Marc Minkovski

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Minkovski

Messaggioda pbagnoli » dom 20 mag 2007, 20:57

Matteo torna oggi da Parigi e ci parlerà della Carmen di Minkovski. Io vado pazzo per questo direttore, secondo me oggi come oggi uno dei migliori al mondo, dotato di temperamento sanguigno, rigore ineccepibile, fantasia sfrenata e musicalità di primissimo ordine.
Apparentemente uno di quei personaggi rivoluzionari cui nessun traguardo potrebbe essere negato.
Varrebbe la pena di ricostruire il percorso che l'ha portato ai traguardi attuali.
Cosa ne pensate?
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Messaggioda MatMarazzi » gio 24 mag 2007, 16:21

Caro Pietro, senza contare i dischi, ho sentito Minkovski dal vivo ormai tante volte a Parigi.
Nella Dido and Aeneas con Jessy Normann, nell'Iphigenie en Tauride, nella Grande Duchesse de Gerolstein con Felicity Lott.
E' interessantissimo sempre.
Non solo ha la cura del dettaglio infinitesimo e pulviscolare, con quelle sonorità diafane e ricercatissime, gli equilibri strumentali stupefacenti tipici di ogni direttore "barocco".
In più ha anche un calore, un trasporto, un senso del teatro furioso, veramente mediterraneo.
La sua Danza delle Furie nell'Orfeo resta una delle cose più belle che abbia sentito dal vivo; così come i ritmi folli, gioioso di Offenbach.

Vorrei sentirlo tanto più spesso in Italia: ma anche lui non credo goda delle simpatie di Lissner.

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Messaggioda VGobbi » sab 26 mag 2007, 20:05

Questo direttore non l'ho mai sentito, essendo il sottoscritto allergico alla musica barocca. Ritenevo Minkowski uno specialista, invece bisogna dargli atto che sta allargando il suo repertorio, anche se sembra con risultati alterni. Non vorrei sparare una cantonata ( :oops: ), ma da qualche parte avevo letto di una sua pessima Carmen. Mi posso sbagliare?
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Messaggioda bergonzi » lun 28 mag 2007, 10:03

Minkowski: fantastico direttore haendeliano! Ma in Carmen non lo vedo per niente!!!!
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Messaggioda MatMarazzi » lun 28 mag 2007, 11:19

bergonzi ha scritto:Minkowski: fantastico direttore haendeliano! Ma in Carmen non lo vedo per niente!!!!


Pensa che io, avendolo sentito dal vivo sia in Handel che in Bizet, l'ho trovato molto meglio in quest'ultimo.
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Messaggioda MatMarazzi » lun 28 mag 2007, 11:36

VGobbi ha scritto:Non vorrei sparare una cantonata ( :oops: ), ma da qualche parte avevo letto di una sua pessima Carmen. Mi posso sbagliare?


Secondo me ti sbagli, infatti.

In Carmen ha debuttato proprio in occasione dello spettacolo allo Chatelet cui ho appena assistito. E' stato un trionfo (per quanto riguarda lui) meritatissimo: proprio l'esprienza barocca ha conferito alla sua lettura sonorità incredibili, terse, trasparenti, dagli equilibri perfetti. I ritmi, in perfetto stile baroccofilo, o scatenatissimi o dilatati, ma con un controllo pulviscolare.
Il tutto (ovviamente) in una lettura che più filologica non si può e con strumenti originali.

Minkowski è stato l'indiscusso trionfatore della serata: purtroppo non è bastato per salvare questa Carmen dalle schifezze di Martin Kusej, un regista assolutamente incapace, divenuto famoso perché ad ogni rappresentazione mette gente che piscia, che fa sesso, che si annusa le ascelle, che sputa sui simboli cristiani; insomma fa la stessa cosa che faceva Zeffirelli con i fondali dipinti, i cavalli in scena e il trovarobato di lusso: lusinga il pubblico. Con la differenza che nel caso di Kusej si tratta di un pubblico di borghesetti ben vestiti ma con prurigini "gauchiste" che esce di teatro dicendo: "ma come è coraggioso questo regista!"
Non vi descrivo la bruttezza e la banalità di questa regia della Carmen; di Kusej e di Bieito (l'altro bluff che ha fatto strada facendo vedere cessi e vulve) ho deciso che non parlerò più. Farei il loro gioco.

Per quanto riguarda il cast, a parte un'ottima Kumheier in Micaela, hanno fallito decisamente sia Schukoff (duro e livido, inadatto al repertorio francese), sia la Brunet, vocione troppo "vecchio stile", tracagnotta, e matura.

Quindi, sì Vittorio: nel complesso una pessima Carmen, ma non per colpa di Minkowski, che è stato l'unico a fare cose eccezionali.

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Messaggioda VGobbi » mar 29 mag 2007, 19:23

MatMarazzi ha scritto:Quindi, sì Vittorio: nel complesso una pessima Carmen, ma non per colpa di Minkowski, che è stato l'unico a fare cose eccezionali.

Discograficamente Minkowski ha lasciato qualcosa che non fosse il repertorio barocco o certo repertorio francese "fin de siecle", tipo Offenbach?

Che ne so, una Carmen, un Faust un Verdi ...
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Marc Minkovski

Messaggioda pbagnoli » mar 29 mag 2007, 21:36

Che io sappia, no; o meglio, non ancora.
Prima o poi potrebbe arrivare; un Don Carlos, per esempio, mi sembrerebbe un obbiettivo ambibile; o un Trouvère; o una Lucia
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Re: Marc Minkovski

Messaggioda beckmesser » lun 24 mag 2010, 17:38

Mi ha sempre convinto moltissimo, ma ora sono conquistato. Nel giro di una settimana mi è capitato di sentirlo due volte, nel Don Quichotte di Massenet a Bruxelles e nell'integrale dei Brandeburghesi di Bach a Bologna. Memorabile in entrambi (e così diversi) casi.

Premetto che il Don Quichotte di Massenet mi è sempre piaciuto pochissimo. In genere mi affascinano i tentativi dei grandi artisti di rifiutare le evoluzioni dei loro tempi e arroccarsi in posizioni di retroguardia: a volte spiegano più cose di effimere rivoluzioni. Ma del vecchio Massenet non avevo mai trovato qualcuno che offrisse una chiave interessante, specie nel Don Quichotte. Poi arriva un teatro serio come la Monnaie che decide di allestirlo per l'addio alle sue scene del suo più illustre cantante (van Dam). Di solito ci si ferma lì, invece a Bruxelles chiamano Pelly (nuovo allestimento) e Minkowski sul podio. Il risultato è fantastico. Van Dam è ormai flebilissimo e non è una delle parti in cui ha dato il meglio, ma la classe non è acqua e l'occasione fa passare in second'ordine qualsiasi considerazione. Lo spettacolo di Pelly è bellissimo. Resto convinto che lui sia uno di quei registi (rari e preziosi come l'oro) che danno il meglio nelle opere a numeri chiusi: ha bisogno di simmetrie architettoniche da smontare e rimontare e di reiterazioni di ritmi su cui scatenarsi, ma non un secondo dell'intera opera (peraltro non molto ricca quanto a drammaturgia) era buttato. Il tutto vissuto come un sogno/incubo di un uomo di lettere, risucchiato nelle sue stesse opere, con pagine di manoscritti che sempre più riempiono la scena fino a saturarla completamente.

E poi Minkowski. Che dire: mai sentito nulla del genere in Massenet. Niente atmosfere ovattate, niente flou sonoro, niente sentimentalismo da buone occasioni. Sonorità definite, ritmi marcati ma elasticissimi, a definire l'opera quasi come una summa di citazioni di 3 secoli di opera francese. Dalla scrittura pseudosettecentesca della scena dei mulini a vento (che solo il più grande interprete gluckiano dei nostri anni poteva rendere così credibile e finta allo stesso tempo, quasi un pastiche magistrale), alle atmosfere bizetiane delle pagine spagnole, al bonario debussysmo del finale, depurato però di tutto il veleno dell'originale. Alla fine, il Don Quichotte di Massenet sembrava un'opera neoclassica sorella del Rake's stavinskyiano: spiazzante ma esaltante...

E poi i brandeburghesi più rigorosi e scatenati, profani, cortigiani che mai mi sia sentito di sentire, dove sotto il tono bonario della presentazione (con Minkowsy padrone di casa che disponeva gli strumentisti e, in un italiano very peculiar, introduceva ciascun concerto) si celava un virtuosismo esecutivo ed una perfezione tecnica (tolte le apprensioni causate dai corni naturali del primo concerto e dal trombino del secondo, che del resto dal vivo è fisiologico cannino almeno il 30% delle note) strabilianti.

Mi veniva da pensare che è curioso, ma ormai le cose più significative sul repertorio ottocentesco le dicono interpreti che escono dalle vecchie scuole filologiche: Gardiner in certo repertorio francese (Berlioz, Bizet), e io aspetto certo Verdi (Don Carlos, Vêpres); Minkowski in altro repertorio francese (Gounod, Massenet, Meyerbeer, Offenbach), e io aspetto Rossini; Harnoncourt in certo repertorio tedesco (Schumann, Schubert), e io aspetto Wagner. Ci sarà un perché...

Saluti,

Beck
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Re: Marc Minkovski

Messaggioda MatMarazzi » lun 24 mag 2010, 20:51

beckmesser ha scritto:Mi veniva da pensare che è curioso, ma ormai le cose più significative sul repertorio ottocentesco le dicono interpreti che escono dalle vecchie scuole filologiche: Gardiner in certo repertorio francese (Berlioz, Bizet), e io aspetto certo Verdi (Don Carlos, Vêpres); Minkowski in altro repertorio francese (Gounod, Massenet, Meyerbeer, Offenbach), e io aspetto Rossini; Harnoncourt in certo repertorio tedesco (Schumann, Schubert), e io aspetto Wagner. Ci sarà un perché...


a parte i complimenti vivissima per la "scelta" e per la trasferta (ma si sa... noi siamo "esterofili", come se fosse colpa nostra che un Don Quichotte Minkowsky-Pelly si faccia a Bruxelles invece che da noi), vorrei inserirmi in quest'ultima osservazione che, nonostante il tuo intento di buttarla lì come interrogativo e provocazione finale, meriterebbe approfondimenti sostanziali.
Gli ingenui e reazionari non hanno ancora capito la vera rivoluzione degli specialisti "barocchi". O forse, nel loro ottuso opporvisi, l'hanno capita troppo bene: magari istintivamente, non razionalmente.
Non si è trattato (e non si tratta) di una frattura nel modo di suonare e di cantare (questo, se mai, è un epifenomeno), ma di una frattura fra due modi di intendere l'opera.
Terrei fuori, in questo, Harnoncourt, che è un grande, ma anche un "finto" rivoluzionario... di quelli che indossano i vestiti dei rivoluzionari, ne adottano gli stilemi, le pratiche, le provocazioni, ma resta nel profondo dell'anima un kappelmeister di altissima tradizione.
I suoi valori, le sue priorità, le sue gerarchie estetiche restano le stesse, seppure cammuffate dalle ampie conoscenze barocche. Il suo Mozart resta il "divino" Mozart; il suo Bach resta l'"assoluto" Bach, il suo Handel resta il "sublime" Handel...
Donizetti? Robaccia... La Gruberova lo aveva supplicato di fare Anna Bolena... Ma per carità: meglio il Pipistrello (con tutto il rispetto per il Pipistrello, intendiamoci). Ma in fondo che un kappelmeister diriga il Pipistrello non è strano...
Il fatto che tu veda un suo eventuale sviluppo in Wagner è significativo! Quella sarebbe stata una vera "idea" per il Ring alla Scala... Io correrei a sentirlo.
Ma saprei benissimo che - con tutte le novità tecniche che introdurrebbe - Harnoncourt vedrebbe in Wagner quella stessa cosa (sublimamente metafisica) che tutti i direttori tedeschi ci vedono.

Gardiner e Minkowsky sono un altro mondo (e anche i loro eredi e continuatori).
Loro infrangono quell'alone di sacralità che infesta la "visione" dei grandi sinfonisti tedeschi: per loro la spaccatura consiste nell'esigenza di ritrovare la "popolarità" del genere, riflettere sui meccanismi teatrali-narrativi antichi e profondi che lo "schiacciasassi" della sacralità aveva livellato.
Per loro riflettere sul barocco significava proprio scardinare piedistalli e sublimazioni, affondare il dito nelle convenzioni, nella forza "di genere" (temuta e odiata dalla cultura precedente); il barocco era solo un "veicolo" per loro, perché si prestava a questa disamina paranoica alle radici del ritmo, del colore, di quel fermento di "vita vera" e di "pulsione popolare" che troppa "seriosità" ha occultato per decenni.
Non trovi strano che uno dei massimi direttori di oggi (un Gardiner) non abbia mai diretto un Wagner, un Brucker, un Mahler?
Lui cerca proprio l'opera in quanto meccanismo di arte popolare, di incastro di canzoni, di elementi anticamente disprezzati perchè "semplici" e ora da riscoprire in quanto infinitamente "complessi".
Gardiner è alla ricerca di questo: con spasmodica intensità (e intuito teatrale-narrativo da vero genio) travolge le opere, le ripensa, ne scatena potenziali occulti, dalle radici talmente antiche e profonde da essere attualissme ancora oggi.

A Giugno mi toccherà andare a Bruxelles per gli Ugonotti sempre diretti da Minkowsky (per inciso con Cutler e la Delunsch.... i miei sogni che si avverano).
Anche in quel caso mi beccherò dell'esterofilo...

Un salutone,
Matteo
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Re: Marc Minkovski

Messaggioda Triboulet » gio 24 mag 2012, 6:14

Proseguo qui la discussione perchè ha senso con i post precedenti. Leggevo l'ultimo articolo del Bagnoli sui Maestri cantori... si ok, di Wagner non so praticamente nulla, ma mi piace ugualmente leggere :D mi ha colpito la proposta di Pietro di un Gardiner come possibile rivoluzionario della direzione wagneriana, e mi è tornato in mente quello che diceva Mat a proposito di Harnoncourt che, non lo nego, è uno dei miei direttori preferiti in assoluto, specie fuori dal barocco. Condivido in qualche modo l'analisi ma non riesco a condividerne le conclusioni. Che Harnoncourt sia un finto rivoluzionario non lo credo affatto. Che abbia una visione "controcorrente" rispetto alle tendenze attuali è palese, ma io credo sia controcorrente pure rispetto alle tendenze cui lui stesso fa riferimento, perchè la sua analisi parte da altri presupposti. Prendiamo il suo Mozart (e anticipo pure un po' di discorsi che butterò giù parlando del requiem). Il Mozart di Harno è un Mozart psicologico, introspettivo, cinico e a tratti catastrofico, di una umanità sconvolgente... e certo che lui utilizza tutti gli strumenti della filologia che ha a disposizione, ma del resto cos'è la filologia se non una serie di strumenti nuovi per arrivare ad un messaggio personale? Harno va contro il Mozart "rock" (sconvolgente e bellissimo) di Jacobs, contro il Mozart "di provincia" (in senso positivo e genuinamente quello sì da maestro di cappella) di Gardiner, ma pure contro l'infuocato romanticismo di Walter, il rigore trasparente e compassato di Klemperer (bellissimo e piedistallosissimo), l'affascinantissima visionarietà proto-wagneriana del Furt e l'apollinea perfezione della forma di Bohm. Quali di questi direttori faceva parlare Mozart in maniera così "umana"?! io penso proprio che, invece, Harno si serva del piedistallo per demolirlo dall'interno, o dovrei dire da sopra! Il contrasto, la ricchezza evocativa, le allusioni della musica mozartiana vengono a galla laddove, nei nomi citati, erano ricoperte - lì sì - da visioni estetizzanti preconcette, che partivano da fuori. Certo, le visioni estreme non sono mai complete, neanche Jacobs o Minkowski (che fanno apparire Gardiner un simpatico concertatore di paese) riescono a decifrare tutto il linguaggio dei compositori che affrontano. Interpretano maggiormente i nostri tempi? interpretano un aspetto dei nostri tempi, e un aspetto di quella musica. Il Mozart di Jacobs è un pugno nello stomaco, perchè è come se lo suonassero i Genesis, è un Mozart libero ed eccessivo, POP! come era Mozart (non "popolano" alla Gardiner), ma Mozart era solo quello? E soprattutto, in termini filologici, quanta verità in più c'è in Jacobs o in Minkowski o in Rousset? Azzardo una iperbole, l'unico vero filologo che conosco è Hogwood, ovvero l'unico direttore che parte dalla ricerca del suono, della prassi, e costruisce SU quella il suo risultato. Hogwood è spesso considerato "piatto", lo è, perchè lascia all'effetto "storico" esprimere un risultato. In questo è un genio. Norrington invece è il visionario. Studia l' "intorno", il contesto storico, la vita, si inventa delle visione, lavora "a programma", per arrivare ad una visione realistica non del suono dell'epoca (Hogwood), ma dello spirito dell'epoca! Harnoncourt parte invece da un discorso intorno all'uomo, e sviluppa quella rete di effetti, contrasti, perfino idiosincrasie per descriverne lo spirito, dell'uomo! Questo quel che penso della prima generazione, e credo che Harno sia quello che oggi tenga meglio botta di tutti, semplicemente perchè il suo discorso è, se non più alla moda, ancora attualissimo.
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