Robert LePage

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Robert LePage

Messaggioda MatMarazzi » dom 05 set 2010, 10:48

Le fotografie di Maugham del prossimo Ring al Met mi hanno indotto ad aprire un thread su questa eminente figura della cultura teatrale canadese, recentemente divenuto anche in ambito operistico punto di riferimento delle stagioni internazionali.
Tanto che appunto oggi il mondo è in attesa febbrile della sua tetralogia, che verrà videotrasmessa in diretta in decine di paesi e che raccoglierà un cast semplicemente fantascientifico (fra cui il primo Siegmund di Jonas Kaufmann).

Personalmente non ho avuto subito un rapporto positivo con Lepage: la prima occasione in cui vidi un suo spettacolo fu la Damnatione de Faust di Berlioz nella Parigi di Mortier (era, se ben ricordo, il 2005).
Lo spettacolo non mi era piaciuto troppo; Già il cast era irritante: la De Young (futura Brangania alla Scala) aveva voce poco rifinita e presenza scenica pesante, quanto a Sabbatini e Van Dam, di loro (specie di quest'ultimo) restava appena un ricordo.
Dalla regia di Lepage (che allora non conoscevo) trassi un'impressione strana, impressione non necessariamente positiva ma che poi mi sarebbe stata confermata da successive esperienze.
Mi pareva che nell'allestire Berlioz egli si fosse ispirato alle tecniche e alle visioni dei Manga, i cartoni animati giapponesi.
La sensazione mi sorprese, specie perché non me l'aspettavo in un teatro serioso e debitore della cultura tedesca come quello di Mortier.
Né posso affermare che alla fine lo spettacolo mi piacque davvero: mi parve invece un po' malriuscito. Tanto che, tornato a Parigi poche settimane dopo, non ebbi alcuna voglia di tornarlo a vedere.
Probabilmente fu questo primo, non esaltante, approccio che mi trattenne dall'andare a vedere il suo Rake's Progress, che raccolse trionfi sensazionali e circolò per tutto il mondo (arrivò persino alla Scala).

Alcuni mesi fa, in compenso, ho ritrovato Lepage in uno spettacolo fra i più emozionanti, struggenti, riusciti della mia vita.
Si trattava del Rossignol rappresentato al Grand Theatre de Provence di Aix (insieme ad altre "piccole storie" di Strawinsky: Renard, Pribautki, ecc...).
Dirigeva il grande Kazushi Ohno e si esibiva un cast giovane ma magnifico (in cui brillava, con un angelo, Olga Peretyatko nella parte dell'usignolo).

Descrivere la regia non è semplice. LePage ha attinto a piene mani a varie espressioni di teatro popolare, specie orientale: le ombre cinesi, ad esempio, ma soprattutto le marionette vietnamite, a cui è stato affidato tutto il Rossignol.
il palcoscenico era inondato d'acqua, nella quale si muovevano i cantanti che - cantando - tenevano in mano e muovevano le loro splendide marionette.
Giochi di luce di una bellezza irreale si riflettevano sull'acqua, creando effetti talmente suggestivi e incantati da dare il batticuore; la musica di Strawinsky (esaltata da Ohno come nessun direttore - tranne Salonen - è mai riuscito a fare) si distillava fra queste sublimi bellezze con una magia sconvolgente.

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Uscendo da teatro semplicemente senza fiato, con la consapevolezza di aver assistito a un capolavoro irripetibile di regia musicale, ho riflettuto sulla vera, straordinaria "modernità" di questo taglio registico.
E ho apprezzato tanto più questa modernità "vera" grazie al contrasto con la modernità "finta" del Lohengrin di Neuenfels e del Parsifal di Hereim (visti subito dopo a Bayreuth), registi portavoce di un modo vecchio di fare opere, vecchio nella sostanza e nello spirito, benché spruzzato di qualche effettino moderno (nella maggior parte dei casi copiato ai registi americani e britannici).
L'operazione registica di LePage era anzitutto totalmente "linguistica" (e non contenutistica). :)

Pensate alle radicali trasformazioni dei tempi: nel suo caso sganciarsi completamente dal messaggio, dal contenuto, dalla "denuncia" (tutti elementi grazie ai quali, fino a un decennio fa, avremmo esaltato la "modernità" di un regista) rappresenta la novità.
Il bello che l'eliminazione del contenuto - ossia uno dei totem del vecchio teatro di regia - non ci riporta a Zeffirelli; tutt'altro, perchè Zeffirelli - piace ai passatisti per questo - non è fiacco solo a livello contenutistico; lo è da molto tempo anche a livello linguistico, così come strettamente drammaturgico.
LePage invece si esalta di linguaggi complessi, studia le espressioni teatrali di un vastissimo repertorio di cultura popolare, le mescola e le fonde in un turbinare sconcertante di idee, le rielabora con una sagacia tecnico-narrativa-emozionale fuori dal comune.
In linea con i processi di globalizzazione e carnevalesca contaminazione fra le culture (tipici della nostra società) egli elabora progetti linguistici non solo esplosivi, ma capaci di eccitare tutto il bagaglio di fantasie e suggestioni del pubblico.
In questo LePage porta all'estremo la lezione di un altro sommo regista canadese, Robert Carsen, scatenando ancora di più le potenzialità linguistiche non solo del teatro di oggi, ma di tutto ciò che chiamiamo "fiction" (compreso il cinema, la televisione, il circo - ha lavorato ad alcuni degli allestimenti più grandiosi del Cirque du Soleil - e persino lo spettacolo tipicamente "turistico" come appunto le Marionette vietnamiti sull'acqua), avendo il coraggio di superare (a differenza dei tedeschi e della loro spocchia passatista) le antiche gerarchie "culturali" insite nel loro modo di intendere il teatro.

In questo senso l'opera di LePage - benché di impatto "immediatissimo" e fruibile da tutti i livelli di pubblico - rappresenta una delle forme più elaborate, complesse di regia musicale che oggi sia possibile vedere.

Tutte queste considerazioni mi autorizzano a riflettere sul suo prossimo Ring al Met.
Giustamente il Met insiste sulla necessità di rendere immediatamente fruibile la Tetralogia (contro l'avvitamento europeo di una complessità esegetica sempre maggiore, emerso in questi ultimi anni); ma chiamando LePage non commette l'errore di ricorrere ancora alla formula Zeffirelliana scelta da Schenk, ossia di un taglio talmente facile e vecchio da risultare sciocco.
Sono infatti convinto - ma potremo valutarlo dalla visione dell'opera - che LePage opterà anche per questo Ring per un massiccio sfruttamento (più linguistico che contenutistico) di tutte le formule espressive e figurative esplorate, in questi ultimi anni, dal cinema "fantasy", tolkieniano, costruendo così atmosfere di impatto immediato ma non semplice, di suggestione possente proprio perchè tratta dall'immaginario figurativo ed emozionale della nostra epoca.
E proprio per questo scommetto che sarà una Tetralogia storica e persino rivoluzionaria.

Salutoni,
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Re: Robert LePage

Messaggioda beckmesser » lun 06 set 2010, 10:41

Io ho visto solo il Rake’s Progress che citi, a Londra, ma non mi ha convinto molto. Hai perfettamente ragione: è un modo di fare regia che si limita al linguaggio, effettivamente nuovo e tecnicamente spettacolare, e può darsi che se applicato a opere (come il Ring) che già hanno un contenuto tale da bastare a se stesse, funzioni. Nel Rake’s, che anche musicalmente è opera di quasi solo “linguaggio”, dove sta agli interpreti fornire una chiave per decodificare il pastiche di stili, architetture musicali, citazioni, ecc., un approccio come quello di LePage mi è sembrato sfiorare l’inconsistenza: un profluvio di macchinari, diavolerie tecnologiche, idee di per sé anche belle, ma alla fine che cosa fosse per lui il Rake’s io non l’ho capito. Sarà che c’era una direzione pessima (l’enfant prodige della composizione Thomas Ades: la sua “Tempest” è interessante, ma come bacchetta è meglio lasci perdere…), ma il tutto funzionava veramente poco…

Saluti,

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Re: Robert LePage

Messaggioda MatMarazzi » lun 06 set 2010, 11:45

beckmesser ha scritto:Io ho visto solo il Rake’s Progress che citi, a Londra, ma non mi ha convinto molto. Hai perfettamente ragione: è un modo di fare regia che si limita al linguaggio, effettivamente nuovo e tecnicamente spettacolare, e può darsi che se applicato a opere (come il Ring) che già hanno un contenuto tale da bastare a se stesse, funzioni. Nel Rake’s, che anche musicalmente è opera di quasi solo “linguaggio”, dove sta agli interpreti fornire una chiave per decodificare il pastiche di stili, architetture musicali, citazioni, ecc., un approccio come quello di LePage mi è sembrato sfiorare l’inconsistenza: un profluvio di macchinari, diavolerie tecnologiche, idee di per sé anche belle, ma alla fine che cosa fosse per lui il Rake’s io non l’ho capito.


Caro Beck,
una sensazione simile alla tua l'ho avuta nella Damnation: grande sfarzo linguistico, poca sostanza.
Alla vista del Rossignol, però, e ancora saturo delle emozioni fortissime di quello spettacolo, mi sono posto il problema se fosse LePage a non essere abbastanza "profondo" per affrontare Berlioz (e nel tuo caso il Rake's Progress) o se fossi io ad essere ancora abbarbicato all'idea di una regia "di contenuti".
Penso che siano vere entrambe le ipotesi; ossia che - per un certo repertorio - può risultare effettivamente limitativo fermarsi alle formule di comunicazione.
Eppure nel complesso io credo che un approccio come quello di Lepage possa darci percentualmente qualcosa in più rispetto a quello ci toglie.
Speriamo piuttosto che il Ring mantenga promesse tanto ambiziose.

Salutoni,
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Re: Robert LePage

Messaggioda pbagnoli » lun 20 giu 2011, 15:56

Riapro questo thread perché ho potuto ammirare (si fa per dire) a casa del Divino la Walkiria allestita per il Met.
Spettacolo semplicemente grottesco: da non credersi! :shock:
Mi sono dovuto ricredere su mostri sacri come la Westbroeck e Kaufmann: senza un regista vero, non sono in grado di muoversi, o quanto meno non così bene. Vedere Kaufmann con la manina aperta verso il pubblico in posa da Alvarez è qualcosa che mi ha fatto tanto male, ahimè!
Gli spunti negativi sono talmente tanti che, a volerli elencare, si perderebbe la testa. Dico solo che questo allestimento è talmente didascalico da rendere audace e sperimentatore persino il precedente di Schenk.
Senza citare la Regientheater - argomento che abbiamo già toccato nei giorni scorsi parlando del Tannhauser di Lehnhoff - mi sentirei di affermare che qualunque svizzero o tedesco post-cortina-di-ferro avrebbe potuto mettere in campo argomenti ben più interessanti e coinvolgenti. L'unico blando sussulto me l'ha provocato l'incantesimo del sonno, soprattutto immaginando l'effetto che potrebbe fare sul palcoscenico del Met; per il resto notte e nebbia.
Terribili le scelte di determinati cantanti; a parte, si capisce, la Westbroeck che è la Sieglinde dei nostri tempi e non solo; e Kaufmann, che se li seppellisce tutti.
Ma la Blythe, per esempio, fa ripiombare il personaggio di Fricka in epoca veterotestamentaria e sembra anche fisicamente la suocera di Wotan.
Terfel non ha più le note di Wotan ed è orribilmente sovrastato dalla parte, motivo per cui è costretto a berciare e rantolare. Era da tanto tempo che non sentivo massacrata questa parte sublime in questa maniera: Theo Adam, a confronto, è un grand-seigneur.
Koenig ha le grimaces di Tito Gobbi.
E la Voigt! Cos'è la Voigt!
L'avevo recensita nella registrazione DGG del Tristan di Thielemann e d'accordo, non è la Modl né la Stemme, ma non fa una pessima figura, tutt'altro.
Ma questo è un disastro vero.
Voce senile, beccheggiante, tutta impostata su strilli da megera. E' talmente preoccupata dall'emissione da non cercare non dico un'inflessione, ma nemmeno una qualsiasi linea interpretativa. Una pochezza talmente desolante che il primo che mi parla male della Thèorin o della Watson gli sputo in un occhio.

A chi è diretta questa roba? No, veramente: c'è qualcuno cui possa interessare una cosa del genere?
Come giustamente faceva notare HRM Il Divino, c'è il rischio che ce la vedremo per i prossimi vent'anni, quasi sicuramente anche in Blu Ray o DVD, e l'unica speranza è che decidano di fissarla con altri interpreti perché questi - a parte i Waelsidi - sono al di sotto dei limiti della decenza minima per il... canto professionale (tè! ciàpa questa!, come si dice dalle mie parti).
Su questo sito abbiamo fatto un sacco di osservazioni sull'evoluzione del linguaggio registico. Ci sono state molte cose belle, ma anche deviazioni: molte volte siamo stati critici contro tutte le estremizzazioni di personaggi che si sono ammantati di un'aura di intellettualismo da strapazzo per giustificare autentiche porcherie (penso per esempio al Ballo in maschera di Bieito); però abbiamo sempre dato il beneficio del dubbio a chi, in qualche modo, ha cercato di dire qualcosa.
Ma qui cosa ci vuole dire Lepage? Dove vuole andare a parare?
E' il "Vorrei tornare indietro ma mi fermo a metà"?
E' lo Schenk rivisto in una salsa più moderna?
E' un fumettone?
Boh!
"Dopo morto, tornerò sulla terra come portiere di bordello e non farò entrare nessuno di voi!"
(Arturo Toscanini, ai musicisti della NBC Orchestra)
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Re: Robert LePage

Messaggioda Maugham » lun 20 giu 2011, 18:46

pbagnoli ha scritto:E' lo Schenk rivisto in una salsa più moderna?


Sintetizzando penso sia così.
Il Met, con Wagner, deve per forza camminare sulle uova.
Gli sponsor pagano e non vogliono eurotrash.
D'altro canto non si può nemmeno fare delle retroguardia altrimenti i radical-chic di New York ti prendono in giro.
Allora hanno scelto una via di mezzo che, alla prova dei fatti, è la scelta peggiore.
Stilizzazione dell'attrezzeria ma con le stesse alucce, i corni, i bracciali di cuoio, le pelli...ma rimodernate.
Scenografie imponenti e di alta tecnologia usate però, nella Walkiria, per un quarto d'ora di spettacolo o giù di lì.
Nel resto, ho visto il solito museo delle cere.
E così abbiamo l'Americantrash.... :D
Americantrash che comunque ha anche tirato in mezzo un grande come McVicar che ha confenzionato un Trovatore che, se non lo avessi saputo, avrei attribuito a Zeffirelli. Ma a quello degli anni bui.
Certo che buttare via l'occasione dell'accopiata Westbroek-Kaufmann... ce ne vuole. Ma ce ne vuole proprio tanta.
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