Editing e postproduzione nella musica operistica

Storia del disco, politiche e strategie, firme e case discografiche

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Re: Editing e postproduzione nella musica operistica

Messaggioda Maugham » mer 09 set 2009, 12:54

Tucidide ha scritto:Anch'io attendevo la risposta di Maugham. :D
Mi permetto di incollare un altro pezzo del medesimo Maugham, scritto in un'altra discussione a proposito del "Decca-sound" e di Culshaw.


...mi ripeto come i vecchi... :(
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Re: Editing e postproduzione nella musica operistica

Messaggioda Tucidide » mer 09 set 2009, 13:22

Maugham ha scritto:...mi ripeto come i vecchi... :(
WSM

Niente affatto, Maugham!
:D
Nel pezzo che ho recuperato parlavi più in generale della "fedeltà" del suono registrato, senza addentrarti specificamente nella dimensione sociologica della fruizione della musica registrata.
Il mondo dei melomani è talmente contorto che nemmeno Krafft-Ebing sarebbe riuscito a capirci qualcosa...
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Re: Editing e postproduzione nella musica operistica

Messaggioda FRITZ KOBUS » lun 18 gen 2010, 0:58

Leggo ora le considerazioni effettuate sulla questione in oggetto e mi chiedo: ma l'opera, la musica, uno spettacolo, cos'é? A quale griglia interpretativa dobbiamo far ricorso? Ha un senso dire che (faccio il perimo esempio che mi viene a mente) Domingo canta il Lohergrin se la sua voce viene ipertrofizzata, allentata, velocizzata, gonfiata, sterilizzata, affumicata, bilanciata e chi più ne ha più ne metta? Ha senso mettere su la Tetralogia di Wagner diretta da Karajan sapendo che Regine Crespin facevo Bruhnilde giusto perché era in sala d'incisione? A mio parere bisogna prendere un modello e il modello è l'evoluzione storica. L'opera è nata per il teatro ed è considrando quel contesto che andrebbe misurata. Naturalmente parlo di un teatro non inquinato dall'amplificazione (ho buttato giù la mia opinione a riguardo oggi nella discussione a questo dedicata).Il disco, se già pone problemi su cosa sia nel momento in cui cerca solo di fotografare il più fedelmente possibile un evento sonoro lirico, mi dite cos'è una volta uscito da una casa discografica con tutte le manipolazioni artificiali a cui è possibile sottoporre i suoni? Soprattutto cos'è rispetto ad una recita teatrale. Anche l'idea che in sala di registrazione si ottenga (o si tendesse, un tempo, ad ottenere) una sorta di situazione ideale dove finalmente l'artista poteva esprimere se stesso in modo puro è una perversione indotta dalla tecnologia che ha snaturato completamente la nostra percezione uditiva. Uno come Glenn Gould si permise di smettere si esibirsi ritirandosi nelle sale d'incisione mica perché veniva meglio l'incisione rispetto all'esecuzione in sala da concerto (quando registrava, è noto, canticchiava e rovinava la ripresa sonora), ma perché sentì il bisogno di ritirasi in un empireo musicale avendo il mondo, gli esseri umani, la quotidianità "in gran dispitto" e preferì una sorta di eremitaggio contemplativo. L'opera, come dice Elvio Giudici, è teatro. Se se ne prescinde è finita. Infatti mi chiedo che senso abbia che egli scriva quello che scrive (che per altro non riesco a non apprezzare molto), quando spesso è recensione di un prodotto più falso dei soldi del monopoli. Cordialmente.
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Re: Editing e postproduzione nella musica operistica

Messaggioda Triboulet » lun 18 gen 2010, 12:15

La tua posizione è rispettabile e condivisibile... Qualcun'altro è dell'avviso esattamente opposto. Non credo vi sia una verità, sono approcci. Io personalmente negli esperimenti in studio non ci trovo nulla di male, ma la registrazione non va paragonata al live, è un discorso diverso.
La musica è l'unica arte che, assieme al teatro di prosa, ha bisogno di essere "riprodotta" ogni volta, non ammette ripensamenti. Un pittore o uno scrittore possono sempre correggere in corso d'opera il loro lavoro. Anche un compositore può farlo, ma questi si dovrà servire di interpreti che hanno una sola chance per dire quel che hanno da dire. Lo studio di registrazione offre quantomeno la possibilità di avere più occasioni e scegliere la migliore. E' assolutamente una situazione non reale, in cui però si ha la possibilità di avvicinarsi il più possibile all'idea che si ha in testa, bella o brutta che sia. L'accorciamento del gap fra l'idea e la sua realizzazione credo sia comunque una conquista. Quanto ai cantanti che talvolta affrontano solo in studio certi ruoli, non sarei così severo. Se il risultato è artisticamente interessante perchè no? magari ci priveremmo di interpretazioni davvero valide da poter ascoltare. Il fatto che un'artista, per caso o per scelta, decida poi di non portare dal vivo il titolo credo sia un fatto di coscienza personale. Tradotto, se uno dal vivo sa di non farcela tanto meglio che rimanga in studio.
Quanto alla digressione su Gould... che Gould non amasse esibirsi in pubblico l'ha sempre dichiarato. Si vedeva un po' come in una arena, dove tutti erano in attesa di un suo errore. Che Gould fosse approssimativo nella registrazione questo no però. Il canticchiare, è vero, è presente anche nei dischi. E' una delle sue eccentricità, può sembrare strano ma nella sua ottica quel canticchiare "completava" la sua interpretazione, lui diceva che cercava idealmente di colmare con la voce quel famoso divario tra idea e sua realizzazione che angustia tutti gli interpreti. Certamente un controsenso, giacchè poi era attentissimo ai rumori di studio, ma nella sua strana ottica aveva un perchè. Gould lavorava incidendo 3 o 4 piste di base, poi lavorava sui singoli frammenti che non gli convincevano, per creare esattamente i fraseggi e le dinamiche che desiderava. Ogni nota era passata in analisi, ogni tocco era pesato. Il prodotto finale (non tanto da punto di vista acustico quanto sotto l'aspetto interpretativo) era quel che quasi esattamente aveva in testa, e che per quanto potesse essere mostruosamente bravo come interprete, non sarebbe riuscito a realizzare in un unica sequenza. Non solo, era anche abile al mixer, e ad esempio fu uno dei primi ad escogitare un sistema di più microfoni a distanze diverse, che catturavano il suono più o meno ricco di riverbero ambientale. Alla consolle poi poteva scegliere il giusto bilanciamento delle risonanze, punto per punto, in modo da creare l'effetto di un oggetto illuminato via via da punti differenti. Per le registrazioni pianistiche era una tecnica rivoluzionaria. Insomma, si può non amarlo, dire che era un tipo strano, non condividerne l'approccio alla musica e le scelte interpretative, è giusto anche dire che si dedicò solo alla registrazione perchè odiava esibirsi dal vivo, ma lasciare intendere che lo facesse in maniera approssimativa non è esattamente corretto. Ogni scelta di Gould aveva una ragione estetica, e questo vale molto più per lui che per altri interpreti.

Poi c'era lui, altro grandissimo, che la pensa più o meno come te:




Aggiungo anche un grande merito del disco: la diffusione della musica. Con i dischi la musica è arrivata dovunque e in una qualità che una registrazione pirata non avrebbe mai offerto. Se avessi dovuto conoscere la musica che ho esclusivamente ascoltato dal vivo sarei davvero un ignorante oggi. E comunque non avrei potuto godere, per motivi cronologici, di grandissime intepretazioni del passato. Ha ragione il Celi, il disco è come una foto, ma una "foto" della voce della Callas è sempre un bel "guardare".
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Re: Editing e postproduzione nella musica operistica

Messaggioda Maugham » lun 18 gen 2010, 17:56

FRITZ KOBUS ha scritto: L'opera è nata per il teatro ed è considrando quel contesto che andrebbe misurata.


Tutto sta nel capirsi su cosa si intenda per misura e sulla necessità di misurare qualcosa rispetto a un originale.
Se partiamo dall'idea che il disco d'opera debba essere una fedele fotografia di un'esecuzione dal vivo, come ho detto, perdiamo tempo.
Non lo sarà mai.
Aggiungo però che io non ne sento nemmeno il bisogno.
Il disco non è un sostituto di qualcosa. E' uno straordinario mezzo tecnico, nel tempo diventato così sofisticato, da diventare esso stesso un mezzo di espressione artistica.
Non lo vedo come un falso. O meglio lo vedo falso -rispetto all'originale o a quello che si presume dovrebbe essre l'originale- quanto l'ascolto in teatro.
Nello scorso anno ho visto quattro Carmen. Una a Zurigo, una all'Opéra-Comique (dove è nata), una in quel gigantesco cinemone che è la Stopera di Amsterdam e una in un teatro maledettamente sordo come la Scala. Suonavano tutte diverse. E non perchè messe su da artisti diversi, ma anche perchè le sale erano diverse.
Seguendo il tuo discorso, quale teatro è quello "giusto" in cui misurare la Carmen?
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Re: Editing e postproduzione nella musica operistica

Messaggioda FRITZ KOBUS » mar 19 gen 2010, 1:04

Prima di tutto alcuni quesiti tecnici a cui, se potete, datemi chirimento.
1 - Mi sono collegato al Forum dovendo reinseire Nik e password: perché?
2 - Fatto questo mi sono dimenticato di cliccare sullo spazio di accesso automatico ad ogni collegamento e, dopo che ho scritto un sacco per rispondere a Maugham e Triboulet ... PUFF, tutto sparito. Incavolatura nera!
3 - Come mai quando arrivo in fondo allo spazio disponibile per la risposta non c'è verso di proseguire tranquillamente ma il puntatore salta su e giù per il testo, tendenzialmente salendo verso l'alto di alcune righe impedendo di seguire normalmente quanto si va scrivendo? Eppure ho letto interventi molto lunghi che non possono certamente essere stati disturbati da questo problema.
Ora esco di qui e rientro per occuparmi delle questioni sollevate da Maugham e Triboulet.
grazie.
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Re: Editing e postproduzione nella musica operistica

Messaggioda FRITZ KOBUS » mar 19 gen 2010, 2:17

Vorrei subito esprimere un ringraziamento a Maugham e Triboulet per l'approccio che sembra abbiano al confronto delle idee; se non sbaglio quanto affermano o sostengono tendono ad argomentarlo. Non è un atteggiamento diffuso e di questo gliene sono grato perché, ammesso che abbiano opinioni contrarissime alle mie, dovrò forzatamente confrontarmi con quanto popongono e questo non può che essere benefico per la mia riflessione.
1 - GOULD - Non volevo affatto sostenere che Gould fosse approssimativo in sala d'incisone: probabilmente non mi sono spiegato bene. Il suo allontanamento dalle esibizioni in pubblico, per quanto ne so, dipese dal rapporto tra interprete-esecutore, interprete-ascoltatore, condizioni esecutive. Quanto dice Triboulet sottolinea come il suo approccio alla sala d'incisone fosse quasi religioso e vi scorgesse la possibilità di una purezza dell'esecuzione impossibile in sala concerto. Naturalmente della "sua" idea di purezza dell'esecuzione. Per questa idea era illecito un indistinguibile rumore di fondo che egli magari percepiva nei "pressi" dello studio di registrazione, ma non la sua voce nel mezzo ai suoni del pianoforte, che evidentemente rientrava nell'orizzonte di tollerabilità che egli ammetteva. Non è una questione di approssimazione, è una questione di concezione. Il suo approccio tecnico all'incisione non so se l'abbia inaugurato lui, ma è certo che se per Gould bisogna fare delle considerazioni piuttosto complesse riguardo all'esito delle sue performance nella sterilità di uno studio di registrazione, data la indubitabile statura del personaggio, non posso non pensare a quella storiella in cui una pianista X, avendo suonato un certo numero di volte un brano, non importa quale, andò a riascoltare il prodotto finale. Dopo tutte le operzioni di copia e incolla, anche sulle singole note, ebbe a sentirsi dire dal tecnico al suo fianco:"Ti piacerebbe suonare così, eh!???".
2 - VERITA' - Non credo che la verità sia di questa terra, ma non posso fare a meno di ricercarla. Per quanto riguarda l'opera non vedo alternativa a considerarla storicamente e a prendere a modello di riferimento il suo "farsi" in teatro. Se prescindiamo da questo non so a cosa dobbiamo riferirci. Personalmente ho bisogno di una prospettiva di riferimento, stabilita la quale sono pronto ad accogleire tutte le variazioni possibili e immaginabili, ma che sia chiaro si tratti di variazioni. La roba che ascoltiamo quando mettiamo su un disco d'opera non è esattamente un'opera, è una "cosa" che proviene dall'opera ma che con essa ha un rapporto sempre più labile. Se comincio a sentire un "live" non posso esimermi da pensare che quanto ascolto è frutto di un collage, di aggiunte di suoni campionati, di filtrature, tagli e rigonfiamenti. Non è opera è un disco; non è,mettiamo, l'AIDA, nel migliore dei casi è un esercitazione di musica concreta su AIDA di Giuseppe Verdi. Sul cofanetto però c'è scritto AIDA di Giuseppe Verdi: un falso.
Questo, a mio parere, è indubitabile e mi riempie di tristezza perché la mia inattualità su questo punto deve fare i conti anche con la inumazione del teatro nel loculo della tecnologia. Mi sono già espresso a riguardo nello spazio dedicato all'amplificazione nei teatri.
3 - CARMEN - Secondo la mia prospettiva la Carmen è ciò che viene fuori dal teatro; da "quel" teatro in "quel" modo, da quell'altro teatro in quell'altro modo. Concretizzazioni diverse, effimere, ognuna col suo eventuale fascino, ognuna che propone una incarnazione possibile di Carmen, ognuna col suo valore, con le sue sfaccettature. Il disco comporta l'idea perniciosa di giungere all'edizione inarrivabile, al non plus ultra, alla reificazione dell'esecuzione perfetta. Non è così; l'opera era meravigliosa perché esisteva il rapporto col pubblico e con la sua memoria non depravata dai dischi e dall'amplificazione. I dischi sono un mezzo importantissimo di riproduzione del suono, ma quanta cultura ci vorrebbe per filtrare con saggezza il dato discografico! La diffusione microcapillare della riproducibilità tecnica dei suoni (e delle immagini), se comporta per una elite un avvicinamento profondo alla musica e un autentico allargamento degli orizzonti conoscitivi, rappresenta anche, purtroppo, la banalizzazione massificata della musica. Peansate a cosa significa in termini di disabitudine o inibizione ad un ascolto ponderato, la cosiddetta musica di sottofondo da cui nessuno si salva più, presente nei negozi, nei supermercati, nei distributori, fuori dai bar, ecc...
SOra è tardi, riprenderò l'argoemnto. Ciao a tutti.
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Re: Editing e postproduzione nella musica operistica

Messaggioda FRITZ KOBUS » mar 19 gen 2010, 9:55

Riguardo ai quesiti tecnici che ponevo sopra: se qualcuno mi riponde non importa che lo faccia per il primo e il secondo di questi; ho visto la luce! Cioè ho capito perché è successo. Per l'ultimo, se qualche anima buona mi dà spiegazioni, gliene sarò grato.
Comunque una aggiunta per triboulet.
La questione della presunta difficoltà di controllo del prodotto musicale, della sua "minorità" rispetto ad altre discipline artistiche perché legata all'evento di riproduzione senza possibilità di controllo, come un testo letterario o una scultara, là dove gli autori possono correggere, è centralissima. A mio modo di vedere però il disco non corregge affatto tale supposta minorità. L'incredibile fascino della musica stava proprio nelle esecuzioni dal vivo e nell'effimero assoluto della sua riproducibilità. Il fascino divino della musica era il suo svanire quasi nell'attimo stesso in cui veniva convertita in evento acustico sensibile. E ciò che faceva acquistare valore inestimabile alla memoria sonora, all'evento teatrale, al legame estetico in cui gli spettatori, a teatro, venivano coinvolti. Il disco isola gli individui gli uni dagli altri, e la massificazione che la riproducibilità tecnica comporta rende coloro che non hanno capacità di riflessione ed analisi superiori alla media incapaci di distinguere in ambito musicale e soprattutto di riflettere sul discorso musicale. Purtroppo non vedo spiragli in questa prospettiva tristissima.
Ultima modifica di FRITZ KOBUS il ven 22 gen 2010, 1:33, modificato 1 volta in totale.
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Re: Editing e postproduzione nella musica operistica

Messaggioda Maugham » mar 19 gen 2010, 17:04

FRITZ KOBUS ha scritto:Purtroppo l'opera non è che uno spettacolo del passato e sta cambiando diventando un'altra cosa, in linea con i nostri tempi snaturati e ciechi.



Caro Fritz, ho quotato questa affermazione - presa dal thread dell'amplificazione- perchè significativa del tuo, più che legittimo, modo di ragionare sull'opera.
L'ho messa in apertura per evitare derive nella discussione.
Poichè io parto da presupposti radicalmente diversi dai tuoi necessariamente le conclusioni saranno radicalmente diverse.
A differenza tua sono convinto -e se hai avuto la pazienza di leggermi te ne sarai accorto- che attualmente l'opera stia vivendo un momento di grande vitalità ed esuberanza. E quello che tu indichi come limite (sta diventando un'altra cosa) per me è invece un forte segnale di cambiamento in grado di farla uscire dalla secche in cui si era impantanata. Detto semplicemente, l'Opera stava diventando un gelido monumento fine a stesso, incapace di dialogare con il presente, misurata da specialisti e da dilettanti esclusivamente con il metro dei valori vocali e musicali.
Valori che, beninteso, ci sono, sono importantissimi e vanno salvaguardati. Ma che si giustificano, per come la vedo io, esclusivamente se indirizzati al fine di fare teatro in musica, a prescindere da qualsiasi autore o da qualsiasi repertorio.

Per sopravvivere nega tragicamente se stessa.

Invece, secondo me l'opera negava se stessa proprio quando si esauriva in un'esibizione più o meno pregevole, a seconda dei casi, di valori vocali e musicali. E lì si fermava. In pratica confondeva il mezzo con il fine.
L'opera è fatta di codici e di segni drammaturgici. Tramite questi esprime un contenuto teatrale. La musica e il canto sono mezzi per esprimere questi contenuti. Per quanto pregevoli ed entusiasmanti non bastano da soli.
Semplifico e forse banalizzo: l'Opera è teatro in musica e non viceversa.

Detto questo mi lego alla seconda frase.
Non credo che la verità sia di questa terra, ma non posso fare a meno di ricercarla.



Sono del parere che la "ricerca di una verità" nell'opera, ma anche nel teatro o nel cinema o nella musica strumentale sia un esercizio sterile. Semplicemente perchè non esiste un canone estetico-filosofico-drammaturgico a cui rifarsi che ci permetta di stabilire serenamente "ecco, l'opera è quella cosa lì" oppure "ecco, quello è il vero Rigoletto". E aggiungo che sono molto contento che non ci sia; perchè altrimenti parleremmo di un genere già morto perchè privo di qualunque possibilità di sviluppo. L'Opera è una faccenda mobile, che si muove nel tempo, cambia, si rigenera.
Per vivere, come qualsiasi forma di spettacolo, deve parlare alla contemporaneità. E per farlo, musicalmente, teatralmente, vocalmente, deve reinventarsi.
Il disco non è un falso. E' solo un mezzo diverso di "sentire" l'Opera. Un mezzo limitato, ne convengo, un mezzo che ha contribuito negli anni alla trasformazione dell'opera in un fatto quasi esclusivamente musicale per non dire vocale, ma non è un falso.

Peansate a cosa significa in termini di disabitudine o inibizione ad un ascolto ponderato, la cosiddetta musica di sottofondo da cui nessuno si salva più, presente nei negozi, nei supermercati, nei distributori, fuori dai bar, ecc...


Per quel che mi riguarda la disabitudine a un ascolto ponderato deriva da altre cose. Quando ero ragazzino, con pochi soldi, compravo quattro o cinque opere all'anno (che costavano infinitamente più di adesso con buona pace di chi si lamenta) ed ero capace di ascoltare anche per un mese lo stesso titolo. Ricordo che quando mi regalarono il mio primo Ring (Karajan, 19 LP, peso 9 chili e rotti) ascoltai quello per un anno intero. Era il 1976.
Adesso ho più soldi ma meno tempo. Dedico risicati quarti d'ora all'ascolto tra telefonate e impegni vari. Rimpiango la concentrazione di quegli ascolti. :cry:
Caro Fritz, ti ringrazio per gli spunti
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