il tenore romantico e gli interpreti odierni

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Messaggioda MatMarazzi » mer 03 ott 2007, 13:25

Caro Ric,
mai pensato che tu fossi "fanatico" e che parlassi per partito preso.
Questo per partire! :)

I miei dubbi stavano sul Rubini di Donizetti, per il quale Blake - anche se magari non trovò un terreno d'elezione come nei ruoli David di Rossini - non mi pare nemmeno fosse inadeguato e fuori parte come vuoi sostenere tu (e come effettivamente è in Arturo o Elvino). Tutto qui.

Vocalmente e tecnicamente te lo concedo volentieri. :)
E pure stilisticamente.
Non nego nemmeno che (prendendo le cose dal tuo punto di vista) il personaggio possa esistere.
Resta il fatto che io "sogno" di un certo Percy, molto diverso da Blake, molto più spirituale, abbagliante e ... (non arrabbiarti) rubiniano, che credo potrebbe veramente riportare l'equilibrio in quest'opera che troppo spesso appare squilibrata.
Il peso della primadonna è eccessivo anche per un ruolo pasta...
Per questo il tenore serve... serve eccome.
Comunque, a questo punto del discorso, temo che non potremo andare molto oltre.
Le tue argomentazioni sono condivisibili e fondate.
Ci separe un piccolo tratto, ma ormai siamo entrati nell'ambito del gusto personale.

Certo in Blake preme più l’esaltazione del momento che non la sublimazione nostalgica, non c’è dubbio. Però mi pare che sia comunque una lettura notevole e legittimata dal testo.

Uffa!...
Va be'... ne convengo! ;)


E come mai allora a Donizetti sono scappate tutte quelle agilità per Rubini?

Ma perché Rubini le sapeva fare! :))))
:D La Silja.. be'.... :)

Non eri tu a sostenere che un artista ci sembra tanto grande fin quando qualcuno dopo di lui non riesce a superarlo? :)

Sì, ma ne parlavo in altro contesto.
Parlavo soprattutto di adesione psicologico-affettivo-drammaturgica alla propria epoca.
Non so quanto il Percy di Blake potesse descrivere l'estetica e la Zeitgeist degli anni '80.
I suoi David... oh, quelli sì! :)
Comunque, per concludere questo bellissimo scambio, devo dire che tanto il ruolo, quanto Rubini, quanto Blake meritavano un così appassionato e circostranziato approfondimento! :)

E come sempre ti ringrazio! :)
salutoni
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Messaggioda Riccardo » mar 16 ott 2007, 19:36

MatMarazzi ha scritto:Comunque, per concludere questo bellissimo scambio, devo dire che tanto il ruolo, quanto Rubini, quanto Blake meritavano un così appassionato e circostranziato approfondimento! :)

Mi perdonerai se ripesco ancora una volta questo thread che si era deciso di esaurire. :)

Ma volevo chiederti una cosa.
Tu nel thread sul cd della Bartoli dici:
MatMarazzi ha scritto:In compenso... devo dirlo?
Mi sono piaciuti molto anche Sonnambula e i Puritani.
Certo: NIENTE a che spartire con Callas, Sutherland! Ma proprio niente!
Ma una gestione della linea e una poesia di tono notevli, sia pure con sonorità talvolta sorprendenti.
Ma soprattutto mi è piaciuto l'effetto generale: intanto sentire questi brani non più così alti, così siderali, ma ricondotti a una tessitura di calda umanità mi ha fatto molta impressione.

Bene.
Ma perché ammetti e trovi molto interessante un esperimento come quello della Bartoli, ossia (nel caso di Sonnambula) di rendere un ruolo Pasta in modo molto diverso rispetto ai requisiti di astrazione e sublimazione che dovrebbero definirlo?
La Bartoli è una colorista ai massimi termini, quasi leziosa nel dover trovare una diversa sfumatura per ogni sillaba. La cabaletta di Amina è tutto un ricamo di vocali e uno scintillare di consonanti...

Perché - ed è poi la vera domanda - quest'operazione sperimentale è ammessa qui ma non nella questione Blake-Percy di cui più sopra? :)

Un salutone e scusa l'insistenza, ma vorrei capire bene come la pensi :wink:
Riccardo
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Messaggioda MatMarazzi » mer 17 ott 2007, 23:25

Riccardo ha scritto:Perché - ed è poi la vera domanda - quest'operazione sperimentale è ammessa qui ma non nella questione Blake-Percy di cui più sopra? :)


Caro Ric,
il mio atteggiamento critico verso un artista non è di chiusura, sulla base di preconcetti e dogmatismi (almeno spero).
Anzi, vorrebbe essere il contrario.

Se anche sostengo delle tesi, tu dovresti cercare di vedere in esse non il mio punto di partenza, ma il mio punto di arrivo.
Parto dal dato (il suono) e poi tento di formulare tesi, di aggregare sintesi.
Non parto mai dalle tesi per opprimere il dato.

Una volta ascoltata un'intepretazione posso (come tutti) riportarne un giudizio negativo o positivo (per non parlare delle infinite gradazioni intermedie).
A quel punto mi interrogo sulle ragioni del mio giudizio.
E alla fine (ovviamente) cerco di darmi delle risposte.

Nel caso di Blake partivo da una sensazione di insoddisfazione.
Non trovavo nel suo Percy quella definizione coerente che mi aspettavo, nè la capacità di attribuire un senso - oltre che al proprio personaggio - anche al delirio di Anna.

Forse mi aspettavo troppo da lui: ero convinto che finalmente con un Blake (ho detto niente!!) avrei avuto un'idea del vero "peso" drammaturgico di Percy, dopo anni di insoddisfazioni.
Con un tenore tecnicamente in grado di affrontare il ruolo, per giunta di grande personalità drammatica, avrei avuto l'immagine vera di un personaggio che a me pareva troppo fragile, inutile e rinunciatario.

E invece questa rivelazione da Blake non l'ho avuta: e non ho nemmeno avuto la sensazione che ne hai tratto tu, di un personaggio che si nutra della popria emotività nervosa e inquieta.
Ebbene, no!
Il Percy di Blake mi pareva semplicemente un diversivo simpatico e rilassante (con tutti quei bei ghirgori) alla storia di Anna... come se, per non annoiare troppo il pubblico con le smanie della regina, e per permettere alla prima donna di tirare il fiato, gli autori ci avessero messo in mezzo un bel tenorino a roulades, piacevole, prevedibile, ma che in fondo non aggiunge nulla alla storia e alla situazione.
Questo è l'effetto che mi fece Blake.
Mi aspettavo di capire e non ho capito.
A parte la felice sensazione di "tutte le note al loro posto" non registravo nessun progresso da Gianni Raimondi.

Allora mi sono posto la domanda: com'è che in Oreste o in Rodrigo (ugualmente inutili sul piano drammatico) Blake mi fa l'effetto di un catalizzatore, come se tutta l'opera ruoti intorno a lui?
Com'è che in Percy non ci riesce?

A quel punto l'ipotesi (perché di ipotesi si tratta) che tra le grandi costanti drammaturgiche dei ruoli Rubini e le caratteristiche tecnico-poetiche di Blake non scoccasse la scintilla mi è parsa essere la risposta soddisfacente.
E ne sono ancora convinto.
Anche perché, negli altri ruoli Rubini da lui interpretati, Blake mi ha lasciato ugualmente indifferente.

Ora, nell'esposizione della tesi (in questo thread) ho proceduto al contrario: sono partito definendo le costanti dei ruoli Rubini per puntare il dito sull'inadeguatezza (per me!) di Blake.
La sostanza è assolutamente uguale.
Ma temo che - da questo processo a ritroso - tu abbia frainteso il mio approccio, pensando che io mi incaponissi in un postulato (rubini è così e così) per arrivare alle conseguenze (blake non va bene).

Questo però non è il mio stile. Anzi, è proprio lo stile che rigetto.
Se Blake mi fosse piaciuto avrei dovuto cercare altre risposte e formulare altre tesi, per rispondere a una diversa domanda: "cosa apparenta la tecnica di Blake a questo ruolo Rubini?"

La Bartoli.
Lei in Sonnambula (o per lo meno il frammento concertistico del cd) mi ha convinto.
Anche in questo caso il punto di partenza è la sensazione che ne ho tratto.
La sensazione di qualcosa di convincente e bello.

Perché mi è piaciuta?
Come è possibile che lei (terrena e umana fin nel prosaico) mi convinca in un ruolo Pasta nel quale io vedo soprattutto la capacità di elevazione oltre l'umano, di stilizzazione della passione, verso le grandi sintesi del Romanticismo?

Anzitutto ascoltando in quel cd in me agisce (inevitabilmente) il filtro mentale dell'immagine di Maria Malibran.
Non è la maschera altera della Pasta che abbiamo davanti agli occhi, quanto la dolcezza carnosa, le labbra sensuali della Malibran, fragrante incarnazione dell'umanità, del voluttuoso, della tenera carne che seppe sedurre lo stesso Bellini (il maggior pastiano che ci fosse).

Perché chiedi a me se sono disposto ad ammettere "altre letture" di un capolavoro?
Chiedilo a Bellini... divenne un fanatico ammiratore della Malibran, negli stessi ruoli che pure aveva concepito per l'altra!

La Bartoli mi ha convinto di qualcosa...
Continuo a preferire (manco a dirlo) le Amine estenuanti e sublimi di Callas e la Sutherland, che tennero alta la fiaccola della Pasta, ma ammetto che anche lei, con quell'esibizione spudorata di umanità paesana, riesce a far quadrare il cerchio e a dar l'idea di qualcosa che esiste.

Certo, bisognerebbe sentirla nell'opera intera. Forse i nodi verrebbero al pettine; ma - almeno per questo brano - occorre partire dal dato che QUEI SUONI hanno saputo interagire (almeno per me) con QUELLE NOTE.

Ti sorprendi? Mi trovi incoerente?
Non vedo perché...
Non sono io che ho detto (in altro thread) che Vickers e Tamagno - pur opposti - sono stati i migliori Otello che abbia sentito?
Cosa avevano in comune?
Nulla, tranne il fatto di riuscire persuasivi entrambi.

Ed è su questo che dovremo riflettere...
Quali suoni di Vickers funzionano in Otello? Perchè?
Cosa scatenano a contatto con le note di Verdi?

Salutoni
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Messaggioda Riccardo » gio 18 ott 2007, 11:03

MatMarazzi ha scritto:Se Blake mi fosse piaciuto avrei dovuto cercare altre risposte e formulare altre tesi, per rispondere a una diversa domanda: "cosa apparenta la tecnica di Blake a questo ruolo Rubini?"

...che è proprio quello che ho provato a fare nel nostro dibattito!

Grazie per il chiarimento :wink:

Salutoni
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Messaggioda MatMarazzi » gio 18 ott 2007, 18:36

Riccardo ha scritto:...che è proprio quello che ho provato a fare nel nostro dibattito!


E a quali conclusioni sei giunto?
E soprattutto da quali premesse sei partito? ;)
Che Blake ci ha svelato il segreto di Percy?

:?

Salutoni,
Mat (l'irriducibile)
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registro tenorile e repertorio preverdiano

Messaggioda Rodrigo » mar 16 giu 2009, 18:25

Buon pomieriggio a tutti,
prendendo le mosse dalle considerazioni svolte a proposito del Poliuto volevo allargare un po' il campo.
Generalmente parlando - forse con qualche arbitrio inevitabile quando si schematizza- mi pare che nel repertorio ottocentesco che precede Verdi si possano ritracciare due grandi filoni tenorili molto diversi tra loro. A monte di questa situazione ritengo vi sia da una parte l'eredità rossiniana (che riassume il lascito dell'opera seria), dall'altra la mancanza della corda baritonale (intesa come categoria ben differenziata). Ne consegue che erano etichettati come tenorili anche voci che per il nostro orecchio sarebbero baritonali.
La presenza di una "fascia" tenorile dai confini più larghi rispetto ai nostri comporta una grande diversità di scritture vocali. I due poli estremi sono a mio avviso riconducibili al tenore "sfogato" (o contraltino che dir si voglia) in grado di galleggiare su tessiture elevatissime (es. Idreno, Elvino, Arturo, Edgardo) e con timbro tendenzialmente chiaro come si conviene all'amoroso, e il tenore "drammatico" (non nel senso verista della parola) posizionato su tessiture centrali (salvo occasionali acuti da raggiungere in falsettone), con timbro adatto a personaggi "coturnati" tendenzialmente NON amorosi (es. Otello, Pollione, Poliuto), il c.d. baritenore per intenderci.
I ruoli scritti per prima categoria vocale hanno sempre avuto interpreti in grado di affrontarne le difficoltà con efficienza e, in tempi più recenti, anche con appropriatezza stilistica.
La situazione è più complessa - credo - per la seconda categoria. E' vero che, per fare qualche esempio, Corelli e Del Monaco sono stati Pollione con esiti anche elettrizzanti per l'ascoltatore. Ma restano due letture molto distanziate dal ceppo neoclassico a cui appartiene il ruolo, discendenti come sono da presupposti estetici e vocali "carusiani". Lo stesso Merritt, che pure ha rivoluzionato il repertorio rossiniano, non mi pare abbia del tutto recuperato questa particolare faccia del pianeta tenorile soprattutto per una dizione non curata a dovere e per oggettivi limiti di fraseggio.
In definitiva mentre gli ultimi decenni ci hanno fatto ascoltare diverse incarnazioni del tenore contraltino, credo che la tipologia baritenorile sia ancora in cerca di una riproposizione convicente.
Voi cosa ne pensate?
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Re: registro tenorile e repertorio preverdiano

Messaggioda Tucidide » mar 16 giu 2009, 23:28

Il problema principale della corda di baritenore è il coniugare l'ampiezza e la brunitura della voce nei centri con lo slancio del registro acuto e, soprattutto, la padronanza della coloratura.
Del Monaco e soprattutto Corelli sono stati spesso elettrizzanti nei panni di Pollione, per vigoria di accento e scultorea potenza vocale ma spianavano quel po' di coloratura che Bellini scrive (specie nel duetto con Adalgisa), e aggreddivano il registro alto con una foga da tenore da fine Ottocento. Ma se il secondo aspetto, un fattore prettamente stilistico, non mi sembra rechi nocumento ai fini di una ridefinizione attuale dei ruoli baritenorili, il primo, ossia la mancanza di una tecnica di coloratura adeguata, è un impaccio non da poco.
Nemmeno io trovo Merritt perfettamente a suo agio nel fraseggio di quei ruoli (e poi c'era il problema della musicalità, in lui spesso incerta), ma di sicuro a livello prettamente vocale è stato il tenore che più di tutti è riuscito a coniugare i due aspetti che dicevo, valorizzandoli come nessun altro.
Il mondo dei melomani è talmente contorto che nemmeno Krafft-Ebing sarebbe riuscito a capirci qualcosa...
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Re: registro tenorile e repertorio preverdiano

Messaggioda pbagnoli » gio 18 giu 2009, 17:54

Io credo che Merritt, con tutti i suoi limiti, sia stato l'unico a recuperare questo stile di cui parla Rodrigo nei suoi esatti limiti. Ho avuto la fortuna di sentirlo dal vivo e se è vero che non sempre appariva rifinitissimo nel fraseggio, se è vero che spesso l'intonazione appariva un filo periclitante, se è vero che la personalità dell'interprete spesso mancava clamorosamente, confinata come era in una franca ingenuità che mal si attagliava con i suoi personaggi è pur vero che l'ampiezza scultorea dell'accento, la scansione bruciante e le impennate dell'acuto spesso in falsettone erano assolutamente elettrizzanti.
Spesso cito l'esperienza di averlo potuto vedere e sentire nel Guglielmo Tell alla Scala: la sua presenza fisica e vocale era soggiogante e da sola riempiva il palcoscenico. Ricordo ancora quell'inizio del IV atto: fu stratosferico.
Poi, sono d'accordo nel riconoscerne i limiti: ma questi aspetti facevano passare ampiamente in secondo piano qualunque difetto
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Re: registro tenorile e repertorio preverdiano

Messaggioda MatMarazzi » lun 22 giu 2009, 21:07

Rodrigo ha scritto:mancanza della corda baritonale (intesa come categoria ben differenziata). Ne consegue che erano etichettati come tenorili anche voci che per il nostro orecchio sarebbero baritonali.


Questa è un'osservazione giustissima e bellissima.
E' lo stesso problema (più tenace e duraturo ancora) dei soprani.
Poiché da tempo immemore la parola "soprano" è divenuta sinonimo di "protagonista", la storia ci ha consegnato una gamma di personaggi qualificati come soprani che praticamente coprono due terzi delle possibilità della voce femminile.
Kundry è soprano, Zerbinetta è soprano...

Per il resto, sono meno convinto dell'unificazione da te proposta dei personaggi che definisci coturnati.

il tenore "drammatico" (non nel senso verista della parola) posizionato su tessiture centrali (salvo occasionali acuti da raggiungere in falsettone), con timbro adatto a personaggi "coturnati" tendenzialmente NON amorosi (es. Otello, Pollione, Poliuto), il c.d. baritenore per intenderci.


Secondo me, una cosa sono i tenori eroici del pre-romanticismo rossiniano (i Nozzari, i Garci, i Donzelli) a cui la tua definizione si attaglia perfettamente.
Un'altra cosa sono gli haute-contre alla Nourrit, che invece erano "amorosissimi" e di un lirismo quasi rubiniano (sia pure con maggiore spessore tragico).
Altra cosa ancora - questa davvero differente - sono i tenori eroici e contraltini del pieno romanticismo: i personaggi nati da Duprez e dai suoi continuatori (Tamberlick... giù giù fino a Tamagno).
Qui proprio non siamo più nell'ambito dei baritenori: qui siamo nel terreno dello squillo apocalittico, della rivolta sconquassante e dannata.

Se accettiamo questa distinzione, allora si spiega fin troppo bene il caso di Merritt.
come tu affermi:

Lo stesso Merritt, che pure ha rivoluzionato il repertorio rossiniano, non mi pare abbia del tutto recuperato questa particolare faccia del pianeta tenorile soprattutto per una dizione non curata a dovere e per oggettivi limiti di fraseggio.


In cosa consideriamo meritorio Merritt?
Nei ruoli Nozzari, ossia in quelli - effettivamente centralizzanti e sgargianti - del rossini pre-romantico.
In cosa ci lascia perplesso?
Nei ruoli Nourrit (Guglielmo tell, Ugonotti, ecc...). Quanto ai ruoli Duprez, se ne è sempre tenuto abbastanza al riparo (tranne il Cellini) ... e con ragione.
Questa è la ragione per cui non avrei voluto - io personalmente - sentirlo nel Poliuto e nemmeno nei Martyres.

Salutoni e grazie mille dei tuoi post sempre ricchissimi di spunti.
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Re: registro tenorile e repertorio preverdiano

Messaggioda pbagnoli » lun 22 giu 2009, 21:39

Perché Merritt ti lascia perplesso in Arnold?
Sì, lo so, adesso penserai "Perché mi si deve contraddire?", ma chi se ne frega: io vado matto per l'Arnold di Merritt, e proprio a cominciare da quel fronte vocale che sconfigge un sacco di aspiranti al ruolo. E' per me affascinante soprattutto l'uso del falsettone , ma anche la fresca naiveté del giovane montanaro che si trova fra le mani una cosa più grande di lui e deve imparare a diventare grande in fretta. In cosa non ti convince?
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Re: registro tenorile e repertorio preverdiano

Messaggioda Tucidide » lun 22 giu 2009, 22:07

pbagnoli ha scritto:io vado matto per l'Arnold di Merritt

Io proprio matto matto no, però mi piace molto. Al di là di alcuni momenti, trovo che sia un personaggio di forte spicco, dove mi pare anche che, rispetto ai mostruosi ruoli Nozzari, il tenore di Oklahoma City si impegni di più sul versante interpretativo. Forse riesce a coniugare quei toni talvolta queruli della sua voce alle esigenze drammatiche del personaggio.
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Arnold e il falsetto(ne)

Messaggioda pbagnoli » lun 13 ago 2012, 15:10

Il riascolto in questi giorni del - per vari versi - non del tutto soddisfacente Guillaume Tell di Pappano mi ha portato a fare qualche considerazione sul ruolo di Arnold cui, nella presente registrazione, presta voce John Osborn.
Premetto subito che Osborn, per me, non è soddisfacente e soprattutto perché una vocalità come la sua non potrà mai essere una soluzione per un ruolo Nourrit.
Lasciamo perdere la premessa teorica e passiamo subito all'ascolto:

Risolvere - come fa lui - con un (esilissimo) registro di petto tutti le terribili note del Terzetto porta, come prima conseguenza, la giusta preoccupazione dell'assetto del fiato per sopravvivere; e poi, quale seconda conseguenza, la perdita della vera cifra stilistica del primo eroe romantico.
Se partiamo dal presupposto che i personaggi di Nourrit fossero un interessante amalgama di eroismo propriamente detto e di malinconia per qualcosa di assaporato per un attimo e poi subito perso, risulta evidente che l'ultimo cantante che possa renderne lo specifico è proprio Osborn.
Ma più in generale, i cantanti che risolvono di petto una parte pensata per un cantante che dal si bemolle in su andava in falsetto (che sia falsetto o falsettone rinforzato, poco importa: si trattava comunque di un suono contraltino misto di testa), commettono di fatto un arbitrio stilistico.
Prima di tutto, i tenori che risolvono gli acuti astrali con un'emissione di petto, sono cantanti per lo più di spessore esiguo nelle note centrali: Osborn, come sentiamo, non fa eccezione.
In secondo luogo, note astrali come quelle pensate per questi eroi necessitano assolutamente di un'emissione falsetteggiante, altrimenti lo sforzo sarà talmente evidente da generare nell'ascoltatore una sensazione di innaturalezza. Si dirà: anche il falsetto è innaturale. Vero, ma nella fonazione naturale - provare per credere! - la voce sulle note acute tende a disporsi sul registro di testa; è l'esercizio prolungato a spostarla innaturalmente nel petto.

Esempio deteriore, veramente pessimo, di questa tendenza è il nostranissimo Mario Filippeschi, preclaro esempio di tenore espada che trasforma l'assolo di Arnold(o) nell'Oteco della verdiana Pira vista da un'ottica che richiama la parodia del verismo:

E' curioso che ci siano ancora appassionati di questo modo di cantare (si vedano i commenti sulla pagina di Youtube) ma è proprio vero: fra i melomani c'è proprio posto per tutti!

Altro mistake stilistico, anche se meno grave, è quello di Luciano Pavarotti, qui ripreso non nella registrazione di Chailly, bensì in un celeberrimo recital diretto da Rescigno (me lo fece conoscere l'amico Maugham). Certo, la voce è onnipotente ma, come vedremo ascoltando i veri interpreti Nourrit, siamo lontani le mille miglia da una reale comprensione di questo ruolo che viene ancora visto come una sorta di anticipazione verdiana; cosa che non è.


Ora, nella storia recente del canto, due soli cantanti hanno affrontato Arnold con correttezza stilistica.
Uno è Nicolai Gedda. E' bravissimo, ma ha affrontato il ruolo troppo tardi; l'avesse affrontato prima, sarebbe stato perfetto per cifra stilistica, per naturale tinta malinconica del colore vocale, per aplomb (si pensi al suo Raoul di Nangis, ancora oggi paradigmatico).
Ecco qui la sue celebre registrazione Emi. Purtroppo, come si diceva, era già abbastanza avanti negli anni e non è per niente aiutato da una direzione piuttosto elefantiaca. Lo stile, invece, è notevolissimo: si apprezzano anche alcune smorzature di qualità eccezionale, oltre a una salita al re bemolle semplicemente da brivido; io probabilmente non faccio testo perché adoro questo grandissimo cantante:


L'altro è Chris Merritt; e qui arriviamo al vertice.
Rispetto a Gedda è meno perfetto come aplomb, molto meno musicale e meno intonato. Ma il passaggio in falsettone rinforzato dal si bemolle in su è ancora oggi da manuale e gli permette, nel registro centrale, di mantenere un colore brunito, un'ampiezza di vocalizzazione e una presenza che, in teatro, faceva veramente vibrare i muri.

Esempi di ascolto:

In questa oleografica performance, la salita al re bemolle conclusivo dell'aria è ancora oggi da manuale per la colonna di fiato stratosferica che la sostiene. Certo, la pronuncia francese è fantasiosa, è vero; ma il dominio diabolico di questo tipo particolare di passaggio gli permette un controllo talmente perfetto da generare una cabaletta incalzante.

Eccovelo nel Terzetto, quattro anni dopo, alla Scala. L'occasione è prestigiosa: l'inaugurazione della stagione teatrale. La direzione è semplicemente stratosferica: Riccardo Muti, ancora oggi interprete insuperato di questa partitura, nonostante l'arretratezza culturale della terribile traduzione italiana e due partners vocali non indecorosi ma sicuramente non alla sua altezza (oltre a una non-regia come quella di Ronconi).
Ancora una volta, ciò che colpisce è - da un lato - l'aplomb stilistico che lo porta a essere dolente, pieno, dotato di una cavata ricca di colori in basso; e dall'altro il passaggio al falsettone per tutte le diaboliche fiondate acute che, come si vede, non gli generano nessuno sforzo apparente né gli fanno cambiare posizione nell'emissione:


E adesso rivediamolo, nella stessa sera, nell'incipit del quarto atto. Ancora una volta - e lo ricordo bene: c'ero - ciò che impressiona è la presenza di questo grandissimo cantante, la cui voce faceva vibrare il teatro: nel settore centrale era pieno, brunito, ricco di armonici, musicassimo; poi passava al registro superiore in testa, e la voce manteneva magicamente non solo la stessa posizione, ma anche la stessa ricchezza di armonici anche su uno stratosferico re bemolle. E' probabile che non suoni così spettacolare come nel video di Cagliari: credo che dipenda soprattutto da un direttore come Muti che lo imbrigliava (ma in compenso ditemi se avete mai sentito una propulsione analoga nel Corriam! Voliam!...):


Dopo di lui, solo un altro impressionante: è Gregory Kunde.
Un po' meno caratterizzato e un po' meno definibile, anche lui - mi sembra - passa al falsettone sul re bemolle conclusivo. Il vantaggio di una prospettiva del genere è evidente: la possibilità di mantenere un colore brunito e ricco di sfumature dolenti sul registro centrale.
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Re: Arnold e il falsetto(ne)

Messaggioda MatMarazzi » mar 14 ago 2012, 19:16

Grazie del bellissimo post, Pietro.

Sempre lì andiamo a finire: i ruoli Nourrit.
Evidentemente Operadisc ama molto questo tenore e i personaggi scritti per lui.

Concordo con tutto quello che hai scritto, elogi e perplessità.
Permettimi però qualche piccola considerazione.

La questione del falsettone è sì importante, ma non solo per questioni tecniche (che pure sarebbero già importanti).
Il fatto è che togliere a questi personaggi l'acuto "a trombetta" (o alla Duprez) vuol dire aiutare a svelarli.
Il fatto è che noi (e tutto il romanticismo) associamo all'acuto poderoso e allo squillo tenorile l'idea dell'eroismo.
Bene! Nourrit non aveva nè acuti poderosi, nè squilli tenorili.
E SOPRATTUTO non era affatto eroico!
Era tragico come un eroe corneliano, sofferto, intellettuale.
Era ripiegato e tormentoso!
Quando finalmente avremo abolito quei maledetti acuti di petto... cominceremo a capire qualcosa in più dei suoi personaggi.

Questo però non significa che, usando uno strano registro misto (che propriamente falsetto non è), come Merritt si arrivi a misurare la complessità di questi ruoli.
Con l'emissione giusta si è solo all'inizio (contrariamente a quanto affermano i beceri, per i quali è un fine).
A quel punto bisogna costruire qualcosa.
E Merritt cosa costruisce?
Capisco che i suoi suoni a teatro ti abbiano dato la sensazione della rivelazione (a me fecero un'impressione meno spettacolare); ma è anche vero che il personaggio assolutamente non c'è.
E non pretendo lo scavo umano, attorale, poetico che sicuramente Nourrit riversò sul personaggio... Non arrivo a tanto.
Ma come espressività... a me pare che siamo dalle parti di Pavarotti (sia pure con un'emissione più giusta).

Su Osborn hai totalmente ragione.
Fu uno sbaglio chiamarlo in Arnould (io andai fino a Roma per sentirlo).
Non ha nulla dei ruoli Nourrit, che pure si ostina a cantare: peccato perché quando li canta è destinato a fare la figura dell'imbranato.
Devo però aggiungere che ultimamente l'ho sentito in alcuni ruoli Nozzari (Donna del Lago alla Scala, Otello di Rossini a Zurigo) dove l'impressione è stata opposta.

Non sembrava proprio lo stesso cantante!
Sicuro di sì, credibilissimo e autorevolissimo in scena.
La sua scarsa "profondità" in Nourrit, l'imbranataggine che dimostra a contatto con i personaggi "filosofici" di Nourrit, in quelli Nozzari si trasformava in sfrontatezza insolente, maschia e rissosa da vecchio guerriero: variazioni, agilità, sopracuti (alcuni dei quali tiratissimi) diventavano atti di sfida tanto agli altri personaggi, quanto al pubblico! :)
Mi ricordo la sua faccia alla Scala, quando è entrato in scena per la spaventosa cavatina di Rodrigo, con tutti i fucili puntati, alcune contestazione raccolte alla prima e il solito loggione pronto a esplodere! :)
L'espressione diceva: vi siete beccati me! Fatevene una ragione! e adesso preparatevi che vi scaravento addosso di tutto!
Sembrava Rambo! :D
Ed effettivamente (tra note belle e note brutte) ci ha scaraventato addosso di tutto.
Ero elettrizzato e ammiratissimo: non potevo credere che quel favoloso Nozzariano, fosse lo stesso polentone che mi ero sorbito nel Guglielmo Tell e nel Vampyr.
Fra l'altro i baritenori preromantici gli convengono molto di più anche vocalmente.
Nei ruoli Nourrit se non hai una linea strumentale, per assecondare "le melodie dell'anima" che i compositori gli dedicavano (Nourrit fu il primo a cantare Schubert in francia), fatichi a essere credibile.
Al contrario Osborn, con la sua voce piena di diseguaglianze e crepe (e con gli impressionanti colorismi che ne sa trarre), sembra fatto apposta per continuare la linea "americana" dei Merritt, Ford e Kunde.

Infine, lo so che mi ripeto, vorrei spezzare la solita lancia in favore di Eric Cutler, che per me ha raggiunto l'equilibrio ideale fra sperimentazione tecnica, musicalità e profondità anti-eroica che stiamo cercando per i ruoli Nourrit.
Anzi... per me è l'unico Nourrittiano plausibile documentato dalla storia del disco.
Peccato che si decideranno a inciderlo in queste parti quando sarà troppo tardi...


Oggi il cast per un Guillaume Tell ideale c'è, almeno per me.
Finley va benissimo come Tell.
Cutler è (ancora per poco) l'Arnould perfetto.
E poi Cecilia Bartoli (che è addirittura l'incarnazione della Cinti!) in Mathilde.

Potrebbero cantare praticamente tutti i primi Grand Opéra: un Robert le Diable, una Muette de Portici fatti da loro sarebbero un sogno.
Il problema è che bisognerebbe farli subito!

Salutoni,
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Re: Arnold e il falsetto(ne)

Messaggioda DottorMalatesta » mer 15 ago 2012, 8:29

Cari Pietro e Matteo,
grazie per aver sollevato una questione che mi ha sempre incuriosito.
Essendo un operomane/operoinomane più che un vociomane, vorrei tuttavia chiedervi di chiarire alcuni aspetti.

1. È tecnicamente corretto definire il registro acuto di Merritt come falsettone? Il falsettone dovrebbe essere un falsetto rinforzato (tra l’altro: come diavolo si rinforza un falsetto??!!). Ora, il falsetto (almeno quando lo proviamo a fare noi comuni mortali che non siamo né Merritt né tantomento Nourrit!! :shock: ) è, a differenza della voce piena, costituito da suoni fissi, privi di armonici, filiformi. In definitiva, darei d’accordo nel chiamare falsetto certe note emesse da Gigli, ma come chiamare allo stesso modo alcuni acuti vibranti, luminosi, ricchi di armonici e di ampio volume di Merritt? Sinceramente la sua voce mi richiama più quella di un Kraus.
Il fatto che negli acuti immascheri bene la voce, cioè cerchi di rinforzarla idirizzandola verso i risuonatori superiori (cavità e seni della faccia), lo rende ipso facto un cantante che usa il falsettone? :?: :?:

2. In definitiva, tecnicamente parlando, qual è la reale differenza tra un do acuto emesso alla Duprez e un do acuto alla Nourrit? Che cos’è questo benedetto falsettone e questo dannato do di petto (per dirla alla Rossini :mrgreen: )? Forse che anche un Corelli non rinforzava la voce utilizzando i risuonatori superiori? Non è quindi solo una differenza in termini di timbrica, mentre la tecnica resta la medesima (per cui gli acuti luminosi di Kraus vengono definiti di testa, mentre quelli di una voce scura e baritonaleggiante come Corelli vengono definiti di petto?). L’utilizzo dei risuonatori inferiori (le note di petto) va bene per le note gravi, ma via via che sale verso gli acuti il suono tende ad ampliarsi nei risuonatori superiori, o sbaglio? :?: :?: :?: :?:

3. Se davvero Merritt emetteva gli acuti in falsettone, si può affermare (sulla base della storiografia vocale) che la sua tecnica era davvero sovrapponibile a quella di un David o un Nourrit? Se sì (ma mi domando anche chi altri oltre a Merritt adottasse la stessa tecnica), allora devo cominciare a considerare Merritt non solo come un interprete eccellente, ma anche come un cantante tecnicamente eccezionale 8) 8) 8) 8) . Se no, si può cercare di capire in cosa differisce la voce di Merritt da quella dei tenori rossiniani?

Grazie infinite di tutto e buon Ferragosto!!!!
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Re: Arnold e il falsetto(ne)

Messaggioda DottorMalatesta » mer 15 ago 2012, 10:10

P.S.: Pietro, sono d'accordissimo sulla appropriatezza stilistica di Gedda 8) 8) 8) . Ma in cosa, tecnicamente, differisce il suo re bemolle alla fine dell'aria da quello, non dico di Filippeschi, ma di Pavarotti??? Idem per gli acuti della cabaletta... E idem per il re bemolle di Kunde, dove mi sembra di avvertire uno sforzo muscolare che invece non mi aspetterei in un falsettone. A differenza che in Merritt (in cui il re bemolle è in effetti meno vibrante, più "falsettante"), una differenza così marcata io non la sento (ma, ancora una volta, mi domando se in parte non sia dovuto al diverso spessore vocale di partenza...).

E ancora: perché nessuno (e dico NESSUNO!) riesce a rendere diversamente da un urlo lacerante il fa sovracuto dei puritani (quei pochi che ci provano! ma anche gli altri negli acuti soffrono e parecchio!!!)? L'unico che ci prova è il Pavarotti dell'incisione Decca (con una nota che, quella sì!, non esiterei a definire falsettone).



L'altro che, tra tenori di tutti i tipi e risultati dei più vari (!!!), raggiunge in maniera degna il fa sovracut è Matteuzzi (ma è un reale falsettone? O almeno una nota emessa con la stessa tecnica di quella di Pavarotti???).



Anche Merritt... perché neanche lui ci prova? Se realmente era un maestro del falsettone...



Mah.... Non ci capisco davvero niente!!!!

;-)
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