continuità con le notevoli Lucrezia Borgia (1833) e Gemma di Vergy (1834), anche se, va ricordato, Stuarda era originariamente destinata al San Carlo di Napoli ma fu rifiutata dalla locale censura.
Su libretto di Giuseppe Bardari, Donizetti compose la parte per il soprano Giuseppina Ronzi che aveva l’anno prima meritato la sua fiducia con la Gemma di Vergy (in seguito sarà anche la prima interprete di Roberto Devereux e di Fausta), ma, si dice a causa un violento litigio durante le prove con Anna del Seru (scritturata quale Elisabetta), la parte di Stuarda fu poi interpretata alla Scala (e pare neppure benissimo) dalla diva per eccellenza Maria Malibran, la fascinosa cantante prediletta da Bellini.
Quanto sopra non è affatto musicalmente irrilevante giacchè pur non avendo ovviamente potuto ascoltare queste prime-donne, sulla vocalità delle quali, come noto, l’autore “confezionava” le proprie musiche, il fatto che Stuarda fosse stata concepita per un soprano che aveva bene eseguito il pesantissimo e prevalentemente “centrale” ruolo di Gemma, ci consente di ipotizzare che Donizetti avesse in mente per Stuarda una voce di una qualche robustezza ed espressività anche “malvagia” seppur regale (stiamo pur sempre parlando di grandi nobili o di regine...). Dando una rapida occhiata allo spartito si può notare infatti come Stuarda sia ruolo assai poco "virtuoso" ed acrobatico (almeno sulla base dello scritto) e pertanto più adatto ad un lirico (ovviamente coi fondamentali del belcanto) che ad un leggero di agilità.
Aldilà della tessitura prevalentemente centrale infatti la parte di Stuarda non prevede neppure un Do mentre le due cabalette (Nella pace del mesto riposo e Ah se un giorno) non mi paiono presentarsi particolarmente "elaborate", difficili e pesanti questo si ma non virtuosissime.
In compenso vi è una scena fondamentale da rendere con rabbia ed espressività (il decisivo confronto-scontro con Elisabetta figlia impura di Bolena) e numerosi passi patetici e di commozione dalla entrata sognante verso la lieve nube al duetto amoroso con Leichester con lo struggente da tutti abbandonata, la preghiera, la celebre romanza Quando di luce rosea e richiede la necessità dei cd. fiati lunghi per rendere il bellissimo finale.
Meno ancora virtuosa è la parte di Ellisabetta, mentre di non facile approcccio è la tessitura acuta ma musicalmente ibrida del tenore Leichester che non è propriamente il tenorino contraltino donizettiano e che non a caso vede i suoi due migliori interpreti in un duo di mostri sacri come Pavarotti (in disco) e Carreras (on stage).

La struttura musicale dello sparito presenta la classica architettura della tragedia musicale Donizettiana, nel senso che la protagonista entra dopo le grandi scene di tenore (Leichester) e di mezzo-soprano (Elisabetta), anzi Stuarda, da vera diva, si fa aspettare fino al...secondo atto ed esegue una grande aria tripartita introdotta dal pertichino, secondo il noto schema belcantista recitativo-aria e cabaletta (E che non ami/O nube che lieve/nella pace del mesto riposo).
Ricevuti i giusti applausi di rito (sempre che se li meriti...) Stuarda si lancia quindi in un grande duetto col tenore innamorato dapprima languroso e quindi in più febbrile stretta ed il tutto volge ad una grande scena-evento collettiva che apre al grande concertato di fine atto dove intervengono tutti con l’irrinunciabile crescendo orchestrale e vorticosa stretta di chiusa.
E’ qui che si colloca la già citata invettiva Figlia impura di Bolena ove Stuarda ha modo di sfogare tutta la propria rabbia nello straordinario confronto-scontro con la regina Elisabetta.
Nell’atto conclusivo, solitamente riservato da Donizetti quasi per intero alla primadonna di turno, Maria ha un finale prevalentemente malinconico, quasi “Boleniano” potremmo dire, perchè troviamo il duetto con il basso Talbot, ove si colloca la romanza più struggente e più bella di tutta l’opera (Quando di luce rosea), la bellissima preghiera sul coro ed infine la cabaletta che principia lenta verso un ribattuto crescendo in forte (che ricorda quella di Gemma) “Ah se un giorno”.
Sia ben chiaro che si tratta di opera di classico “belcanto” quindi per rendere appieno abbisogna se non di due, almeno di una protagonista fuoriclasse, nel senso che non basta affatto cantare quello che c’è scritto sullo spartito, perchè come noto le opere di Donizetti, ma in generale quelle di belcanto, non sono lavori che “corrono da soli” come può essere una Aida o una Tosca o anche un Tristano.
Nel belcanto infatti l’interprete vocale diventa fondamentale per trasformare in poesia una musica altrimenti di per sè un pò ordinaria, cosiccome per non fare apparire noiosa una partitura e soprattutto una vicenda, che si poggia tutta sul canto.
Sono insomma come un gran bel vestito che per fare la sua figura deve essere indossato con classe, sennò è meglio che se ne resti nell’armadio, ma su questo mi permetto di dire che la scritturata Mariella Devia in questo tipo di repertorio è comunque e sempre una garanzia, anche se non è cantante che brilli per fantasia o per natura di voce soprattutto nei ruoli Ronzi ma il fatto che la rivale sia la meno impeccabile ma più variegata fascinosa Antonacci ci fa pregustare una sorta di invogliante compensazione.
Sulla carta è pure interessante sentire il promettente tenore Meli nella tutt’altro che facile parte di Leichester mentre nulla so del basso scritturato per il tutto sommato modesto ruolo di Talbot.
Quanto al direttore occorre uno che lasci respirare i cantanti, se si mette in testa che sta dirigendo Beheetoven siam fritti, tanto per dire vade retro Muti....
In passato ovviamente alcune tra le più grandi belcantiste del dopoguerra non si sono fatte sfuggire la ghiotta occasione di sfoggiare questo bellissimo “vestito”, anche se in realtà il costume della prigioniera Stuarda deve risultare dimesso rispetto allo sfarzo della regina come lamentava anni fa la simpaticissima Leyla Gencer raccontando della sua invidia fiorentina per le sontuose stole della Verret, quindi il panorama discografico, soprattutto quello live, e nonostante la imperdonabile assenza di Maria Callas, consente a chi vuole di farsi una giusta idea di quanto possa risultare sublime quest’opera.
Maria Stuarda dopo anni di oblio fu riscoperta, come noto, da Leyla Gencer (intelligentissimo soprano turco che già aveva riportato in auge Roberto Devereux a Napoli nel 1964) nel maggio fiorentino del 1967 in una leggendaria esecuzione con la regia di De Lullo e la straordinaria presenza di una giovane Shirley Verret nel ruolo antagonista di Elisabetta.
Sempre nel 1967 sarà invece Montserrat Caballé, forte della sua recente celebrità donizettiana, ad eseguire Stuarda in terra americana alla mitica Carnegie hall di New York, ove già nel 1965 aveva presentato quel Roberto Devereux riesumato da Leyla Gencer.
Nel 1971 la Caballé porterà Stuarda in Scala con la Elisabetta della Verret anche se sarà una terza cantante, la funambolica americana Beverly Sills ad incidere la regina decapitata nell’ambito di una interessante operazione di registrazione in disco del trittico Tudor sotto la direzione di Rudel.
Dopo Gencer, Caballé e Sills anche il fenomenale soprano australiano Joan Sutherland, fino a quel momento in altri autori affaccendata, si farà tentare da questa parte incidendo a sua volta Stuarda per la Decca con addirittura Luciano Pavarotti nel ruolo di Leichester
Quattro modi più diversi di affrontare questo ruolo non si potevano immaginare, ma occorre dire che tutti e quattro ancora oggi risultano straordinari a dimostrazione che quella fu davvero l’epoca d’oro del belcanto.
La Gencer, dotata di carisma e di genio artistico, si lancia senza rete sul pentagramma ad onta di una voce di natura piccola dal colore anonimo quasi fosse Medea, la Caballé, dotata invece di voce per natura meravigliosa, cesella ogni singolo respiro in una sfrenata ricerca del suono perfetto e commovente, la Sills sfruttando al massimo un registro acuto privilegiato si adatta la parte che valorizza di idee e di genialità dalla prima nota all’ultima ed infine la Sutherland....è la Sutherland ovvero l’arte del belcanto allo stato puro seppure la tessitura centrale di Stuarda non sia proprio la più adatta ad esaltarne le immense qualità.
Tutte e quattro comunque, ed in questa immane diversità, “centrano” il personaggio donizettiano e di certo non annoiano anzi esaltano....e l’opera torna quindi nel repertorio dei principali Teatri del mondo, al punto che accanto alle rinomate primedonne troviamo anche fior di voci dell’epoca, dato che, oltre ai citati Verret e Pavarotti, abbiamo un giovanissimo Carreras cimentarsi con la Caballé in Leicester in una strepitosa esecuzione francese del 1972.
Ma la storia di quest’opera non finisce negli anni settanta e primi-ottanta, e se è vero che i grandi fenomeni di quegli anni sono “passati” è anche vero che altre e più recenti cantanti stanno tentando, seppur con minor carisma vocale, e questo va detto aldilà della loro bravura, di mantenere in vita questi interessanti lavori donizettiani.
Per ragioni di timbro, stile e più in generale natura, vi è chi si è affidato al versante di perfezione esecutiva esaltando il lato più virtuoso della scrittura donizettiana sulla scia di Sutherland e Sills per intenderci, e si tratta dei soprani leggeri tipo Gruberova e appunto Devia, chi al versante più lirico e patetico sulla scia della Caballé tipo Katia Ricciarelli che eseguì molto spesso il ruolo di Stuarda e chi al versante più “spinto” sulla scia della Gencer, tipo la controversa Theodossiu.
Edizione consigliata anche per il suono eccellente:
Parigi 1972 Santi, Caballé, Vilma, Carreras
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Messaggioda VGobbi » lun 07 gen 2008, 21:57

Grazie mille Steccanella per il post. L'ho letto con moltissimo interesse. Ora vedro' di documentarmi con altre incisioni, ad esempio qualcuno saprebbe dirmi di cosa ne pensa della Miriciou e della Lagrange? In entrambi i casi, vi e' la presenza della Dupuy come Elisabetta.
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Messaggioda stecca » mar 08 gen 2008, 0:13

Caro VGobbi,
la Lagrange non l'ho sentita anche se "sulla carta" non mi invoglia molto nonostante la Dupuy.
Ti segnalo però che su youtube un tale ha postato un video che raccoglie tante versioni del "figlia impura di Bolena" per un confronto tra diverse interpreti.
Il nick è Devereux82 e si tratta di una sorta di thebestof audio (ma con foto accompagnatoria) di varie esecuzioni della invettiva di Stuarda.
Di solito trovo queste robe insopportabili ma questa mi pare interessante data la straordinaria evocatività del brano, anche se non capisco come mai
abbia omesso la Sutherland ?? Mah...
In ogni caso l'ordine è:
Ricciarelli, Caballé, Miricioiu, Dessi, Sills, Frittoli, Gencer, Aliberti e Gruberova
Personalmente trovo "fuori registro" Frittoli e Dessi ed evanescenti seppur per motivi diversi sia la Aliberti che la Miricioiu.

Restano 5 belcantiste più o meno doc.
Ricciarelli ha una voce magica (le note basse iniziali sono le più belle di tutte) ma si sente che la sforza e la stira (però l'accento è centrato), la Gruberova è il solito fenomeno di emissione però è troppo “sussurrata” questa invettiva, e il colore della voce è francamente inadeguato.

Restano quindi 3 vere Stuarde:
La Gencer in questo pezzo, anche se io non esco di testa per la sua voce, continua a dettare legge poche storie, anche perchè quel suo colore qui sembra proprio quello di una regnante incazzata.
La Sills sa Dio come faccia con quella voce lì, sta di fatto che anche qui (che sulla carta avrebbe dovuto essere il suo pezzo debole...) riesce ad essere di una eloquenza straordinaria, insomma il personaggio della invettiva c'è....non è solo una belcantista che esegue a regola d'arte tutte le note (anche perchè ne interpola il doppio...).
Infine la mia diletta, e so che non sono obiettivo,...ma tolto il brutto attacco per quelle note gravi (forse più "oscene" della meretrice) poi a mio parere cresce in modo straordinario, e ci arriva una folata di voce piena e bella da far paura...
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Re: Maria Stuarda alla Scala.

Messaggioda Riccardo » ven 11 gen 2008, 0:46

VGobbi ha scritto:Il 15 gennaio debuttera' la Stuarda donizettiana.

In prossimita' dell'ascolto (io saro' presente alla recita del 3 febbraio), qualcuno potrebbe consigliarmi edizioni di riferimento di questo lavoro?

Per il momento ne possiedo solo due : Sutherland/Pavarotti (edizione Decca) e Sills/Burrows (edizione Westminter).

Sarebbe cosa assai gradita che gli amministratori, aggiungessero qualche chicca nella sezione audio, confrontando le varie interpreti del ruolo nelle pagine piu' famose dell'opera. 8)

Direi che con l'edizione della Sills, almeno per la protagonista puoi ritenerti più che soddisfatto.
Tutto sommato anche la Farrell Elisabetta non sfigura e, del resto, non oserei mai proporti quella della Baltsa nel disco della Gruberova (peccato però, perché ti perdi una delle sue belle creazioni).

L'edizione Sills con Ceccato apre anche diversi tagli (anche l'ouverture scritta per la ripresa milanese, che invece potrebbe benissimo essere dimenticata), il che non guasta.
Burrows poi qui ne esce discretamente visto che la parte è limitata e non impossibile a livello di tessitura.

Nell'edizione di Bonynge il più in parte secondo me forse è proprio Pavarotti, il che è abbastanza significativo per intuire la riuscita del disco.

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Re: Maria Stuarda alla Scala.

Messaggioda VGobbi » sab 12 gen 2008, 14:34

Riccardo ha scritto:... non oserei mai proporti quella della Baltsa nel disco della Gruberova (peccato però, perché ti perdi una delle sue belle creazioni).

Intendi dire che mi perdo la Gruberova? :twisted:

Riccardo ha scritto:Nell'edizione di Bonynge il più in parte secondo me forse è proprio Pavarotti, il che è abbastanza significativo per intuire la riuscita del disco.

Pero' interessante. Si potrebbe sapere cosa non ti convince della Sutherland?
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Re: Maria Stuarda alla Scala.

Messaggioda Pruun » dom 13 gen 2008, 16:17

Riccardo ha scritto:Nell'edizione di Bonynge il più in parte secondo me forse è proprio Pavarotti, il che è abbastanza significativo per intuire la riuscita del disco.


Inutile dire che non sono d'accordo, ma che anzi considero la Joan come la miglior Stuarda sul mercato discografico.
Però vorrei sapere anche io che cosa non ti convince nella sua prova!
:wink:
G.
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Re: Maria Stuarda alla Scala.

Messaggioda stecca » dom 13 gen 2008, 18:55

Pruun ha scritto:
Riccardo ha scritto:Nell'edizione di Bonynge il più in parte secondo me forse è proprio Pavarotti, il che è abbastanza significativo per intuire la riuscita del disco.


Inutile dire che non sono d'accordo, ma che anzi considero la Joan come la miglior Stuarda sul mercato discografico.
Però vorrei sapere anche io che cosa non ti convince nella sua prova!
:wink:
G.


La Joan è come sempre....Stupenda ma la Caballé nel Live di Parigi 1972 è ancora più stratosferica (suno eccellente peraltro e in più c'è un giovane carreras da brivido)
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Messaggioda Pruun » dom 13 gen 2008, 20:26

Io e stecca abbiamo sempre questi lievi dissidi... d'opinione sulla destinazione della palma della miglior interprete....
8) 8) 8) :wink:
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Messaggioda stecca » lun 14 gen 2008, 23:57

Pruun ha scritto:Io e stecca abbiamo sempre questi lievi dissidi... d'opinione sulla destinazione della palma della miglior interprete....
8) 8) 8) :wink:



Sai finchè si deve decidere tra una Sutherland e una Caballé......direi che cmq vada sarà un successo.....
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Messaggioda VGobbi » ven 25 gen 2008, 1:07

In attesa di vedere quest'opera alla Scala, mi son ascoltato le due versioni che possedevo, ovverossia la Sutherland e la Sills in studio.

Vorrei soffermarmi sull'edizione Decca, che vanta un Leicester solarissimo come pochi (Pavarotti), capace di non svilire un personaggio gia' di per se' sminuito dalla scrittura donizettiana, non avendo pagine d'indiscutibile valore musicale. Il Pavarotti lo riscatta con un canto superbo ed una vocalita' d'esuberante facilita' che forse stride con il personaggio, ma che per lo meno regala gioie per le nostre orecchie. Sorvolando sulla pessima Elisabetta della Tourangeau, sull'incongruente Morris nei panni stretti di Cecil e di un regale Soyer (Talbot), rimane la Sutherland. La sua e' una regina d'altissimo lignaggio, sublimato da un canto che piu' regale di cosi' si muore. Un canto che non teme confronti, ma dove soffre inevitabilmente nei passaggi di furore (il punto debole, non a caso e' lo scontro tra le due regine alla fine del secondo atto). Ecco allora che una Sills, seppur con piu' problemi di tessitura ed un timbro sicuramente non baciato dalla natura, mostra pero' una maggiore comprensione del personaggio, o meglio riesce a rendere appieno le varie sfascettature di un ruolo decisamente piu' complesso di quanto lo si voglia far apparire. La Sills, a differenza della Sutherland, mostra un'aggressivita' nell'affrontare certe frasi arroventate che non possono lasciar indifferenti l'ascoltatore. Due letture sublimali ma interpretativamente opposte. Spetta all'ascoltatore decidere quale la migliore, ma entrambi meritano una spazio di primissimo piano nella lettura di questo altro grande personaggio donizettiano.
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Messaggioda stecca » ven 25 gen 2008, 13:15

Mi sto preparando per la recita di domenica 3 febbraio, ieri sera ho imposto a chi verrà con me la visione del celeberrimo video di Barcellona. Premesso che non ricordavo nè la bravura di Berini (notevolissima) e Mazzieri (invece Jimenez proprio me piàs nò...) nè l'orrore della messa in scena casareccia e neppure la direzione abbastanza sconclusionata di Gatto ho trovato il 3 atto della Caballé semplicemente strepitoso ('na roba da buttarsi per terra fino a sbucciarsi le ginocchia se uno fosse stato presente quella sera al Liceo). Aggiungo che la faccia di chi stava visionando il video con me al termine del quando di luce rosea (e che a forza di leggere e di sentire anche qui che la spagnola era una cialtrona, farfugliante, accomodante che si reggeva solo sulla bella voce ad altre amenità del genere...mentre le vere grandi Stuarde erano la Sutherland, la Sills, la Gencer e compagnia cantante non è che proprio partisse molto fiducioso) era quella di uno che aveva appena assistito ad una sorta di miracolo divino, ricordo solo la faccia perchè il fragore degli appalusi del Liceo copriva in toto i nostri eventuali commenti.....
A me invece ha fatto letteralmente impazzire il finale (solo l'attacco del da capo giustifica una intera serata).
Il tutto è facilmente verifcabile, per chi vuole, su youtube....
P.S. mi limito ad aggiungere che questa recita non apparteneva in teoria al periodo aureo della Montse ma si collocava tra le varie Forze, Turandot, Chenier et similia....

E adesso, finito il breve stacco sulla raffazzonata spagnola di cui mi scuso, riprendiamo pure a discettare sulle vere grandi Stuarde passate e future etc. etc.
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Messaggioda pbagnoli » dom 12 lug 2009, 18:18

La butto lì.
Cosa ne pensate di questo accostamento della grande interprete ad un personaggio non sono immenso, ma anche - teoricamente - piuttosto lontano dalle possibilità della Gruby?
Per me è uno dei grandi accostamenti di sempre, ma è una mia opinione mediata - va detto - non tanto dal disco inciso per la NIghtingale, quanto dal DVD di Monaco con la regia di Loy del 2005.
Per me è eccezionale, oltre che vocalmente ancora a postissimo
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(Arturo Toscanini, ai musicisti della NBC Orchestra)
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