registrazioni vs esecuzioni a teatro

Storia del disco, politiche e strategie, firme e case discografiche

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registrazioni vs esecuzioni a teatro

Messaggioda MatMarazzi » lun 25 giu 2007, 0:17

Riccardo ha scritto:I dischi per me sono un mezzo meraviglioso e incredibile, ma sono altra cosa dall'ascolto in teatro. Quello può essere dato soltanto dagli artisti della propria epoca purtroppo.


Cominciamo a fare quanto promesso!
Ossia a segmentare i tanti argomenti messi sul piatto nell'ultimo lungo dibattito fra me e Riccardo, isolarli e farne un argomento di conversazione.

Partirei dal rapporto fra la "verità" dei dischi e quella del "teatro".
Un'antica tradizione (che mi pare ben rappresentata anche in questo forum, a giudicare almeno da qualche affermazione di Roberto o anche di Gianluigi) vede il disco come un surrogato (ahimè, ben poco fedele) del canto dal vivo.
Anche Riccardo incalza in questo senso: sentire a teatro non è come sentire un'incisione.

Io, al contario, vedo il problema non in termini di concorrenza, ma di diversità.
La registrazione è cosa completamente diversa dall'esecuzione a teatro.
Proprio la loro diversità non ci autorizza a farle duellare: meglio l'una o meglio l'altra?

Il canto dal vivo permette tante cose.
Il canto registrato nel permette altre.
Anche in termini di fruizione.
a teatro devi fidarti della prima impressione; nel disco puoi sentire e risentire uno stesso passaggio mille volte.
Con i ricordi di cantanti sentiti a teatro possiamo "bluffare"; con i dischi non si "bluffa".
Certe magagne (in senso fisico e atletico) il disco le risolve.
Ma dal punto di vista dell'espressione e della ricerca infinitesima del colore e dell'accento, il tecnico del suono non può aiutare...
E in studio il cantante ha modo di dire "davvero" ciò che pensa, mentre a teatro (lottando per la concentrazione, con l'orchestra fuori tempo, il collega non ispirato, il pubblico che tossisce) potrà solo avvicinarcisi.
Il teatro permette, è vero, di capire davvero volume, dinamica, atletismo, virtuosismo (tutte cose per le quali il disco è testimone ben poco attendibile), ma solo in studio il cantante potrà dar fondo alle sue risorse espressive e liberare davvero il suo pensiero.
E' vero che il disco copre molte magagne; ma ne rivela impietosamente altre. Gente che a teatro passa per essere espressivissima, in disco si scopre retorica e manierata. Gente che a teatro maschera il proprio pressapochismo musicale (dietro allo splendore di effetti facili), in disco precipita miseramente.

C'è poi un'ultima questione, ma quella di gran lunga più interessante.
Il disco richiede una tecnica diversa da quella che si richiede a teatro.
Se a teatro la proiezione del suono è importante, nel disco è inutile e anzi dannosa.
Bisognerà elaborare suoni più colorati e non necessariamente potenti e propulsivi.
Si dovrà lavorare di più di articolazione consonantica e un po' meno di vocalismo astratto.
Basta sentire la Callas (una delle prime ad avvedersene): le incisioni dal vivo della seconda metà degli anni 50 ce la presentano con un certo tipo di canto (coperto, scuro, proiettato nello spazio, a suo modo grande); le registrazioni degli stessi anni ce la mostrano quasi aperta, parlante, miniaturista dell'accento e del colore.

Inosmma, disco e teatro sono cose talmente diverse (anche se interagiscono sempre) che non so quanto abbia senso "scegliere" e metterle in competizione fra loro.

Che ne dite?
Salutoni,
Matteo
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Messaggioda Luca » lun 25 giu 2007, 8:00

L'argomento è interessantissimo e se ben sviluppato (come sa fare Matteo, ma non solo lui...) può aiutare a comprendere due mondi (teatro e disco) che, a mio avviso, sono all'insegna della reciprocità (un pò come uomo e donna in teologia), ma anche di complementarietà
Mi spiego:
a) in termini di reciprocità perché sono due mondi in sé stessi completi e tra loro differenti, ma che tra loro dialogano e si rinviano;
b) in termini poi di complementarietà: perché nel loro insieme concorrono a dare un quadro quanto più esaustivo della situazione di un/a cantante in termini di evoluzione o di involuzione.
La Callas - come ha detto Matteo - rappresenta un pò la punta dell'iceberg, se vogliamo, in positivo del tema (basterebbe pensare al confronto tra le due edizioni de La Gioconda, dirette entrambe da Votto: quale differenza !!!), ma di altri cantanti si è visto un processo inverso, ossia più andavano avanti e peggio stavano (vocalmente ed interpretativamente): eppure la gente a teatro si spellava le mani e in disco molti arricciavano il naso.
Però per illustrare il problema occorre fare proprio queste esemplificazioni analizzando caso per caso vedendone i pro e i contro dell'itinerario artistico fatto di luci e ombre. Mi viene in mente il caso Caballé (di cui non sono mai stato un grande ammiratore neppure negli anni aurei), ma ce ne sono altri.

Saluti, Luca.
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Messaggioda gianluigi » lun 25 giu 2007, 8:37

matteo, hai espresso concetti verissimi e illuminanti!te lo dice uno che in teatro ci suona sempre ma che ha una pasione maniacale per i dischi d'opera. in teatro ci suono perchè è il mio lavoro, i cantanti li ascolto o dalla buca o dai palchi, ma per me il canto, a parte qualche rara eccezione, è rappresentato solo ed esclusivamente dai dischi. mi rendo conto che questo può sembrare inaudito. sono però talmente assuefatto dal disco che in teatro, anche con cantanti di grossa fama, mi cadono spesso e volentieri le braccia. lo dico subito: io sono uno di quelli per i quali il belcanto(inteso come modo corretto d'eseguire l'opera) è finito col ritiro degli ultimi grandi cantanti del dopoguerra. quindi più o meno da una quindicina d'anni.cioè, non m'importa nulla se a teatro daniela dessì e fabio armiliato cantano aida o manon lescaut quando in disco posso ascoltare queste opere dalla caballè e da bergonzi. tempo fa, in un concerto a reggio emilia in cui cantava michele pertusi rimasi deluso anche da lui, tanto la voce e il modo di cantare mi sembravano "normali". il disco, ormai è assodato, è un fatto sia culturale che storico. ho sempre diffidato da coloro che sostengono che i dischi siano poco attendibili.semmai, è vero il contrario! esulando per un attimo le incisioni live, che poi sono quelle che preferisco, il disco è una verità! a me poco importa del volume e della grandezza della voce.m'importa dello squillo però. cioè, se ascolto il trovatore di domingo inciso per la sony, io ascolto solo suoni perennemente strozzati e ingolati. il do della pira si disse che lo incise qualche anno prima per poi metterlo in "freezer". beh, onestamente non ne ho capito l'utilità visto che è uno dei do più fibrosi e brutti della storia del disco. e il lavoro di editing dei tecnici poco può fare. ti faccio un altro esempio,prendo un incisione live: l'otello del '76 con kleiber, domingo e cappuccilli. questo baritono rappresenta ancor oggi per tanta gente un mito. però in questa ripresa dal vivo si percepiscono suoni veramente belli solo nel mezzoforte/forte. tutti i piani rimangono in gola e risultano fibrosi,ne è una prova lampante il racconto del sogno del secondo atto.magari in teatro erano quasi impercettibili.il fatto è che non si può cantare verdi solo con una voce timbricamente doviziosa. occorre cantarlo con una grande varietà di dinamica e di fraseggio, occorre avere una fonazione perfetta in cui anche i piani risultino ricchi di armonici e non ingolati. e questo il disco lo dimostra senza pietà. potremmo fare ovviamnete mille altri esempi di cantanti rinomatissimi smontati dai dischi. tempo fa un utente di questo forum sosteneva che la voce di del monaco era tre volte superiore a quella di pavarotti ma nel disco sembra il contrario.io invece capisco che se anche la voce di pavarotti ha un volume minore, ha però uno squillo trascendentale, cosa che del monaco non ebbe. e allora che m'importa del volume della voce?..bisogna saperli ascoltare i dischi. grazie ai vecchi cimeli di battistini, de lucia e tamagno abbiamo quanto meno una testimonianza di come si cantasse nell'8oo. e questo non è importante? un appassionato di canto lirico non può assolutamente prescindere dai dischi. i tecnici possono rimaneggiare quanto vogliono ma una cattiva tecnica viene sempre alla luce. poi è chiaro che alcuni grandi cantanti rendevano meglio in teatro. prendiamo ad esempio alfredo kraus.le incisioni in studio sino alla fine degli anni 1970 lo presentavano a volte freddo, a volte distaccato.le incisioni live invece presentano un interprete vivo e a volte elettrizzante,magari neanche sempre. lo stesso lauri volpi disprezzava i dischi dicendo che danno voce a chi non ce l'ha e la tolgono a chi l'ha, ma i suoi dischi del periodo migliore ritraggono, sia pure in modo imperfetto, uno dei più soggioganti tenori della storia.
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Messaggioda Luca » lun 25 giu 2007, 12:00

prendiamo ad esempio alfredo kraus.le incisioni in studio sino alla fine degli anni 1970 lo presentavano a volte freddo, a volte distaccato.le incisioni live invece presentano un interprete vivo e a volte elettrizzante,
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Mah ! Io ho ascoltato dal vivo Kraus in una Manon (quindi repertorio suo) e francamente, ti dirò: preciso, a posto di tutto, ma gelidamente corretto. Sono entrato in un modo da teatro e sono uscito in modo uguale. Infatti Kraus per me è un cantante che nella sua correttezza mi ha dato sempre l'idea di un giovane vecchio, tanto in disco come in teatro. Ciò mi porta ad un passo dalla noia mortale.

Saluti, Luca.
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Messaggioda dottorcajus » lun 25 giu 2007, 12:52

Credo che sia determinante l'approccio che ognuno ha verso la lirica. Io, pur amante appassionato di 78gg, non amo particolarmente ascoltare l'opera in disco. Per diletto posso ascoltare un opera live incisa in maniera amatoriale ma rifiuto di ascoltare l'incisioni in studio o le live ufficiali. L'opera è nata per il teatro ed un cantante studia per arrivare a cantare su un palcoscenico. Quindi a me interessa solo quello che un artista da in teatro e molto meno quello che ci dà in disco. Sinceramente ascoltare un cantante che in disco, grazie anche ad eventuali aiuti di editing, riesce ad emettere un bell'acuto, a cantare una bella frase, mi interessa poco se poi non riesce a replicare il tutto in teatro. Inorridisco di fronte ad una rappresentazione teatrale dove mi capita di ascoltare un cantante sempre nello stesso modo indipendentemente dalla sua posizione sul palcoscenico o dal fatto che si rivolga verso il pubblico o verso il fondo del palcoscenico (sicuramente accadeva e forse accade ancora a Firenze). In poche parole nel teatro c'è una verità più attinente alle intenzioni del teatro stesso, nel disco c'è sempre una mezza verità. Altro discorso è quello relativo alle capacità espressive ed artistiche. Queste sono necessarie sia in teatro che in disco ed è vero che artisti che in teatro riuscivano ad essere a loro modo espressivi, in disco perdevano in creatività. Ma un artista genericamente comunicativo quale era Pavarotti lo era in tanto in teatro quanto in disco, un artista come Bocelli et simili, tipico tenore discografico che non supera lo scoglio dell'assenza del microfono, ammesso e non concesso che sia un fenomeno vocale resteranno dei cantanti ma non saranno mai dei tenori.
Sul fatto che un cantante debba usare una tecnica diversa in sala d'incisione non saprei dare una risposta. Credo che in sala d'incisione forse un cantante tende a contenersi più per motivi tecnologici che per vere intenzioni tecniche. Inoltre credo che sia molto difficile riuscire a comunicare espressivamente senza il supporto dell'azione scenica e del carico di emozioni che solo la rappresentazione teatrale può dare.
Considero molto diversamente le incisioni storiche primo perchè l'intervento dei tecnici, per quanto già presente, non era invasivo come quell'odierno e raramente falsava la realtà. Il disco storico a mio parere presenta invece il limite del riversamento, momento in cui l'editing può fare veri danni. A mio parere l'ascolto perfetto di un 78gg è solo quello che si realizza ascoltando una copia ottima di un 78gg facendola girare su un grammofono dotato di una tromba di ottima qualità (specie se di legno) e di un diaframma altrettanto valido.
Per me c'è la stessa differenza che trovo fra un ascolto a teatro ed uno registrato, nel primo c'è vita, vibrazioni, emozioni, nel secondo c'è, non sempre, solo la loro rappresentazione.
Ecco perchè ritengo teatro e disco due mondi diversi. Al disco e alle registrazioni live riconosco il grande valore divulgativo ed informativo perchè è grazie a queste che possiamo conoscere tanti artisti ma anche la parziale responsabilità dell'esistenza di artisti dotati di sempre più scarsa personalità interpretativa ed, insieme al dvd, la sempre maggiore emarginazione del cantante rispetto alle altre componenti dello spettacolo.
Roberto
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Messaggioda dottorcajus » lun 25 giu 2007, 13:03

Luca ha scritto:Mah ! Io ho ascoltato dal vivo Kraus in una Manon (quindi repertorio suo) e francamente, ti dirò: preciso, a posto di tutto, ma gelidamente corretto. Sono entrato in un modo da teatro e sono uscito in modo uguale. Infatti Kraus per me è un cantante che nella sua correttezza mi ha dato sempre l'idea di un giovane vecchio, tanto in disco come in teatro. Ciò mi porta ad un passo dalla noia mortale.Saluti, Luca.

In questo caso abbiamo un evidente esempio di come a teatro si possa cercare qualcosa di diverso nella prestazione di un artista. Penso che la Manon in oggetto sia quella di tanti anni fa che vidi anche io e che resta uno dei ricordi più significativi e belli della mia carriera d'ascoltatore. Rispondeva in pieno alle mie aspettative.
Capisco perfettamente chi la pensa diversamente visto che ho opinioni molto diverse su tanti big di oggi e del passato recente.
Roberto
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Messaggioda gianluigi » lun 25 giu 2007, 13:54

per rispondere a roberto,di cui rispetto le opinioni,mi sembra però blasfemo paragonare pavarotti a bocelli(che pure avrebbe avuto buone qualità vocali) e affermare che non è neanche un tenore.cioè, un conto dire generico(come si può però, nel caso di pavarotti??),un conto neanche classificarlo tra i tenori importanti. io invece penso che sia l'ultimo grande tenore che l'italia abbia prodotto. generico può essere del monaco, il di stefano seconda maniera,i vari domingo,carreras..ma non pavarotti. alcuni sostenevano che gigli non aveva gusto. il che mi trova in parte anche d'accordo se vogliamo, ma non mi sognerei mai di dire che non sia stato uno dei più grandi.
per rispondere a luca, tu dici che kraus fosse gelido e ti che ti comunicasse poco o nulla. ti posso pure capire luca, ma non dimentichiamoci che stiamo parlando di un tenore che aveva classe da vendere. che non sbagliava mai o quasi. e che non sempre si dimostrava distaccato.ad esempio,nella famosa traviata con la callas del '58 o in una figlia del reggimento del '73 con la sutherland.ovviamente parlo di riprese dal vivo che hanno secondo me, a differenza di roberto, una grandissima importanza.
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Messaggioda VGobbi » lun 25 giu 2007, 20:39

MatMarazzi ha scritto:E' vero che il disco copre molte magagne; ma ne rivela impietosamente altre. Gente che a teatro passa per essere espressivissima, in disco si scopre retorica e manierata. Gente che a teatro maschera il proprio pressapochismo musicale (dietro allo splendore di effetti facili), in disco precipita miseramente.

Quest'affermazione mi sorprende assai, e mi piacerebbe che facessi qualche esempio pratico. Chi tra gli artisti ti sembra valido al teatro, ma allo stesso tempo fallimentare in disco?
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Messaggioda dottorcajus » mer 27 giu 2007, 0:23

gianluigi ha scritto:per rispondere a roberto,di cui rispetto le opinioni,mi sembra però blasfemo paragonare pavarotti a bocelli(che pure avrebbe avuto buone qualità vocali) e affermare che non è neanche un tenore.cioè, un conto dire generico(come si può però, nel caso di pavarotti??),un conto neanche classificarlo tra i tenori importanti. io invece penso che sia l'ultimo grande tenore che l'italia abbia prodotto.

Scusami ma è stata la mia pessima esposizione a trarti in inganno. Direi che sarebbe più che blasfemo confrontare Pavarotti e Bocelli. Il primo è un grande tenore il secondo resta un cantante buono solo per dimostrare come il teatro sia e rimanga il luogo dove si dovrebbero ascoltare i cantanti e che cantanti come Bocelli esistono solo perchè esiste un microfono in cui cantare.
Quando qualcuno mi chiede cosa penso di Pavarotti la mia risposta è:
un grandissimo cantante un insignificante interprete.
Come sempre tutto dipende da quello che ciascuno di noi considera un interepretazione generica. Nelle mie esperienze teatrali sono stati generici interpreti quali Domingo, Carreras, Pavarotti, Nucci, Ramey in certo repertorio, Caballè, Baltsa, Cappuccilli dimenticando qualcuno cito artisti di grande livello che hanno sempre o quasi sempre deluso le mie attese sul piano interpretativo. Personalmente trovo noiosi anche quei cantanti che hanno un clichè interpretativo buono per tutte le occasioni, anche se questo clichè comprende una lettura variegata di un personaggio (esempio odierno Florez).
Riferendomi invece ad eventuali ascolti live ho avuto modo di trovare piacevoli alcuni di loro mentre per altri, come Pavarotti o Carreras o la Baltsa o Nucci, le mie opinioni sono state confermate. Non giudico la loro tecnica nè la qualità della loro voce ma solo la loro interpretazione.
Tutto questo senza entrare nel merito del loro valore e di una eventuale loro collocazione nella storia della lirica.
Roberto
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Messaggioda gianluigi » mer 27 giu 2007, 8:30

roberto,io non so quali registrazioni tu abbia ascoltato di pavarotti,io le trovo tutte o quasi su un livello ottimo/eccezionale.il suo è tra gli italiani meglio cantati e più eloquenti della storia del disco.soprattutto per il repertorio preromantico e alcune cose del romantico, puccini e verismo compresi. non a caso è il mio tenore preferito del dopoguerra.quando ascolto pavarotti che canta favorita, puritani,lucia o trovatore, rigoletto etc. per giungere anche a boheme e pagliacci,ascolto una voce fenomenale,strepitosamente bella e comunicativa unita a un'espressione spavalda e trepidante nello stesso tempo. è il classico tenore patetico/elegiaco di primo ottocento che dalla metà degli anni settanta ha esteso il repertorio al lirico spinto. difatti trovo il suo manrico senza confronti, almeno tra gli ultimi sessant'anni di storia del disco. in definitiva i vari carreras(che però aveva un grandissimo potenziale) e domingo a confronto mi sembrano apprendisti, non di più. senza contare poi che pavarotti, come dimostra un recital del 1993, a 58 anni aveva ancora la voce nel pieno dei suoi mezzi. e non è poco. degli altri che citi posso più o meno essere d'accordo su tutti tranne la caballè e ramey. non so a cosa tu ti riferisca di ramey,io ogni volta che l'ascolto in qualunque cosa(in rossini poi è impressionante!), rimango estasiato innanzi una gran tecnica unita a una grande nobiltà di timbro. riguardo la caballè, ti dico solo questo: penso che il suo avvento sulle scene sia stato importante quanto quello della calls e della sutherland. non aggiungo altro.
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Messaggioda dottorcajus » mer 27 giu 2007, 20:10

Come sai limito la formazione del mio giudizio agli ascolti dal vivo ed ai live molto amatoriali, non prendo in considerazione i live ufficiali o le incisioni in studio. Nessuno disconosce la bellezza solare, la grande comunicativa timbrica, la perizia e l'integrità della voce del grande Luciano ma sul piano espressivo non mi ha mai smosso. Certo non è un cantante completamente inerte ma la sua gamma espressiva, almeno per me, è sempre stata limitata e ripetitiva. Tutto ciò senza toglierli nessuno degli indubbi meriti che ha.
Ramey, cantante che mi piace tantissimo, strepitoso in Rossini ed altro, mi ha lasciato piuttosto freddo in Don Carlo, Don Giovanni. Domingo in teatro mi ha colpito per la sua generosità e la sua capacità di stare sul palcoscenico ma alla fine mi ha sempre fatto sentire le stesse cose. Della Caballè vista in teatro mal sopportavo il suo cantarsi addosso con eccessivo compiacimento per i suoi bellissimi suoni. Come ho già scritto mal sopporto quei cantanti che, pur avendo un fraseggio variato, finiscono per riproporre sempre la stessa lettura indipendentemente dal personaggio cantato ed in questo filone, con l'esclusione di Ramey e Caballè (artista ascoltata forse troppo tardi), ma, a diverso titolo, includo gli altri.
Roberto
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Re: registrazioni vs esecuzioni a teatro

Messaggioda Riccardo » lun 02 lug 2007, 10:23

MatMarazzi ha scritto:Anche Riccardo incalza in questo senso: sentire a teatro non è come sentire un'incisione.

Certo che non è la stessa cosa, ma senza alcun giudizio di merito!
Intendevo dire esattamente quello che sostieni tu, soltanto con la puntualizzazione di tenerne poi conto nelle valutazioni, senza fare confronti tra esecuzioni di tipologia diversa.
C'è chi valuta le proiezione, ampiezza e squillo di un cantante da ascolti discografici e questo è scorretto secondo me. C'è chi fa confronti diretti e paritari tra dischi in studio e recite dal vivo, ed è altrettanto improprio perché falsante! I confronti vanno fatti con i dovuti adeguamenti e la consueta prudenza.

Personalmente l'ascolto dal vivo mi diverte di più, perché mi sembra più vicino alla natura stessa del teatro musicale.

All'analisi di Matteo forse però andrebbe aggiunta l'ipotesi dele registrazioni dal vivo, radiofoniche o amatoriali che siano, dove il cantante deve rendere secondo i precetti di entrambe le tipologie per non naufragare. Ecco che allora il discorso "proiezione necessaria dal vivo, quasi dannosa in studio" si complica decisamente...

Altro appunto: se come Matteo, giustamente, legittimiamo il prodotto discografico come opera d'arte, bisogna distribuire i meriti del risultato non soltanto ai cantanti e ai musicisti, ma anche ai tecnici del suono e non solo: a coloro che tagliano, modificano, scelgono e assemblano i vari momenti della registrazione.
La faccenda si fa complessa...

Salutoni!
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Re: registrazioni vs esecuzioni a teatro

Messaggioda MatMarazzi » lun 02 lug 2007, 15:43

Riccardo ha scritto:se come Matteo, giustamente, legittimiamo il prodotto discografico come opera d'arte, bisogna distribuire i meriti del risultato non soltanto ai cantanti e ai musicisti, ma anche ai tecnici del suono e non solo: a coloro che tagliano, modificano, scelgono e assemblano i vari momenti della registrazione.


Tutte giustissime e condivisibilissime considerazioni, Ric.
Anche quest'ultima: l'apporto "tecnologico" al disegno artistico finale. Infatti è senz'altro vero, ma non ci vedo niente di male.
Bisogna (tanto per fare un esempio) valutare il Disco come si valuta il Cinema.
Il cantante, quando incide in studio, è come l'attore che recita davanti a una macchina da presa.

Il teatro dal vivo è una cosa (bella, bellissima, ma una cosa); il cinema è un'altra cosa, in cui l'attimo si eterna grazie alla tecnologia; in cui il punto di vista non è più quello "fisico" dello spettatore ma quello definito dal regista, dal cameramen, dal direttore della fotografia, dal direttore del montaggio.
Proprio la stessa cosa che succede quando un cantante, invece di prodursi dal vivo, immortala certe note, le meccanicizza.
Il disco è nato negli stessi anni del cinema e con le stesse caratteristiche.


Sarebbe assurdo giudicare gli attori cinematografici con gli stessi criteri con cui si giudicano quelli teatrali.
E' un diverso modo di recitare, che prevede una diversa tecnica in quanto diversi sono i generi e i problemi che pongono.
L'attore "teatrale" avrà una serie di problemi in più (compresi quelli fisici di resistenza, di fatica, di tensione psicologica, di memoria, di timor panico, per non parlare della consapevolezza di dover agire e parlare in modo che ti sentano anche a distanza).
L'attore cinematografico non ha questi problemi.
In compenso ne ha altri: il dettagli ad esempio.
A teatro un'espressione mal riuscita si perde; una piccola papera, una dimenticanza quasi non si notano; al cinema si nota tutto.
Il problema di parlare forte per farsi "sentire" o di agire in modo più evidente per farsi "vedere" non c'è più. Tutta la mimica, tutta la tecnica andrà rigorosamente attenuata, altrimenti si corre il rischio di sembrare "gigioni".
E poi c'è il problema della "non continuità". Due battute consecutive possono essere recitate a giorni di distanza, cercando sempre di tenere a mente come erano risultate quelle precedenti. E anche il fatto di ripetere per ore una frase o un'espressione, finché il risultato tecnico è soddisfacente, ma dovendo lottare per mantenere concentrazione e continuità.
Questi sono solo dettagli, piccoli esempi; non essendo un grande esperto di cinema o teatro non posso andare oltre. Ma una cosa è certa: si può essere grandi attori teatrali senza aver mai fatto cinema, o grandi attori cinematografici anche senza alcuna esperienza di teatro.
E una grande prova discografica è una grande prova discografica, da giudicare in quanto tale e non di meno "artistica" come tutto ciò che si fa a teatro.

E' vero che nel disco (come al cinema) intervengono anche i "tecnici".
Fa parte della natura estetica del cinema (e del disco) il disporre di questo filtro tecnologico, che è a sua volta espressione di una volontà artistica.
Ma questa componente tecnica non ci impedisce di distinguere (al cinema) una grande interpretazione da una pessima.
Nessuno affermerebbe che Robert de Niro è un pessimo attore, anzi non è nemmeno un attore, perché ...c'è la mano del regista, del montatore che lo aiuta e perché una scena la può rifare venti volte...
Resta un grandissimo attore e le sue interpretazioni sono arte.


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