Re: I rischi di certe interpretazioni

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Re: I rischi di certe interpretazioni

Messaggioda MatMarazzi » ven 04 apr 2008, 18:15

IN ALTRO THREAD Maugham ha scritto:

Maugham ha scritto: Il Ring di Chereu -che tutti hanno definito rivoluzionario- nasce dalle letture wagneriane politiche di Herz nella Germania dell'Est che a sua volta si rifacevano al Wagner di Ejzenstein che a sua volta partiva da Appia.


Aspetta... aspetta! :)
Su questo punto ho bisogno (come tu sai bene :) ) di qualche "aiutino". :)
In che senso Ejzenstein partiva da Appia? Non mi risultava che, in senso pratico, ci fosse una discendenza linguistica (che semmai ravviso in Chraig e ovviamente Wieland).
Inoltre non mi risulta, ma potrei sbagliare, che nella poetica di Appia intervenissero già un elemento di politicizzazione (marxiana) di Wagner, divenuto poi assillante negli anni '70 e nella stessa Bayreuth.
Indipendentemente da Herz, non è più semplice dire che sulla Bayreuth di quegli anni (e in generale nella regia operistica wagneriana) si sia disteso lo spirito della contestazione, ben prima di Chéreau e di Ronconi (pensa al Tannhauser di Friedriech)?
Scusa se ti sollecito su questi punti, ma devo farmi chiarezza in queste filiazioni. :)


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Re: I rischi di certe interpretazioni

Messaggioda Maugham » ven 04 apr 2008, 22:07

Aspetta... aspetta! :)
Su questo punto ho bisogno (come tu sai bene :) ) di qualche "aiutino". :)

Smettila! :wink:
Sai bene di non aver bisogno di nessun aiuto o aiutino.
Lo dimostra il fatto che appena ho fatto per fretta una citazione non del tutto esatta mi hai beccato! :evil:
Ho messo Appia come ascendente di Ejzenstein solo per non tirare troppo per le lunghe un post che mi stava scappando fra le dita.
Da quello che si può vedere (schizzi e brutte foto) e leggere Appia e Ejzenstein sono agli antipodi come Wilson e Carsen. Lo sappiamo tutti e due.
Ho indicato Appia perchè è stato il primo uomo di teatro di una certa fama ad essersi posto il problema su come traghettare il teatro wagneriano da (semplifico) una semplice rappresentazione del Mito in una lettura più complessa e densa di significati.
Intendevo, in parole povere, che da lì era nato il Wagner antinaturalistico che poi si è svuluppato in letture politiche, simboliche, borghesi, concettuali, astratte, e via andare.
(Okay, assieme a Appia dicono che ci sia stato anche Reinhardt ma nessuno sa com'era il suo Wagner e quindi lascio stare.)
Parole di Appia: mito dei giorni nostri, che esprima quanto rende la vita l'identica eterna tragedia, come il presente dimostra in modo terrificante :shock:
Un allegrone! Che ci provò, tra l'altro, da quello che posso dedurre, senza riuscirci.
Fece solo Rheingold nel 1925 a Basilea.
Fece però Tristano alla Scala con Toscanini.
E non ebbe buona stampa.
E' comprensibile. Non penso per la bontà o meno delle sue idee, ma per la resa finale dei suoi allestimenti. Tutti giocati sulla luce in un'epoca in cui l'illuminotecnica teatrale era ancora agli inizi. Praticamente un accendi e spegni senza nemmeno l'ausilio della regolata! :D All'epoca in uno spettacolo di quattro ore era già molto complesso organizzare una trentina di effetti. Adesso gli effetti che un datore luci ha in memoria sul computer sono, in uno spettacolo normale, oltre i trecento! Tanto per farti un esempio a Basilea il Walhalla di Appia doveva essere fatto di luci stilizzate ma si dovette ripiegare su una quinta armata con un telo dipinto sopra. :roll:
Siegfried lo voleva a Bayreuth. Cosima disse no e da lì in avanti partirono con l'accoppiata Tietjen-Preetorius.
Ejzestein vide Appia.
E lo criticò aspramente e penso a ragione.
Parafraso, da quel che mi ricordo dal libro di De Santi, "un opera-concerto dove tutti stanno fermi e non succede nulla". Chiaro, Ejzestein era un regista vero che sapeva muovere anche i sassi. E che quindi aveva capito benissimo quanto teatro ci fosse nelle opere apparentemente immobili di Wagner.
In realtà secondo me c'era anche un altro motivo, non propriamente nobile. Azzardo. Appia era un'icona per Mejerchold (che sarà di lì a poco torturato e fucilato dagli squadroni staliniani) con cui Ejzestein aveva un rapporto di amore-odio. E forse non aveva mandato giù neanche il fatto che questi fosse stato chiamato a Vienna per allestire un Tristano con tutti gli onori e i fasti del caso.
Comunque, nel 1940, Ejzestein è chiamato da Stalin a fare Walkiria in occasione della firma del Patto d'acciaio.
Roba da prendersi con le molle visto che amici e colleghi stavano cadendo come funghi.
Quindi, da quello che possiamo immaginare dopo aver letto e visto i bozzetti si trattò di un allestimento tutto simbolico in cui Ejzestein dovette in un certo senso fare i conti con il suo spirito più autentico (che era antitedesco) con il rinnovato sistema di alleanze dei suoi padroni che non permetteva scherzi nè fuori nè dentro al palcoscenico.
Però, mente libera o meno, Ejzestein andò avanti nel corso innovativo segnato da Appia (pur radicalmente diverso nella tecnica, anche perchè Appia non era un regista) creando un precedente.
Curioso, anche nella Walkiria di Ejzestein Hunding entra con i famigli come in quella di Chereau. :D

Inoltre non mi risulta, ma potrei sbagliare, che nella poetica di Appia intervenissero già un elemento di politicizzazione (marxiana) di Wagner, divenuto poi assillante negli anni '70 e nella stessa Bayreuth.


Non sbagli. Anche perchè quando Appia rifletteva su Wagner la rivoluzione d'ottobre era appena partita. Come ho detto ad Appia interessava una rappresentazione simbolica del mito. Non vorrei sbagliarmi ma mi sembra sia stato il primo a riflettere su come staccarsi dalle didascalie senza snaturare il Ring.

Indipendentemente da Herz, non è più semplice dire che sulla Bayreuth di quegli anni (e in generale nella regia operistica wagneriana) si sia disteso lo spirito della contestazione, ben prima di Chéreau e di Ronconi (pensa al Tannhauser di Friedriech)?

Più semplice. Ma a mio parere non del tutto esatto. Sai bene che Chéreau fu scelto in extremis dopo la rinuncia di Stein che era fortemente voluto da Boulez. E prima di lui erano stati contattati Bergman e Brook di cui possiamo dire tutto tranne che siano stati registi schierati politicamente o anche solo lontanamente interessati al sociale.
Tra l'altro, ti sono sincero, più passa il tempo e meno il messaggio politico-sociale della triade Boulez-Chéreau-Peduzzi mi sembra così evidente.
E' del tutto accessorio e secondo me all'epoca ne hanno amplificato un po' troppo il portato.
Per me la grandezza di quell'allestimento sta (oltre che nella bellezza visiva) nella sua ondivaga ambiguità.
Chéreu non procede a tesi. Ma di momento in momento, sulla musica, costruisce visioni e letture. Mischiando tradizione, artificio, furbizie, teatro antico e nuovo con virtuosismo sorprendente.
Cosa ne dici?


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Re: I rischi di certe interpretazioni

Messaggioda MatMarazzi » sab 05 apr 2008, 21:39

Maugham ha scritto: (Appia) Fece solo Rheingold nel 1925 a Basilea.
Fece però Tristano alla Scala con Toscanini.
E non ebbe buona stampa.
...
Ejzestein andò avanti nel corso innovativo segnato da Appia (pur radicalmente diverso nella tecnica, anche perchè Appia non era un regista) creando un precedente.


Già, non era un regista.
Era virtulamente uno scenografo (a me risultava che alla Scala e a Basilea Appia avesse firmato solo la scenografia, non la messinscena, ma sicuramente ricordo male) e soprattutto un teorico, forse anche velleitario ed idealista.
Nel contemplare i suoi bozzetti, io mi ero soprattutto lasciato suggestionare dagli spazi, blocchi geometrici, simbolici, lineari in cui il mito si libera completamente dall'elemento favolistico, ancora ingombrante nel primo Ring e nel primo Parsifal di Bayreuth. Mi colpiva l'eliminazione del "piano" del palcoscenico, spezzato in salite, discese, rientranze, concavità, scalinate, in modo che il solo "muoversi" da una parte all'altra fosse, per gli attori, un'operazione creativa di gesti, slanci, fatiche.
Per quanto riguarda l'illuminotecnica, hai ragione! :) Era uno strumento - all'epoca - ancora primordiale, troppo per gli ideali di Appia.
E tuttavia... trenta, quarant'anni dopo, l'evoluzione tecnologica avrebbe permeso a Wieland di realizzare pari pari i sogni di Appia, facendo della luce uno strumento di definizione di masse e volumi, di articolazione drammatica, di simbologia visionaria, di punti di vista che scandiscono le azioni e i movimenti interiori.
Non ti fa una certa impressione pensare alle teorie di questo genio... che trascendono i limiti del proprio tempo e che, irrealizzabili quando pensate, devono attendere che la tecnologia ...si issi al loro livello?

Anche perchè quando Appia rifletteva su Wagner la rivoluzione d'ottobre era appena partita.

Be' ok. Ma il marxismo c'era già da quel po'. Ben prima della rivoluzione di ottobre.
Inoltre mi pare che interpretazioni marxiane del Ring fossero già state proposte (di che anno è il "Wagneriano Perfetto" di Shaw?)
Però ciò che mi preme davvero è che anche tu concordi nel ritenere avulse dall'ideologia le tesi di Appia.

Sai bene che Chéreau fu scelto in extremis dopo la rinuncia di Stein che era fortemente voluto da Boulez. E prima di lui erano stati contattati Bergman e Brook di cui possiamo dire tutto tranne che siano stati registi schierati politicamente o anche solo lontanamente interessati al sociale.


No! Accidenti!
Non lo sapevo per niente!
Parlamente meglio...
Comunque resta il fatto che
1) Stein era fortemente ideologizzato (come lo era Boulez)
2) com'è, come non è, Brook e Bergman non fecero mai nulla a Bayreuth e non solo quel Ring.
Magari, l'avessero fatto... Con tutto l'amore per Chéreau io credo che ci sia una bella differenza di statura storica fra lui e un Bergman o un Brook.
Ma, in tutta franchezza, non avrebbero avuto ragion d'essere nella Bayreuth "contestazionalista" degli anni 70-80, anche se tu non sei d'accordo! :)

Tra l'altro, ti sono sincero, più passa il tempo e meno il messaggio politico-sociale della triade Boulez-Chéreau-Peduzzi mi sembra così evidente.
E' del tutto accessorio e secondo me all'epoca ne hanno amplificato un po' troppo il portato.


Tu stai facendo, mi pare, un altro discorso.
Stai dicendo che quegli allestimenti (non parlo solo di Chéreau) hanno lasciato eredità che trascendono l'ideologia.
E' vero... e non di meno per Chéreau (basta leggere le sue note tecniche su Lulu) ogni regia era una specie di battaglia proletaria! :)
Limitarsi alla politica, parlando di Chéreau (ma anche di Friedrich e Kupfer) è sciocco, hai ragione.
Ma prescinderne è anti-storico, mi pare.
E' come quando, nella mia Tresigallo, definiamo "razionalista" l'architettura "fascista" che è alla base dell'impressionante pensiero urbanistico di Edmondo Rossoni, "rifondatore" del mio paese.
Siamo fieri di quell'architettura e ne difendiamo l'importanza storica, però la nostra prima preoccupazione è quella di dimostrare che ...ma no, non è solo fascista, anzi in fondo è poco fascista, in realtà il fascismo non c'entrava nulla, anzi una volta Rossoni ha pure litigato con Mussolini...
:)

Per me la grandezza di quell'allestimento sta (oltre che nella bellezza visiva) nella sua ondivaga ambiguità.
Chéreu non procede a tesi. Ma di momento in momento, sulla musica, costruisce visioni e letture. Mischiando tradizione, artificio, furbizie, teatro antico e nuovo con virtuosismo sorprendente.


Non so che dirti...
Emotivamente trovo quel Ring strepitoso. Vi sento una convinzione, una purezza, una sincerità che mi sconvolge più di qualsiasi altro ring abbia visto (dal vivo o in video).
Tecnicamente alle volte mi spiazza, perché lo trovo ...un po' semplice.
Ma avremo modo di parlarne nei dettagli! :)

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Re: I rischi di certe interpretazioni

Messaggioda Maugham » lun 07 apr 2008, 12:36

Già, non era un regista.
Era virtulamente uno scenografo (a me risultava che alla Scala e a Basilea Appia avesse firmato solo la scenografia, non la messinscena, ma sicuramente ricordo male) e soprattutto un teorico, forse anche velleitario ed idealista.


Sì, lavorava con Oskar Wälterlin. Che però, da quanto so, era quello che oggi definiremmo un direttore di scena.
Ovviamente la regia come la intendiamo oggi non esisteva.


Non ti fa una certa impressione pensare alle teorie di questo genio... che trascendono i limiti del proprio tempo e che, irrealizzabili quando pensate, devono attendere che la tecnologia ...si issi al loro livello?


Sotto un profilo puramente teorico, convengo con te, mi fa un certo effetto.
Le aspirazioni di questo Prometeo innovatore in un campo ideologicamente minato come quello wagneriano sono suggestive.
Purtroppo sono del parere che in teatro una buona intenzione non realizzata... non sia più una buona intenzione.
Inoltre di Appia abbiamo gli scritti teorici e un po' di bozzetti e foto sgranate. E l'allestimento è la parte più effimera di uno spettacolo.
Possiamo al massimo immaginare cosa fosse il suo Tristano.
Figurati io già prendo le distanze da chi si lancia in :D analisi dettagliate su come Caruso cantava un ruolo basandosi su tre 78 giri...
Vedi, Benois con il suo naturalismo spinto (piaccia o meno) sembra molto efficace su carta. Temo che visto dal vero ci farebbe tutt'altro effetto.
Poi che Appia abbia aperto una strada che Wieland ha seguito e Wolfgang (con i Ring post-Wieland) ha banalizzato non ci piove.
(Riconosco però a Wolfgang una buona fede notevole.)


No! Accidenti!
Non lo sapevo per niente!
Parlamente meglio...


Posso dirti poco perchè non sapendo il tedesco non posso accedere a quella gigantesca bibliografia sulla genesi teatrale del ring che si può trovare nei volumoni che vendono in giro per Bayreuth durante il Festival. Pare che la rinuncia di Bergman fosse dovuta a ragioni di carattere meramente di luogo. Lui avrebbe voluto allestire tutto in Svezia e poi traghettarsi a Bayreuth solo a ridosso delle recite. Affidando a un collaboratore il compito dell'allestimento vero e proprio.
Su Brook so solo che venne chiamato da Wolfgang su insistenze di Boulez.
Però prendi con le pinze queste informazioni perchè mi sono state riferite dalla Signora Pitz (la moglie del mitico!) che, ai tempi della mia prima salita alla collina, gestiva la biglietteria del Festival.
Stein pare che mettesse come conditio sine qua non che in sala, alla prima, non ci fosse Franz Joseph Strauss dell'Unione Cristiano Sociale che da sempre governa la Baviera. Ma anche questa è radio scarpa :D, anche se non me ne meraviglierei.
Comunque anche noi abbiamo avuto la nostra bella rinuncia a un grande regista. Era progettato alla Scala il Ring di Kurosawa con Sinopoli :shock:
E Lars Von Trier pare fosse la prima scelta per il Ring di Thielemann. Mah! :!: :?: :!:


Tu stai facendo, mi pare, un altro discorso.
Stai dicendo che quegli allestimenti (non parlo solo di Chéreau) hanno lasciato eredità che trascendono l'ideologia.


No, dico solo che l'elemento ideologico -ovviamente presente- non mi pare così invasivo come si potrebbe dedurre dagli scritti programmatici (quello della Lulu non l'ho letto) che ci sono nel librone che accompagnava i laserdisc della Philips. Non mi è parso allora, nel 1979 quando lo vidi la prima volta, nè mi pare adesso. Forse perchè, nella realtà, come ho detto, Chéreau non ha mai fatto teatro a tesi.
Sull'eredità non si discute.
Tutti fanno riferimento a Chéreau, anche erroneamente, come l'inventore del Wagner da camera, recitato, citando a casaccio Ibsen e Strindberg (come se fossero la stessa cosa)... nessuno, credo, parla più del Ring proletario o comunista di Chéreau.


E' come quando, nella mia Tresigallo, definiamo "razionalista" l'architettura "fascista" che è alla base dell'impressionante pensiero urbanistico di Edmondo Rossoni, "rifondatore" del mio paese.
Siamo fieri di quell'architettura e ne difendiamo l'importanza storica, però la nostra prima preoccupazione è quella di dimostrare che ...ma no, non è solo fascista, anzi in fondo è poco fascista, in realtà il fascismo non c'entrava nulla, anzi una volta Rossoni ha pure litigato con Mussolini...


Be', lì voglio dire magari c'è anche una volonta di rimuovere un periodo storico che coincide con una dittatura. Lo fanno in tanti...
Mentre non penso ci sia nessuno che, affrontando in sede critica il Ring di Chéreau, senta la necessità di creare foglie di fico per nascondere l'ideologia che traspare a volte in maniera evidente da questo allestimento.
Su un palcoscenico quello che conta, secondo me, sono i risultati.
Non i discorsi programmatici.
Se un'ideologia, per quanto mi sia distante o vicina, non è applicata a tappeto, non pregiudica i valori teatrali del lavoro, non forza la mano mettendo in sottordine un elemento rispetto ad un altro, ma, presente, ponga domande e sviluppi un qualche tipo di dialettica, va benissimo.


Tecnicamente alle volte mi spiazza, perché lo trovo ...un po' semplice.
Ma avremo modo di parlarne nei dettagli! :)


Ci conto! :D
Saluti
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Ultima modifica di Maugham il lun 07 apr 2008, 15:31, modificato 1 volta in totale.
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Re: I rischi di certe interpretazioni

Messaggioda Pruun » lun 07 apr 2008, 14:01

Sto seguendo con molto interesse questo dibattito.
Intervengo solo per confermare Lars von Trier citato da Maugham, anche io sapevo che avrebbe dovuto fare lui il Ring...
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Re: I rischi di certe interpretazioni

Messaggioda beckmesser » mer 09 apr 2008, 11:21

Maugham ha scritto:Posso dirti poco perchè non sapendo il tedesco non posso accedere a quella gigantesca bibliografia sulla genesi teatrale del ring che si può trovare nei volumoni che vendono in giro per Bayreuth durante il Festival. Pare che la rinuncia di Bergman fosse dovuta a ragioni di carattere meramente di luogo. Lui avrebbe voluto allestire tutto in Svezia e poi traghettarsi a Bayreuth solo a ridosso delle recite. Affidando a un collaboratore il compito dell'allestimento vero e proprio.
Su Brook so solo che venne chiamato da Wolfgang su insistenze di Boulez.
Però prendi con le pinze queste informazioni perchè mi sono state riferite dalla Signora Pitz (la moglie del mitico!) che, ai tempi della mia prima salita alla collina, gestiva la biglietteria del Festival.
Stein pare che mettesse come conditio sine qua non che in sala, alla prima, non ci fosse Franz Joseph Strauss dell'Unione Cristiano Sociale che da sempre governa la Baviera. Ma anche questa è radio scarpa :D, anche se non me ne meraviglierei.


Anch’io ho trovato le stesse informazioni in alcune storie del festival e in quello strano libro che è l’autobiografia del figlio di Wolfgang, Gottfried, stranamente tradotta in Italia. So bene che si tratta di un libro da prendere con le pinze, dati i rapporti a dir poco tesi fra i due, però un paio di cose mi hanno sempre incuriosito e, tutto sommato, convinto: Gottfried (regista teatrale e assistente di Chereau durante il Ring, prima che il padre lo cacciasse, o lui si facesse cacciare, dal Festival) dice che (i) in realtà fu lo stesso Wolfgang a tenere per lungo tempo in lizza sia Chereau che Stein, mettendoli in competizione fra loro, e decidendo alla fine per Chereau solo dopo la condizione “politica” (ooviamente irricevibile) messa da Stein; (ii) in realtà Wolfgang non fu mai convinto dello spettacolo di Chereau, tanto che le prime prove sulla collina si svolsero in un clima da tregenda, con Wolfgang che smentiva pubblicamente l’impostazione del regista.

Non so quanto ci sia da prestar fede, però in effetti la mia idea è che Wolfgang Wagner si autoimpose tutte le messinscene più innovative, ben conscio che uno scandalo ben costruito rende più di un successo scontato, con l’intento di assecondare volta per volta tutte le diverse anime del pubblico del festival.
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Re: I rischi di certe interpretazioni

Messaggioda Maugham » mer 09 apr 2008, 12:10

Non so quanto ci sia da prestar fede, però in effetti la mia idea è che Wolfgang Wagner si autoimpose tutte le messinscene più innovative, ben conscio che uno scandalo ben costruito rende più di un successo scontato, con l’intento di assecondare volta per volta tutte le diverse anime del pubblico del festival.


Su questo hai perfettamente ragione.
Il festival prese nuova vita dopo il 1976.
Dopo la morte di Wieland infatti mi dicono che non fosse per niente difficile trovare biglietti per gli spettacoli.
Dal 1976 in poi partì l'epoca del tutto esaurito.
Figurati che il Ring di Chereau fece così discutere che ci fu addirittura una raccolta fondi (non andata a buon fine) per finanziare privatamente un altro allestimento del Ring da rappresentare in concorrenza con il vituperato allestimento :shock:
Frau Pitz mi disse che c'erano degli sciocchini (molto ricchi però) che si permettevano, una volta ricevuti i biglietti, di presentarsi all'ufficio di Wolfgang e stracciare platealmente i tagliandi in gesto di disprezzo Immagine
Grazie a loro comunque mi sono visto il Ring nel 1979 a prezzi stracciati. :D
Wolfgang del resto lo capisco.
Il Festival è un'impresa privata seppur sovvenzionata.
E' sempre in giro per le varie Wagner Society sparse per il mondo a cercar soldi.
E queste società non sono proprio fatte di innovatori wagneriani.
Io ho partecipato a un incontro solo con una W.S. in tutta la mia vita. Invitato da un gentile signore di Los Angeles che ho conosciuto al Ring di Solti.
Ti assicuro che si respirava una bruttissima aria e non solo per quanto riguarda la drammaturgia wagneriana.
Salutoni
W.S.M.
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Re: I rischi di certe interpretazioni

Messaggioda beckmesser » mer 09 apr 2008, 12:59

Maugham ha scritto:Io ho partecipato a un incontro solo con una W.S. in tutta la mia vita. Invitato da un gentile signore di Los Angeles che ho conosciuto al Ring di Solti.


Wow, colgo l'occasione perché la vicenda di quel Ring mi ha sempre incuriosito molto. Se ne leggono strani resoconti, tutti abbastanza reticenti: ma fu veramente così brutto? Voglio dire: a me tutto sommato l'idea di partenza non sembrava ignobile. Ossia l'idea di un Ring "tradizionale" ma che sfruttasse tutte le possibilità offerte dalle ultime innovazioni tecniche, in modo da sfuggire al patetico di tradizionalismi ormai inaccettabili (tipo il Ring del Met). Fu però una debacle, ma non ho mai capito se il problema fu il ritorno alla tradizione dopo l'esperienza Chéreau o se fu nel modo in cui l'allestimento fu costruito (se, in altre parole, nel principio o nella realizzazione). Sarei curioso di avere una testimonianza diretta...
beckmesser
 
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Re: I rischi di certe interpretazioni

Messaggioda Maugham » mer 09 apr 2008, 15:57

beckmesser ha scritto:Wow, colgo l'occasione perché la vicenda di quel Ring mi ha sempre incuriosito molto. Se ne leggono strani resoconti, tutti abbastanza reticenti: ma fu veramente così brutto? Voglio dire: a me tutto sommato l'idea di partenza non sembrava ignobile. Ossia l'idea di un Ring "tradizionale" ma che sfruttasse tutte le possibilità offerte dalle ultime innovazioni tecniche, in modo da sfuggire al patetico di tradizionalismi ormai inaccettabili (tipo il Ring del Met). Fu però una debacle, ma non ho mai capito se il problema fu il ritorno alla tradizione dopo l'esperienza Chéreau o se fu nel modo in cui l'allestimento fu costruito (se, in altre parole, nel principio o nella realizzazione). Sarei curioso di avere una testimonianza diretta...


Ho visto quel ring due volte.
Nell'83 con Solti
Nell'84 con Schneider (dopo la defezione)
All'epoca avevo vent'anni. :cry:
Quindi ti posso dire quello che mi ricordo. Avevo anche un altro modo di vedere e sentire.
Solti non mi fece una grande impressione.
E per me era il Dio in terra visto che ero cresciuto praticamente a pane e Ring Decca.
Ricordo che lo trovai abissalmente diverso da quello del disco.
Col senno del poi ho capito dove stava l'inghippo.
Il problema di quel Ring era principalmente Solti. Che non riuscì mai a gestire (non ce la faceva proprio) i ritardi del gesto sul suono tipici di Bayreuth. Molti direttori rinunciano alla Collina per questo motivo. Ne parlò anche Strauss.
L'orchestra sotterranea, oltre a creare innumerevoli problemi di acustica a direttori abituati alle buche scoperte, ha questa caratteristica. Il direttore deve sempre regolare il gesto per consentire ai cantanti di entrare in tempo rispetto all'orchestra perchè il suono orchestrale (te la metto giù così alla brutta) ci mette molto più tempo a raggiungere gli spettatori rispetto alle voci. Quindi se batti il tempo con l'anticipo "classico", a poco a poco si arriva a uno sfasamento fastidioso tra palcoscenico e buca. Con i cantanti sempre in un leggero/notevole anticipo. Sinopoli ci studiò sopra un anno.
Tra l'altro le voci sono praticamente in balia del direttore perchè in pratica...l'orchestra, che è là sotto, non la sentono quasi. Capita una cosa simile a quella che raccontò la Freni quando, nel Simone alla Scala, cantava "Come in quest'ora bruna" praticamente nel fondoscena. Non sentiva l'orchestra, vedeva solo Abbado. E si misero d'accordo così. Se Abbado continuava a sorridere allora voleva dire che era in tempo. Ma lei cantava sul vuoto.
Questo fece sì che tutto il cast del Ring sembrava procedere sempre con...non so come spiegarmi, titubanza.
Tra l'altro, non so se qualcuno del gruppo sia mai stato a Bayreuth, una delle prime, gelide, impressioni, che mi capita ogni volta, è la lontananza vera e propria del suono orchestrale.
Noi siamo abituati, in misura maggiore o minore, al suono dell'orchestra wagneriana che di solito è brillante, incisivo, ricco di riverberi, corposo.
A Bayreuth invece l'orchestra suona lontana, i pieni orchestrali sembrano dei mezzoforte... in compenso c'è un'acustica mostruosa. Quando suonano i singoli strumenti (ricordo il corno inglese prima di "War es so..." nella Walkiria o il pedale di Mib che apre l'Oro) sembra di essere a venti centimetri dall'esecutore. Le voci poi, si sentono con un'evidenza a cui non siamo abituati (in Wagner intendo) e purtroppo le magagne sono amplificate dall'acustica.
Ebbene, così dice radio scarpa, nemmeno Solti riusci a convincersi di questo strano balance orchestrale. Incredibile, non era mai stato a Bayreuth prima di quell'occasione neanche come spettatore :shock:
E così prima volle che si creasse una losanga sulla conchiglia lignea che copre l'orchestra per far "passare" meglio gli ottoni :shock:, poi pretese un velatino che coprisse il boccascena per attutire l'impatto delle voci. Poi, rinunciò a tutto questo e chiese che venisse raddoppiato il numero degli ottoni bassi... finchè dopo scazzi vari, piantò baracca e burattini.
Sull'allestimento posso dirti che la mia testa era, all'epoca, molto diversa da quella di oggi. :roll:
Avevo un gusto e una formazione principalmente musicale e pertanto l'allestimento, quando era sontuosa routine come in questo caso, per me era una faccenda marginale rispetto a quello che sentivo con le orecchie.
Ecco diciamo che occhi e orecchie non erano ancora perfettamente sintonizzate. :)
Inoltre, sebbene avessi visto già Ronconi e Chereau nonchè Kupfer nell'Hollander, continuavo ad avere ancora, in un angolo del mio cervello, il desiderio degli elmi con le corna e delle Brunnhildi con le alucce.
Pertanto non mi urtò poi molto il tradizionalismo dell'allestimento. Con un drago che sembrava fatto da Rambaldi, più vero del vero... :shock:
Diciamo che Hall fu voluto a tutti costi da Solti. Che avrebbe accettato di dirigere il Ring del centenario della morte solo a patto che ci fosse un regista "tradizionale". Wolfgang penso accettasse di buon grado sia perchè così metteva a tacere le mai sopite polemiche da parte dei ricchi patrocinatori nonchè si garantiva la presenza della Decca che, a cicli compiuti, avrebbe pubblicato un nuovo Ring discografico registrato a Bayreuth.
Ricordo che per l'occasione venne inaugurata una futuristica pedana idraulica che permetteva di sollevare tutto il palcoscenico creando suggestivi effetti scenici, come la discesa nel Nibelheim e la risalita. La Walkurenritt, con la pedana che oltre ad alzarsi in orrizzonatale poteva anche inclinarsi in verticale e avanzare verso il pubblico, sopra le sferzate soltiane, con il tempestoso ciclorama dello sfondo faceva il suo bell'effetto.
Così come l'apertura del Rheingold con una piscina costruita in palcoscenico dove le tre signorine sguazzavano cantando. Sopra la piscina, inclinato, c'era uno specchio gigantesco, grande come tutta la piscina dove veniva proiettate rocce e trovarobato simile.
Dalla sala non vedevi la piscina ma solo lo specchio con le ondine riflesse in verticale e l'effetto, suggestivo, era quello che parevano davvero librarsi nell'acqua inseguite dal lurido nano.
Però, ricordo anche, una noia micidiale nel canto e nella recitazione.
Poi c'era il problema non piccolo di dove mettere tutta quell'acqua.
E comunque la pedana idraulica (usata anche nel preludio III del Siegfried) faceva zzzzzzz quando saliva e scendeva. :(
In parole povere, alla fine di questo Ring, uno spettatore occasionale poteva anche chiedersi:

"Ragazzi, ma tutto questo casino solo perchè un nano non è riuscito a scoparsi un'ondina?"

Scusate la lunghezza e la genericità del post ma i ricordi sono roba labile e quindi non posso affrontare un'analisi più approfondita. :oops:

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Re: I rischi di certe interpretazioni

Messaggioda VGobbi » mer 09 apr 2008, 18:19

Maugham ha scritto:Scusate la lunghezza e la genericità del post ma i ricordi sono roba labile e quindi non posso affrontare un'analisi più approfondita. :oops:

Anzi Maugham, son questi i post in cui interessa di piu' il melomane. Cosa farei per trascorrere almeno una stagione a Bayreuth. Caso mai, non potresti darci delucidazioni chi cantava in quel Ring "soltiano"? :oops:
Nemmeno noi siamo d'accordo con il gobbo, ma il gobbo è essenziale! Guai se non ci fosse!
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Re: I rischi di certe interpretazioni

Messaggioda MatMarazzi » gio 10 apr 2008, 3:09

Eccomi Willy!
Scusa il ritardo, ma non sono proprio riuscito a risponderti prima.

Maugham ha scritto:lavorava con Oskar Wälterlin. Che però, da quanto so, era quello che oggi definiremmo un direttore di scena. Ovviamente la regia come la intendiamo oggi non esisteva.


Certo, ma proprio perché Appia era uno scenografo e un teorico dello spazio scenico (e non un regista) va giudicato solo in base a quello che era e che voleva essere.
Rimproverargli di "non essere un vero regista" quando non ha mai fatto una regia dell'opera, né avrebbe voluto farla, mi sembra un po' ingiusto.
Si dovrà valutare l'incommensurabile contributo artistico e culturale di Appia come scenografo (e in questo senso quei numerosi e sconvolgenti bozzetti sono perfettamente efficaci) e soprattutto come come ideatore di un nuovo spazio della ritualità teatrale e musicale di cui - successivamente - si sarebbero nutriti i registi e gli scenografi di quattro generazioni (e non solo in Wagner).
Per quanto mi riguarda, lo spettacolo d'opera moderno inizia con Appia; temo non con Reinhardt e sono certo non con Ejzenstein.


Purtroppo sono del parere che in teatro una buona intenzione non realizzata... non sia più una buona intenzione.


Eh... dipende! :)
E poi, Maugham, il pragmatismo è buona cosa. Ma alle volte una teoria dirompente e geniale può fare di più per la storia della cultura di mille rassicuranti buoni spettacolini.
I quali magari non lasciano alcun segno, mentre la teoria agisce su generazioni di nuovi, ne arde gli entusiasmi, ne forgia il linguaggio.
Proprio come è successo per lo "spazio drammatico" di Appia.

Resta inoltre da vedere se davvero le buone intenzioni di Appia fossero "mal realizzate" (come affermi tu) o non fossero piuttosto di anni luci avanti sul gusto dell'epoca e solo per questo destinate a non essere messe in pratica sul momento.
Sarebbe come dire che le ultime sonate di Beethoven (talmente avveniriste che ai loro anni nessuno osava programmarle in concerto) in fondo non dovevano essere granché, dato lo scarso successo di pubblico. :)

Inoltre di Appia abbiamo gli scritti teorici e un po' di bozzetti e foto sgranate. E l'allestimento è la parte più effimera di uno spettacolo. Possiamo al massimo immaginare cosa fosse il suo Tristano.


Una cosa è giudicare una regia, una cosa è giudicare una scenografia.
Una regia, in quanto successione di immagini e contrappuntistico ingranaggio con la musica, non si può nè capire, nè valutare da sole immagini.
Una scenografia invece si giudica più che efficacemente dai bozzetti e dalle foto di scena.
E poiché, come abbiamo detto, Appia era scenografo e non regista...

Figurati io già prendo le distanze da chi si lancia in :D analisi dettagliate su come Caruso cantava un ruolo basandosi su tre 78 giri...


Perché ami la vita comoda! :)
E ne hai tutto il diritto intendiamoci, perché non sei nè uno storico, nè un filologo.
Per nostra fortuna sono altri che si sbattono per ricostruire il passato dalle fonti esistenti, dopo averle reperite, verificate e messe a confronto.
Anche loro (gli storici e i filologi) preferirebbero avere un bel video della DG con intervista e bonus del tal tragediografo greco pre-eschileo, mentre devono dannarsi su un paio di citazioni e qualche iscrizione semi cancellata.
A chi come loro è abituato a scervellarsi sui toponimi dei paesini di mezza europa per rintracciare una ...possibile "radice indoeuropea", il tuo esempio di Caruso farebbe ridere! :)
Baciarsi i gomiti (direbbe qualsiasi storico e filologo)!!!
Con tutto quello che abbiamo di Caruso (a parte i dischi, che sono già un'incalcolabile fonte di informazioni, abbiamo foto, scritti, recensioni, documentazioni di tutti i tipi, testimonianza dirette e indirette, film muti, biografie di tutte le epoche, migliaia di articoli di giornale), bisognerebbe essere tonti per non essere capaci di fare analisi dettagliate su di lui! :)
Fosse quella la fatica del fare la Storia!!
D'altronde, se ci si dovesse arenare sempre di fronte al fatto di non possedere un bel video della DG con intervista e bonus, staremmo freschi... non sapremmo nemmeno chi era Giulio Cesare!! :)
...Ma siamo OT

Vedi, Benois con il suo naturalismo spinto (piaccia o meno) sembra molto efficace su carta. Temo che visto dal vero ci farebbe tutt'altro effetto.


Benois? Intendi Nicola?
Ti pare fosse naturalista?
A me pare in tutto e per tutto un simbolista, magari orientato verso il decadente nell'ultima parte della carriera, ma con un senso del magico e del poderoso geometrico che non è mai venuto meno.
Per quanto mi riguarda, la sua efficacia è indubbia: come scenografia mi pare che dovesse essere di impatto sconvolgente.
Se poi i registi che allora la Scala scritturava (a partire dalla Wahlmann) non erano capaci di gestirla, questo non ci è dato sapere. Perché ritieni che non fosse efficace?

Poi che Appia abbia aperto una strada che Wieland ha seguito e Wolfgang (con i Ring post-Wieland) ha banalizzato non ci piove. (Riconosco però a Wolfgang una buona fede notevole.)


NOn mi è chiaro cosa intendi per Ring post-Wieland di Wolfgang?
L'unico Ring che ha fatto Wolfgang è stato pre-Wieland, o meglio piazzato fra le due produzioni del fratello maggiore (per la precisione nel 1960).
O ti risulta che ne abbia fatti fuori di Bayreuth?


No, dico solo che l'elemento ideologico -ovviamente presente- non mi pare così invasivo come si potrebbe dedurre dagli scritti programmatici (quello della Lulu non l'ho letto) che ci sono nel librone che accompagnava i laserdisc della Philips. Non mi è parso allora, nel 1979 quando lo vidi la prima volta, nè mi pare adesso. Forse perchè, nella realtà, come ho detto, Chéreau non ha mai fatto teatro a tesi.


Capisco la tua tesi!
A me però non viene facile stabilire quando un'ideologia è invasiva e quando non lo è.
Per me non lo è mai... nel senso che l'idea di un regista non è ciò che - artisticamente parlando - è interessante al fine di un giudizio.
Lo spettacolo più bello ed efficace del mondo non diventa brutto perché ha dietro un'ideologia fortissima e aggressiva(naturalmente è vero anche il contrario: che una regia non diventa più bella perché è politicamente "corretta").
E' in noi che dobbiamo trovare la "libertà mentale" di giudicare un'opera d'arte nel suo valore intrinseco, considerandone l'ideologia come un mero accessorio, costituitvo, ok, necessario, ma non vincolante in sede critica.

Io ad esempio potrei urlare dai tetti che Leni Riefenstahl è stata una delle più geniali registe di tutta la storia del cinema e che i suoi film andrebbero studiati a memoria da chiunque voglia capire cos'è la regia cinematografica.
Che poi tutta la sua arte fosse al servizio dell'idea nazista è un elemento che, per me, in sede critica non ha alcun interesse.
Allo stesso modo, non mi crea alcun imbarazzo il constatare che nella Bayreuth degli anni 70-80 agì, anzi fu vincolante una esplicita volontà di aggrapparsi alla Contestazione, cavalcarne le idee e persino le ingenuità per cercare di rifarsi ...una verginità dopo la crisi (anche economica e di pubblico) seguita alla morte di Wieland.
E di questa mentalità il Ring del centenario fu un prototipo, non per altro ma perché l'opera (come già aveva scoperto Bernard Shaw) si presta benissimo a semplificazioni e sintesi da Capitale.
Personalmente considero il Ring di Chéreau una delle regie più "politiche" che abbia mai visto, proprio perché il grado di ingenuità didascalica con cui l'ideologia vi si esprime è estremo e immediato...e non sarebbe forse stato nemmeno tollerabile non considerando la giovane età di Chéreau e gli anni di "ubriacatura ideologica" in cui fu concepito.
Vedere la Jones nell'immolazione, tutta di bianco vestita, che agita la fiaccola come una Rosa Luxemburg mentre conciona i minatori che con lei sognano un mondo di giustizia e uguaglianza... e dalla fossa si leva il tema della redenzione... insomma, mi è difficile restare serio! :) Neanche le favole in cassetta che ascoltavo da bambino erano risolte in modo così deliziosamente naif.

Eppure ti dirò che è proprio questa ingenuità, questo candore a rendermi caro il Ring di Chéreau e a farmelo considerare ancora oggi il più emozionante.
Perché Chéreau è talmente investito nel suo obbiettivo da evitare l'intellettualismo, il male oscuro di qualsiasi regista wagneriano. Punta sulle emozioni, sulla semplicità dei gesti, sul calore delle recitazioni.
Non si mette in cattedra e nemmeno sul pulpito.
E non persegue altro obbiettivo che il coinvolgimento di chi ascolta.
In simile fuoco di emozioni, non mi interessa nemmeno che, dal punto di vista tecnico, si avverta talora una certa imperizia: ad esempio nella gestione dei temi conduttori (da cui si vede la stoffa di un vero regista wagneriano, e questo fin dai tempi di Wagner stesso) il lavoro di Chéreau è elementare.
Oggi, sotto questo aspetto, è molto cambiato! In particolare la Casa di Morti che ho visto ad Amsterdam (sempre con Boulez) mi è parso un vero gioiello di "tecnica" registo-musicale. Persino il Tristano, nonostante tutto, era scafatissimo al confronto!
Ma il calore di quel Ring....

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Re: I rischi di certe interpretazioni

Messaggioda Maugham » gio 10 apr 2008, 11:59

Rimproverargli di "non essere un vero regista" quando non ha mai fatto una regia dell'opera, né avrebbe voluto farla, mi sembra un po' ingiusto.
Si dovrà valutare l'incommensurabile contributo artistico e culturale di Appia come scenografo (e in questo senso quei numerosi e sconvolgenti bozzetti sono perfettamente efficaci) e soprattutto come come ideatore di un nuovo spazio della ritualità teatrale e musicale di cui - successivamente - si sarebbero nutriti i registi e gli scenografi di quattro generazioni (e non solo in Wagner).
Per quanto mi riguarda, lo spettacolo d'opera moderno inizia con Appia; temo non con Reinhardt e sono certo non con Ejzenstein.



Chi mai ha "rimproverato" ad Appia di non essere un regista? :shock:
Ho ammesso che il regista, nel senso moderno del termine, non esisteva. :D
Mi sembra di aver indicato Appia come l'accademico che, semplifico, ha dato il via a tutto.
Era anche un uomo di teatro? Non lo possiamo sapere.
Non mi sembra un critica, ma un dato di fatto.

Ma alle volte una teoria dirompente e geniale può fare di più per la storia della cultura di mille rassicuranti buoni spettacolini.
I quali magari non lasciano alcun segno, mentre la teoria agisce su generazioni di nuovi, ne arde gli entusiasmi, ne forgia il linguaggio.
Proprio come è successo per lo "spazio drammatico" di Appia.


ovvio

Resta inoltre da vedere se davvero le buone intenzioni di Appia fossero "mal realizzate" (come affermi tu) o non fossero piuttosto di anni luci avanti sul gusto dell'epoca e solo per questo destinate a non essere messe in pratica sul momento.
Sarebbe come dire che le ultime sonate di Beethoven (talmente avveniriste che ai loro anni nessuno osava programmarle in concerto) in fondo non dovevano essere granché, dato lo scarso successo di pubblico. :)


Il paragone con Beethoven non regge. Perchè di "roba" eseguibile ne ha fatta tanta. :D
Piuttosto Appia è come un narratore che, dopo aver scritto acuti e fondamentali saggi sul futuro del romanzo, ne abbia scritto solo uno di cui si sono perse le tracce e ci rimangono solo testimonianze indirette. Possiamo dire fosse un grande scrittore? No. Però nessuno nega alle sue teorie un posto chiave nella storia della letteratura.

Una cosa è giudicare una regia, una cosa è giudicare una scenografia.
Una regia, in quanto successione di immagini e contrappuntistico ingranaggio con la musica, non si può nè capire, nè valutare da sole immagini.
Una scenografia invece si giudica più che efficacemente dai bozzetti e dalle foto di scena.


Mah, sì, però secondo me è inutile. Uno spettacolo teatrale lo si giudica nel complesso. Trovo inutile giudicare una scenografia avulsa dal contesto complessivo di uno spettacolo. Tra l'altro dai bozzetti giudichi un'idea di scenografia. La cui messa in opera nove volte su dieci è fedele all'idea originale al cinquanta per cento. Quindi, tornando ad Appia, limitiamoci a valutarne la grande e, questa sì, sconvolgente importanza come accademico.


Perché ami la vita comoda! :)
Con tutto quello che abbiamo di Caruso (a parte i dischi, che sono già un'incalcolabile fonte di informazioni, abbiamo foto, scritti, recensioni, documentazioni di tutti i tipi, testimonianza dirette e indirette, film muti, biografie di tutte le epoche, migliaia di articoli di giornale), bisognerebbe essere tonti per non essere capaci di fare analisi dettagliate su di lui! :)
Fosse quella la fatica del fare la Storia!!


Mat, quando fai così mi fai arrabbiare. :evil: :wink:
Perchè mi fai dire cose che non penso minimamente.
Magari ho scritto male. :oops:
Quello che intendevo con l'esempio di Caruso era semplicemente questo.
Sono stanco di ascoltare ipotesi sul passato utilizzate come dogmi per giudicare il presente.
Certo che di Caruso abbiamo una sacco di materiale. :D
E va studiato. E da questo materiale si possono trarre conclusioni e formulare ipotesi su quello che il materiale ci suggerisce.
Ipotesi, però.
Ovvero, non so come spiegarmi, limitiamoci a questo materiale.
Ho ascoltato per ore persone che giudicavano X sulla base di come cantava Rubini. E lo affermavano come se avessero sentito Rubini la sera prima.
Ho ascoltato per ore persone che affermavano di sapere con certezza come fosse il Cavaradossi di De Lucia basandosi su fruscianti frammenti.
Ho ascoltato per ore persone che parlavano del Mahler di Mengelberg come un riferimento assoluto. E abbiamo degli ectoplasmi discografici.
Recentemente ho discusso con un amico che discettava sui colori dell'orchestra di Karajan e... tutto quello che aveva ascoltato era in mp3 :D
Non ne posso più! :roll:
Non discuto il percorso. Nè il risultato. Discuto la mancanza... del condizionale sul risultato.
Ricostruiamo, studiamo, ragioniamo, interroghiamoci sul passato... ci mancherebbe!
Ma nessun archeologo ti direbbe mai, sulla base dei bassorilievi di Angkor, con certezza come si svolse la battaglia contro i Cham.
Come nessuno studioso di teatro potrebbe dirti com'era realmente il Checov di Stanislavsky anche se abbiamo foto, testimonianza e disposizioni sceniche.




Benois? Intendi Nicola?
Ti pare fosse naturalista?


Se stiamo a bozzetti non mi sembra che siamo dalle parti di Dalì e De Chirico. Il Wagner alla Scala del '50 con la regia, guardo un po', di Tetjen nella marcia funebre del Crepuscolo ha i suoi bellissimi abetoni mentre sul fondo brillano picchi inaccessibili illuminati dal tramonto. Un classico esempio di omaggio alla pittura romantica. Ma non ho mai visto uno spettacolo con le scene di Benois.

NOn mi è chiaro cosa intendi per Ring post-Wieland di Wolfgang?
L'unico Ring che ha fatto Wolfgang è stato pre-Wieland, o meglio piazzato fra le due produzioni del fratello maggiore (per la precisione nel 1960).
O ti risulta che ne abbia fatti fuori di Bayreuth?


Scusa, non ti seguo. Wolfgang ha firmato il Ring nel 60 con Kempe, poi è tornato a Wieland-senza-Wieland, poi nel 70 ha riproposto il suo Ring questa volta con Stein. Volevo dire che, dopo il primo Ring di Wolfgang a Bayreuth Wieland non ha più messo mano all'Anello che, così mi hanno detto, è andato via via deteriorandosi.

Capisco la tua tesi!
A me però non viene facile stabilire quando un'ideologia è invasiva e quando non lo è.


Anch'io faccio fatica.Concordo con te.
Ne parleremo con calma.
Tutto questo è stato scritto con il telefono che non smetteva mai di suonare. :twisted: :twisted: :twisted:
A prestissimo
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Re: I rischi di certe interpretazioni

Messaggioda Alberich » gio 10 apr 2008, 13:16

VGobbi ha scritto:
Maugham ha scritto:Scusate la lunghezza e la genericità del post ma i ricordi sono roba labile e quindi non posso affrontare un'analisi più approfondita. :oops:

Anzi Maugham, son questi i post in cui interessa di piu' il melomane. Cosa farei per trascorrere almeno una stagione a Bayreuth. Caso mai, non potresti darci delucidazioni chi cantava in quel Ring "soltiano"? :oops:

http://www.wagnermania.com/bayreuth/total.asp
Non so quanto sia affidabile...

La discussione è interessantissima, continuate! :D
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Re: I rischi di certe interpretazioni

Messaggioda MatMarazzi » dom 13 apr 2008, 11:48

Eccomi ancora qui, a continuare le nostre piccole polemiche! :)

Mi sembra di aver indicato Appia come l'accademico che, semplifico, ha dato il via a tutto.

Be' però Appia non era un accademico! :)
Era uno scenografo.
Tutt'al più possiamo dire che fu condannato ad essere un teorico, perché trovò pochi teatri che ebbero il coraggio di affidargli spettacoli, ma era pur sempre di quei teorici che vedono le cose in una prospettiva "poietica", ossia legata ai problemi del "fare". A me, almeno, risulta così.

Il paragone con Beethoven non regge. Perchè di "roba" eseguibile ne ha fatta tanta. :D

E questo cosa significa?
Che se Beethoven non avesse scritto (puta caso) tutta la roba precendente, e avesse iniziato a comporre a partire dalle ultime sonate e dagli ultimi quartetti, non dovremmo comunque giudicare queste opere fra le più alte della storia della cultura umana?
Dovremmo giudicarle "roba da accademico", da "teorico" perché all'epoca nessuno ebbe la voglia o il coraggio di farle rappresentare?
Avremmo detto che non era "un uomo di musica" solo perché i suoi contemporanei non erano in grado di capire i suoi lavori?

Piuttosto Appia è come un narratore che, dopo aver scritto acuti e fondamentali saggi sul futuro del romanzo, ne abbia scritto solo uno di cui si sono perse le tracce e ci rimangono solo testimonianze indirette. Possiamo dire fosse un grande scrittore? No. Però nessuno nega alle sue teorie un posto chiave nella storia della letteratura.


Questo, Maugham, è un paragone che non regge! :)
Perché uno scrittore incompreso può ugualmente scrivere romanzi per conto suo e tenere nel cassetto i manoscritti delle proprie opere, fino a quando qualcuno le scoprirà e le farà pubblicare, come avvenne con Kafka.
A uno scenografo, se non è chiamato da un teatro, sarà semplicemente impedito l'esercizio della propria arte, cosa che nessuno può impedire a uno scrittore.

Scusa, non è che voglio insistere troppo, ma il modo in cui ci presenti Appia (come di un tale confinato nella "teoria", un saggista "accademico" che il teatro "vero" forse lo masticava poco) mi pare riduttivo.
Appia aveva, secondo me, un senso del teatro dirompente, come dimostra il fatto che successivamente un bel po' di registi praticanti (e non certo teorici) si sono nutriti di lui, in anni in cui la sua estetica risultava meno sconcertante.
Purtroppo per lui e per noi, Appia fu imbavagliato dai suoi contemporanei, che preferivano le emozioni forti, le tinte estreme e la retorica di maggior impatto dei registi "veri".
...Io, te lo confesso sottovoce, sono tutto dalla parte di Fantozzi! :)


Mah, sì, però secondo me è inutile. Uno spettacolo teatrale lo si giudica nel complesso. Trovo inutile giudicare una scenografia avulsa dal contesto complessivo di uno spettacolo. Tra l'altro dai bozzetti giudichi un'idea di scenografia. La cui messa in opera nove volte su dieci è fedele all'idea originale al cinquanta per cento. Quindi, tornando ad Appia, limitiamoci a valutarne la grande e, questa sì, sconvolgente importanza come accademico.


Il fatto che l'opera sia una forma d'arte composita, non significa che non la si possa valutare nelle sue componenti.
Anche un libretto, alla fine, è funzionale al complesso musical-teatrale che uscirà dall'incontro col compositore.
Ma nulla osta che un libretto possa essere valutato separatamente e che, se anche un'opera va a fondo per colpa del compositore, magari il libretto di partenza era geniale.
Se io musicassi il Don Giovanni di Da Ponte farei una schifezza: e non di meno è lecito prendere il libretto - indipendentemente dal mio pessimo contributo di compositore - e valutarlo positivamente.
Per quanto riguarda la scenografia, essa è uno degli aspetti "statici" di un allestimento; diventa dinamica solo successivamente, per l'apporto del regista. Ma in origine il suo "porsi" è semplicemente figurativo (non è un caso che eccelsi scenografi siano spesso stati pittori, scultori o architetti).
Proprio per questo, quale che sia il trattamento destinato a subire un progetto scenografico durante l'allestimento, è lecito valutarne il valore anche sui bozzetti, almeno a me pare evidentemente così.


Sono stanco di ascoltare ipotesi sul passato utilizzate come dogmi per giudicare il presente.
Certo che di Caruso abbiamo una sacco di materiale. :D
E va studiato. E da questo materiale si possono trarre conclusioni e formulare ipotesi su quello che il materiale ci suggerisce.
Ipotesi, però.

Non tutto quello che ci deriva dal passato è "ipotesi". Spesso si tratta di certezze storiche, a cui si può pervenire proprio col tramite della documentazione diretta e indiretta.
Se tu ritieni che ci siano cattivi storici, che traggono conclusioni affrettate dai documenti del passato, io non ho difficoltà a darti ragione.
...Ma il problema è in loro.

Non ci si può trincerare dietro il "mistero della fede", quando si parla di passato.
C'è il modo di capirlo il passato, di decifrarlo, spesso con più facilità e obbiettività del presente.
Vuoi un esempio?
Quei tre 78 giri di Caruso che tu citavi sono, da un certo punto di vista, molto più "fedeli" di un DVD di oggi.
Il tecnico del suono di allora non poteva giocare di "taglia e cuci", di "manopole" e di altre fantascientifiche sofisticazioni che oggi sono la norma. Da quei dischi (in presa diretta) si può cogliere molto di più sulle potenzialità e caratteristiche di un cantante! :)

Maugham ha scritto:
MatMarazzi ha scritto:Benois? Intendi Nicola?
Ti pare fosse naturalista?

Se stiamo a bozzetti non mi sembra che siamo dalle parti di Dalì e De Chirico.


Ma certo che no! Infatti de Chirico e Dalì erano metafisici, non simbolisti.
Però l'estetica di Benois, come di Fiume, non puntava al naturalismo, quanto ai misteri immaginifici del "sogno visivo".
Anche i "picchi inaccessibili" del Siegfried (come le rocche medievali invase da vegetazione selvaggia o i cieli ridondanti di nembi tempestosi) rientrano in un'estetica non realistica, ma tardo-romantica e simbolista di grande suggestione.
Secondo me quelle scene dovevano risultare di una bellezza sconvolgente.

Scusa, non ti seguo. Wolfgang ha firmato il Ring nel 60 con Kempe, poi è tornato a Wieland-senza-Wieland, poi nel 70 ha riproposto il suo Ring questa volta con Stein. Volevo dire che, dopo il primo Ring di Wolfgang a Bayreuth Wieland non ha più messo mano all'Anello che, così mi hanno detto, è andato via via deteriorandosi.


Mettiamo un po' di ordine nella successione, anche sulla base delle verifiche che abbiamo fatto entrambi.

Nel 51 c'è stato il primo Ring di Wieland.
Nel 60 è partito il primo Ring di Wolfgang.
Nel 65 è partito (e non "senza Wieland", ma proprio "con Wieland") il secondo Ring di Wieland, e non è affatto vero che non ci abbia messo mano! Anzi: è stata una nuova produzione importantissima, con divi internazionali, registrazione audio della philips e successo planetario.
Nel 70 (hai ragione tu, io me ne ero dimenticato) Wolfgang ha di nuovo messo mano al Ring, ma non era una riproposizione del precedente: era una nuova produzione, l'ultima prima di Chéreau.

Un salutone,
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Re: I rischi di certe interpretazioni

Messaggioda Maugham » dom 13 apr 2008, 14:11

Purtroppo per lui e per noi, Appia fu imbavagliato dai suoi contemporanei, che preferivano le emozioni forti, le tinte estreme e la retorica di maggior impatto dei registi "veri".
...Io, te lo confesso sottovoce, sono tutto dalla parte di Fantozzi! :)

Anch'io. Tolto Ottobre.

Il fatto che l'opera sia una forma d'arte composita, non significa che non la si possa valutare nelle sue componenti.


Matteo, non ho detto nè scritto questo. Non ho mai detto che uno spettacolo d'opera non lo si possa valutare nelle sue componenti. Ho detto che una sola componente -in questo caso volatile e effimera ancora più del libretto o della vocalità- ovvero la scenografia (tra l'altro con Appia vista solo attraverso bozzetti o addirittura immaginata perchè desunta da scritti teorici) non può che suggerirci illazioni su che cosa fosse realmente quel tipo di teatro. Poi, ribadisco, l'importanza di Appia è talmente palese e condivisa che non ha bisogno di nessuna mia difesa.



Quei tre 78 giri di Caruso che tu citavi sono, da un certo punto di vista, molto più "fedeli" di un DVD di oggi.


Forse devo imparare a scrivere. Oppure a capire che le intonazioni della frase non possono essere espresse chiaramente sul web. :roll:
Quando parlavo di tre 78 giri, non volevo trattare con disprezzo il lascito discografico di Caruso. Del tipo "Puah! ci ha lasciato due o tre settantotto giri e bsta."
Ci mancherebbe! Ho l'integrale su CD e ha i buchi dai troppi ascolti.
Parlavo proprio di tre 78 giri! In senso letterale, uno/due/tre tra gli oltre duecento.
Ovvero, hai ad esempio solo tre arie, butto lì, del Ballo in maschera. Da quei nove minuti scarsi alcuni -i più onesti- traggono ipotesi più o meno valide, a seconda della sensibilità personale- su come Caruso affrontasse e cantasse Riccardo. Ipotesi, però. Suggestive e fantasiose oppure razionali e circostanziate, non importa. Ma sempre ipotesi.
Altri, formulano anche loro ipotesi, le trasformano in certezza e ti dicono, la faccio semplice per non essere frainteso, il Riccardo di Caruso era così, colà.
Dai, Mat, quante ne abbiamo lette! Pagine e pagine sulla messa di voce di Rubini! O sulla dinamica sfumata della Cuzzoni nelle arie patetiche di Haendel. :D :D :D


Ma certo che no! Infatti de Chirico e Dalì erano metafisici, non simbolisti.

...l'enciclopedia dello spettacolo li mette tra gli scenografi simbolisti. Però è un testo vecchio, ne convengo, forse il termine metafisico è entrato dopo.


Secondo me quelle scene dovevano risultare di una bellezza sconvolgente.


Ah, senza dubbio. Anch'io sono un fan di Benois e nel mio ufficio avevo due gigantografie sottratte a una mostra di un po' di anni fa. Tra cui uno straordinario fondale per l'Aida. Però rimango sempre della mia idea. Sulla carta, bellissime, ma messe in tridimensione secondo me rivelavano tutta la loro "falsità". In senso buono intendo. Per un pubblico degli anni Cinquanta (non ancora abituato alla scena "costruita" come oggi) andava bene. Secondo me adesso non potrebbero reggere.



Nel 51 c'è stato il primo Ring di Wieland.
Nel 60 è partito il primo Ring di Wolfgang.
Nel 65 è partito (e non "senza Wieland", ma proprio "con Wieland") il secondo Ring di Wieland, e non è affatto vero che non ci abbia messo mano! Anzi: è stata una nuova produzione importantissima, con divi internazionali, registrazione audio della philips e successo planetario.
Nel 70 (hai ragione tu, io me ne ero dimenticato) Wolfgang ha di nuovo messo mano al Ring, ma non era una riproposizione del precedente: era una nuova produzione, l'ultima prima di Chéreau.


Hai ragione. Sono stato ingannato dall'errata convinzione che la registrazione Philips fosse stata fatta con Wofgang e non con Wieland. Wieland fece il nuovo Ring nel 65, morì nel 66. Il Ring venne ripreso quell'anno e nel successivo da Peter Lehmann sempre con Bohm e poi nel 68 e nel 69 da Hans Hotter con Maazel sul podio.

Mi piacerebbe però che anche qualcun'altro del gruppo dicesse la sua... no?

Salutissimi
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