Herbert von Karajan

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Re: Herbert von Karajan

Messaggioda MatMarazzi » mer 01 set 2010, 4:48

Umpf... Tuc. Che confusione! Che pasticci....
Ho persino temuto di essermi spiegato malissimo... tanto che sono andato a rileggere i miei post precedenti e a cercarvi le ragioni che possono averti mosso ad attribuire a me concetti che mai avevo né scritto, nè pensato.
Ho letto e riletto, ma alla fine... mi spiace... no. Io mi ero espresso molto chiaramente. : Andry :
Col tuo permesso, vorrei mettere un po' le cose a posto.


Tucidide ha scritto:E' senz'altro vero che fra la seconda metà degli anni '60 e i primi anni '80 la stragrande maggioranza delle incisioni discografiche fu appannaggio di pochi artisti. Di questo, verissimo, non ci si può che rammaricare. Artisti di grande levatura, come alcuni (non tutti, secondo me) che citi, meritavano una considerazione maggiore rispetto a quella avuta, specialmente per un certo genere di repertorio.


Già questa premessa (che vorrebbe essere un riassunto del mio pensiero!!) dimostra quanto non hai capito quel che avevo cercato di dire.
Se c'è qualcosa che io non ho mai pensato, mai detto, mai scritto sono le geremiadi sulla cattiveria delle case discografiche.

Ho sempre dichiarato, da anni e anni, che il mercato discografico ha altre regole rispetto al teatro, che lo studio di incisione è qualcosa da valutarsi non come "specchio ideale" del teatro ma come espressione di una forma d'interpretazione alternativa, che per il microfono occorre sviluppare tecniche di emissione acconcie, che quella dei discografici "brutti e cattivi" è una favola...
Ho scritto queste cose in decine di thread... e proprio tu, che spesso le hai ripetute quasi testualmente, ora mi metti in bocca un moralismo di segno opposto?
Che ci si deve rammaricare... che gli artisti non erano compresi...
MA QUANDO MAI????

Le case discografiche "devono" selezionare gli artisti!
Per forza! Sono obbligate! E' normale, è giusto, è ovvio! Ed è persino positivo!
esse sono costrette a investire su un limitato numero di artisti: su tutti non sarebbe possibile.
Prima di tutto la formula dei contratti in esclusiva era una "necessità", per risparmiare sui cachet dei cantanti (che l'esclusiva riduceva sensibilmente).
Solo grazie ad essi, la DECCA non era costretta a sborsare capitali ogni volta che Pavarotti o la Sutherland sbadigliavano.
Le esclusive d'altronde costringono le case discografiche a investire nella promozione dei loro artisti, nella pubblicità.
E questo è un altro fatto ultra-positivo perché consente ai teatri di fare gli esauriti (grazie ai divi canori) pur non avendo speso una lira per promuoverli.

Ciò che ho lamentato (puoi verificarlo sui miei post) non è il fatto che vi fosse un'aspra selezione negli studi degli anni '70, ma che (almeno per il grande repertorio) la selezione fosse fatta in modo da "accontentare" il pubblico e le sue abitudini... più che da accontentare Verdi o Puccini.
Non ho "lamentato" il fatto che negli anni della crisi non si chiamasse Waechter in Boccanegra al posto di Cappuccilli...
Probabilmente se fossi stato un discografico nemmeno io l'avrei fatto.
Ho solo CONSTATATO che in quegli anni si preferiva appunto andare sul "sicuro" con interpreti anche più modesti (purché rassicuranti e prevedibili) pur di non rischiare di irritare il rado, vecchio e stanco pubblico sopravvissuto alla crisi...

Artisti di grande levatura, come alcuni (non tutti, secondo me) che citi, meritavano una considerazione maggiore rispetto a quella avuta, specialmente per un certo genere di repertorio.


Se tu queste cose le scrivessi come "tuo" punto di vista, mi andrebbe benissimo...
Ma visto che le metti in bocca a me, mi costringi a fermarti.
Io le banalità tetre e depressive sui poveri artisti esclusi dal mercato discografico non le ho mai condivise.
Tanto più che gli artisti che avevo citato (l'ho fatto apposta) hanno tutti goduto di grandissima considerazione. Inoltre erano assidui frequentatori delle case discografiche, spesso protagonisti di operazioni clamorose, in testa alle vendite, ...alcuni di loro addirittura proprio con Karajan.

MA.... non in Verdi, Puccini e il grande repertorio.
Lì c'era spazio solo per i soliti noti.

Tra l'altro avevo anche specificato che l'onnipresenza dei soliti noti (negli anni della crisi) non era dovuta alla "cattiveria" delle case discografiche.
Non ci credo io a questi buonismi puerili bloggari e loggionari.
L'HO PROPRIO SCRITTO, TUC!

Se si interpellavano ossessivamente i Dominghi e le Caballé, i Bruson e le Freni non era solo per i contratti firmati, ma anche perchè il pubblico era già abituato a loro: non avrebbe dovuto fare lo sforzo di porsi di fronte a suoni nuovi e inattesi.


Il potere delle case discografiche non era la "causa", ma lo specchio della crisi in atto.

Ma andiamo pure avanti.
Dopo che hai così efficacemente sintetizzato e riassunto (!!!!!) il "mio" (!!!!) pensiero, arrivano le contestazioni.
:D :D :D :D :D :D :D :D :D :D :D :D

Però, non condivido ... la demolizione di un certo tipo di fare opera, e conseguentemente degli artisti che l'hanno incarnato, seppure in modo diversissimo fra loro. Mi pare un po' superficiale mettere nello stesso calderone baritoni dissimilissimi come Bruson, teso in acuto, morbido nell'emissione, nobile e legatissimo, dalla voce non grande, e Cappuccilli, baritonaccio (in senso positivo) dalla voce gagliarda ed enorme, dall'emissione un po' rozza ma efficacissima ed esaltante in acuto.


Gli argomenti che metti in campo, in realtà, sono due e ben diversi fra loro
Da un lato non condividi la mia "messa in discussione" del modo di cantare e interpretare Verdi negli anni '70; quindi mi accusi di mescolare in un unico "calderone" (?) i grandi divi di allora, come Bruson e Cappuccilli....

Be', Tuc... Ti ringrazio di averci così dottamente rivelato le abissali differenze fra Bruson e CAppuccilli! :)
Davvero, ti ringrazio...
Però vedi... io lo so bene che Bruson era più corto di Cappuccilli... e so che era più "belcantista".
Forse perché, sai, li sentivo entrambi a teatro pressapoco quando tu venivi alla luce! :)

Ma forse non hai capito bene in che cosa io li avevo unificati (loro, con la Freni, la Ricciarelli, la Cossotto, i Ghiaurov, i Raimondi, ecc....)
Non per la tecnica, nè per le caratteristiche vocali ...
Allora per cosa?
Tu dici (quasi sprezzantemente) "popolarità".
E in certo senso ti avvicini di più... Ma non ci sei ancora...

La verità è che io li avevo unificati - come si evinceva benissimo dal mio post - per la comune investitura a "unici interpreti del grande repertorio italiano".

Era questo il comun denominatore su cui puntavo il dito: il fatto che tutti loro erano stati attentamente selezionati dai discografici (e quindi dai teatri del grande Slam) proprio per il loro essere in linea con quanto si attendeva il pubblico della crisi (sempre più recalcitrante a comprare dischi).
Proprio Bruson e Cappuccilli rappresentavano in questo senso la stessa cosa: il primo era il tradizionale "gran seigneurs", l'altro il tradizionale "vilain".
Ad unificarli era quindi qualcosa di molto più importante del suono: era il confortevole conformismo che andavano a vellicare.
Idem per Pavarotti e Domingo (o Carreras). Idem per Raimondi e Cappuccilli, o per Freni e Cossotto.
Sia pure nelle loro differenze (che ti ringrazio ancora di averci dottamente illustrato), tutti loro erano lo stretto da cui si doveva passare per ascoltare Verdi, Puccini nel ventennio di cui ci stiamo occupando.
Perché?
Perchè erano geni? no...
perchè erano unici? no....
perché dominavano più di chiunque altro la tecnica e lo stile giusti per questi ruoli? nemmeno....
Solo perché era stati individuati come cantanti idonei a un mercato ormai talmente ridotto e malato da non autorizzare sperimentazioni e rischi di sorta.

Era questo che cercavo di comunicare a Triboulet.
In un contesto simile, i cast di Karajan - che oggi a lui appaiono addirittura conservatori e banali - erano una boccata di ossigeno "sperimentale" e, proprio per questo, un vespaio di polemiche furibonde.

Ma veniamo all'altro punto della tua critica.
La "messa in discussione" degli artisti di quegli anni (che mi rimproveri) in realtà non viene solo da me, ma praticamente da tutti coloro che sono intervenuti nel thread. Per inciso, era condivisa all'epoca anche dal più volte citato Rodolfo Celletti.
Se vuoi possiamo riaprire il thread sugli anni 70 e io ti spiegherò dettagliatamente perché considero Domingo un modesto Ernani, la Freni una modesta Elvira, Bruson un modesto Carlo e Ghiaurov un modesto Silva. E già con loro quattro avremo praticamente coperto due terzi di quei famosi vent'anni di discografia verdiana.

A proposito di Celletti...
Scusa se ti parlo apertamente, ma mi fai proprio sorridere quando tenti (molto confusamente, peraltro, e ti dimostrerò perché) di cogliermi in fallo... dicendo:
"ah... ma questo lo diceva anche Celletti!! Ti ho fregato!!!"

Se vuoi saperlo, sono ben altre le affinità fra le mie idee e ciò che ha scritto Celletti . E questo non inficia per niente la coerenza delle mie idee.
Anzi, dimostra solo che non sono schiavo di manicheismi e partigianerie grossolane.
Sono capace di dar ragione a Celletti, pur contestandolo su altri fronti.
Di cose giuste e importanti ne ha dette tantissime anche lui: non vedo ragione di contestarlo per partito preso.
Essere liberi pensatori (o in questo caso ascoltatori) significa anche saper discernere - in perfetta coerenza con le nostre idee - fra ciò che ci pare giusto e ciò che ci pare sbagliato, senza annullarsi in posizioni preconcette o affermare assurdità, magari contraddirsi, pur di dare ragione o torto a qualcuno.
Pensare di "smascherarmi" con la tua superiore arguzia, perché hai creduto di scorgere qualche affinità tra il mio pensiero e quello di Celletti è un po' (come dire?) una bambinata! :)

Specie se, come in questo caso, incappi per giunta in uno di quei casi in cui io e Celletti la pensiamo in modo non solo diverso, ma opposto! :)
E allora non solo sei costretto a inventarti quel che scrivo io, ma anche a inventarti quel che scriveva Celletti. :D :D :D :D :D :D :D


Poi, mi pare tu sottintenda che costoro erano piccoli artisti, rispetto ad altri che, poverini, non erano tenuti in considerazione dai discografici brutti, sporchi e cattivi. E qui... Etti etti, sento odore di Celletti.
E difatti, ecco il secondo punto: una frase come questa è presa pari pari dai deliri dello Zio...
MatMarazzi ha scritto:Una delle poche strade per tenere viva l'opera era quella di costruire (ovviamente a tavolino) miti mediatici e imporli. A noi oggi i Pavarotti e i Domingo, le Cossotto e le Freni (non parliamo di Ricciarelli o Carreras) fanno un po' alzare il sopracciglio... "ma come? tutto qui?". Ma all'epoca i loro "miti" artefatti e costruiti a tavolino da agenti e case discografiche furono un efficace argine contro la completa dissoluzione del genere.


Ci manca la taccia di "cioccolatai" e siamo a posto!


Ma come sei furbo, tu... :)
Tu si che mi svergogni... :)
E tuttavia che la tua buonafede sia fuori discussione lo dimostra l'ingenuità con cui mi hai citato!
Se fossi stato un po' più smaliziato, infatti, avresti avuto l'accortezza di cancellare la seconda parte della mia frase, quella che qui ti evidenzio in grassetto...

MatMarazzi ha scritto: Ma all'epoca i "miti" artefatti e costruiti a tavolino da agenti e case discografiche furono un efficace argine contro la completa dissoluzione del genere.


attribuire all'eredità cellettiana una considerazione del genere non fa solo sorridere me; farebbe anche inorridire i veri cellettiani.
Ma tu sei davvero convinto (ma proprio davvero davvero) che Celletti avrebbe sottoscritto che "i miti artefatti e costruiti a tavolino da agenti e case discografiche furono un efficace argine contro la completa dissoluzione del genere?"
Per lui proprio le politiche di marketing di agenti e discografici erano l'origine di tutti i mali; altro che "argine".
Se tu conoscessi meglio Celletti, sapresti che mi avrebbe mandato al rogo per molto meno...

Comunque che le case discografiche riuscissero a imporre (negli anni 65-85) i loro artisti, non è una scoperta di Celletti.
E' una verità nota a tutti.
Nè io, come dicevo prima, sono tipo da negare la realtà storica solo perché ...Celletti va contraddetto a prescindere.
In questo caso diceva la verità: le case discografiche erano potentissime in quegli anni; il problema è che Celletti non arrivava a capire il "perché" fossero così potenti.
La loro potenza non era la "causa" della crisi, ma la conseguenza.
Le case discografiche si trovarono a ...fare le veci di teatri in dissoluzione! Proprio a causa della crisi, si trovarono investite di responsabilità nuove, le uniche in grado di maneggiare denaro che da altre fonti cominciava a scarseggiare.
Affrontare quelle responsabilità (ad esempio, creando "miti a tavolino") non era solo un modo per loro di sopravvivere, ma indirettamente per aiutare tutto il mondo dell'opera a sopravvivere.
Le presenze a teatro scendevano, le nuove generazioni disprezzavano l'opera... eppure il nome di Pavarotti e di Domingo erano noti nei cinque continenti.
Se c'era la possibilità di fare un esaurito a teatro era solo quando si muovevano i prodotti delle case discografiche.
Come vedi, più lontano da Celletti non potrei essere!

(per inciso, mi spieghi da dove ricavi l'equazione fra "costruire carriere a tavolino" - cosa che effettivamente ho scritto - e "essere brutti e cattivi" o addirittura "cioccolatai" - che invece hai scritto tu, salvo, more solito, attribuirlo poi a me?
Evidentemente l'equazione - e relativa banalizzazione - era già nella tua testa, nel tuo - NON MIO - debito inconscio al moralismo cellettiano e loggionistico.
E questo debito me lo confermi quando parli di Tosche "finte" a proposito della Freni, solo perché non cantò mai la parte a teatro!
Io, ad esempio, che da moralismi cellettiani sono immune, ti risponderei che la Tosca della Freni - in quanto oggetto discografico - esiste, è arte, e va valutata per il tipo di prodotto artistico che è!
Il fatto che lei abbia o non abbia fatto Tosca a teatro non toglie nè aggiunge nulla a ciò che ne ricaviamo noi ascoltandola!
Proprio come l'Ariadne della Schwarzkopf, la Bohème della Callas, la Turandot della Sutherland, l'Elektra della Rysanek o il Così fan tutte di Karajan.
Come vedi sei tu che ti porti dietro queste equazioni e semplificazioni; anzi, sono talmente radicate in te che ti viene spontaneo, senza alcuna malafede, le applichi anche al pensiero degli altri! Per forza poi travisi e pasticci come in questo post!
Devi starci attento, Tuc...)

Spero che ora tu sia in grado di capire i nessi logici del mio discorso...
1) io approvo che le case discografiche alimentino miti per tenere viva l'Opera anche in epoche di crisi. Per fortuna che lo fanno!
2) data la crisi, comprendo anche la scelta di trasformare in miti, almeno nel grande repertorio, cantanti più rassicuranti e prevedibili che fantasiosi.
3) con tali premesse, devo però constatare - se vuoi con amarezza - che il grande repertorio in quegli anni risultasse ...molto prevedibile e poco fantasioso.
A me sembra molto semplice...


Lasciarli fuori dalle sale di registrazione, come tu avresti fatto, sarebbe stato illogico. Lo so che il tuo sogno proibito sarebbe stato vedere Winbergh :shock: onnipresente in tutte le grandi incisioni Decca, e Pavarotti relegato a fare il comprimario... :D Peccato che Pavarotti fosse una stella, e non perché ci fossero sinarchie occulte, la Bilderberg dell'Opera coalizzata a suo favore contro il povero Gosta.


Più vado avanti a leggere il tuo post, più resto allibito...
Tanto allibito che qui, per la prima volta, non riesco nemmeno a mettere una faccina sorridente.
Una cosa è affermare, in mezzo ad altri esempi, che Wimbergh sarebbe stato un buon Ernani (sicuramente migliore di Domingo e se vuoi ti spiego perché).
Tutt'altra cosa è dichiarare che avrei voluto Wimbergh onnipresente e Pavarotti relegato a fare il comprimario.
Anzi ...non solo è tutt'altra cosa: è proprio una cazzata che non avrei mai scritto e mi dà un certo fastidio che tu mi attribuisca, sia pure con faccine scherzose.
Idem per l'ancora più grossa cazzata sulle "sinarchie" occulte contro Wimbergh.
Per inciso, io capisco che tu sei ancora "fresco" come appassionato d'opera ed è normale che tu conosca poco Wimbergh, la sua splendida carriera nei maggiori teatri del mondo - compreso un 7 dicembre, che per un cantante non italiano è una bella conquista - e la sua assiduità in sala di incisione...
Ma proprio perché io queste cose, a differenza tua, le so, ancora meno avrei potuto scrivere una roba simile.
Vorrei, davvero Tuc, che per il futuro facessi un po' più attenzione (quando replichi alle affermazioni di qualcuno) di riportare con precisione ciò che egli ha scritto. Inventarsi cazzate e poi metterle in bocca all'interlocutore non porta alcun serio contributo al dibattito, semmai lo abbassa.


Questo non toglie che si sarebbe dovuto osare di più. Certo! Le volte che qualcuno ha osato, spesso è venuto fuori qualcosa di bello. Per esempio, chi affidò Konstanze alla Eda Pierre nell'incisione Philips ha avuto naso: è una delle migliori Konstanze che si ricordino.


Ecco... qui, se mi permetti, temo che si ripiombi nelle banalità bloggare-loggionistiche. :)
Osare di più! Ma con che soldi? con i tuoi?
Le case discografiche rischiavano capitali sui loro divi e facevano benissimo a investire su di loro.
Poi che i risultati appaiano oggi - a crisi finita - oggettivamente modesti è un altro discorso.

Quanto alla Eda Pierre... ma cosa mi dici?
"Una delle migliori Kostanze che si ricordino"?
Mamma mia... Forse non hai presente cosa era la Eda Pierre nei suoi veri grandi ruoli....
E comunque mi pare un po' grossa il citare quel Ratto dal Serraglio come prova di chissà quale "naso" da parte della Philips.
La Eda Pierre era da anni sotto contratto di esclusiva con la Philips! Aveva già inciso tutto il ciclo Berlioz (e guarda caso proprio con Colin Davis)!
Inoltre aveva già cantato Kostanze dappertutto, addirittura al Met!
Capirai il naso...

Infine, che c'entra Mozart?
L'onnipresenza dei soliti noti era stata denunciata nel "grande repertorio italiano" (quello di cui si parlava in riferimento a Karajan).
Mozart non c'entra nulla...
Anche Wimbergh, la Varady, Wachter, la Price incidevano moltissimo e in occasioni da storia del disco! Il punto era che non li si chiamava in Verdi e Puccini!

Su Karajan: secondo me, la sua rivoluzione maggiore non è tanto nel repertorio italiano quanto in quello tedesco. Usare calibri vocali più ridotti per Dedemona e Tosca, per Aida ed Elisabetta non è stata un'idea di Karajan. In Wagner, invece, certe scelte di distribuzione sono semplicemente geniali, e davvero rivoluzionarie.


Ecco Tuc.
Questa è, a mio parere, la più grande falsificazione storica e banalizzazione che si potesse scrivere.
Già in altre sedi si è ampiamente dimostrato che proprio in Wagner e nel repertorio tedesco Karajan mancò di originalità, dove anzi fu terribilmente debitore dell'estetica della Neue Bayreuth. Nei suoi cast, non c'è nulla che non si fosse praticamente già visto... e comunque niente di paragonabile a una Baltsa in Amneris o una Ricciarelli in Turandot.
Se vuoi possiamo riaprire (per l'ennesima volta) l'argomento e discuterne un po'...
Ma per ora posso anche non dilungarmi in merito, non solo perchè il post è già molto lungo, ma anche perché almeno... di quest'ultima "invenzione" ti sei assunto la paternità, senza attribuirla a me! :)

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Re: Herbert von Karajan

Messaggioda beckmesser » mer 01 set 2010, 12:40

Per evitare il rischio di ulteriori fraintendimenti (possibili data la complessità del tema e delle tesi…) mi concentro solo due aspetti, su cui non mi trovo molto d’accordo (ameno che, appunto, non abbia frainteso anche questi :D ).

MatMarazzi ha scritto:Spero che ora tu sia in grado di capire i nessi logici del mio discorso...
1) io approvo che le case discografiche alimentino miti per tenere viva l'Opera anche in epoche di crisi. Per fortuna che lo fanno!
2) data la crisi, comprendo anche la scelta di trasformare in miti, almeno nel grande repertorio, cantanti più rassicuranti e prevedibili che fantasiosi.
3) con tali premesse, devo però constatare - se vuoi con amarezza - che il grande repertorio in quegli anni risultasse ...molto prevedibile e poco fantasioso.
A me sembra molto semplice...


Si tratta di una descrizione corretta dell’azione delle case discografiche, ma perché ritenerla tipica degli anni 60-70? A me sembra sia quello che hanno sempre fatto (e che sono chiamate a fare…), in quel periodo come negli anni 50 o 90 o 2000. Non è che negli anni 50 si osasse poi molto di più: la EMI con la Callas andava coi piedi di piombo (ok persino Bohème, ma non certo Lady, Bolena, Poliuto); la DECCA piazzava la Tebaldi e Del Monaco ovunque. Tutto sommato, mi sembra molto più coraggiosa la EMI che faceva incidere i grandi ruoli verdiani alla Freni (ok, su spinta/imposizione di Karajan), piuttosto che quella precedente. E anche ai giorni d’oggi non è cambiato molto, mi sembra… Le case discografiche non hanno mai avuto (ne possono avere) il ruolo di apripista, per il preciso motivo che hai indicato: fallirebbero, dato che il rischio di prendere cantonate è troppo alto… Si possono permettere qualche tentativo ogni tanto, così come una casa cinematografica può permettersi 1 Visconti ogni 50 Franco e Ciccio…

MatMarazzi ha scritto:Se si interpellavano ossessivamente i Dominghi e le Caballé, i Bruson e le Freni non era solo per i contratti firmati, ma anche perchè il pubblico era già abituato a loro: non avrebbe dovuto fare lo sforzo di porsi di fronte a suoni nuovi e inattesi


Qui proprio non sono d’accordo, e su due punti:

1) passi per Domingo e Caballé, ma dire che Bruson e la Freni venivano proposti “ossessivamente” mi sembra un filo esagerato. I ruoli verdiani incisi ufficialmente da Bruson sono una manciata: a memoria, niente Nabucco, Foscari, Simone, Posa, Jago, Monforte; e anche quelli che ha inciso, erano quasi sempre il risultato di “pacchetti completi” provenienti da spettacoli teatrali (Miller, Falstaff, …); non riesco proprio a vederlo come un “mito” creato o sostenuto dalla discografia (sui quali, si badi, non ho nulla in contrario), e questo anche per le ragioni accennate al punto successivo; la stessa Freni, i grandi ruoli verdiani li ha incisi perché aveva Karajan dietro e le incisioni erano le “prove generali” degli spettacoli, ma se guardiamo alle incisioni ufficiali degli anni 60 e 70, i suoi numeri sono ben poca roba…;

2) qui torno ahimè a ripetere cose già dette altrove parlando di Bergonzi, ma io sono profondamente convinto che nei loro anni i suoni di Bergonzi, di Bruson e della Freni erano “nuovi e inattesi”. Il fatto che dopo siano stati beatificati come Vangelo del corretto canto verdiano (e forse ci abbiano creduto pure loro) è altro discorso, ma ai loro tempi non erano pacificamente accettati… I tardi ruoli verdiani della Freni erano discussi e (in Italia) fischiati… Bruson ci mise tantissimo a farsi accettare, tanto che cominciò a incidere (quel poco) in una fase tarda della sua carriera: se si leggono le recensioni o si parla con appassionati dell’epoca, i termini sono sempre gli stessi (voce corta, piccola, niente acuti, con Verdi non va…). Fra Cappuccilli e Bruson c’è un abisso: non credo sia solo questione di vilain contro grand seigneur… Bruson faceva in campo baritonale quanto Bergonzi aveva fatto in chiave tenorile e la Sutherland in quella del soprano belcantista: nel voler recuperare una tecnica che negli anni 50 era stata in parte “inquinata” (Callas, in modo positivo, ovviamente) o accantonata (Di Stefano, Del Monaco, Gobbi), ne assolutizzarono ed esasperarono le caratteristiche, fino a sfociare più tardi in uno stanco manierismo. Ma ciò non toglie che, alle origini, la loro proposta fu nuova ed originale. Cappuccilli era altra cosa: continuava (ammesso che avesse in testa una linea precisa) a cantare come facevano i baritoni anni 50…

Spero di non aver frainteso troppo…

Saluti,

Beck
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Re: Herbert von Karajan

Messaggioda MatMarazzi » mer 01 set 2010, 15:07

beckmesser ha scritto:perché ritenerla tipica degli anni 60-70? A me sembra sia quello che hanno sempre fatto (e che sono chiamate a fare…), in quel periodo come negli anni 50 o 90 o 2000. Non è che negli anni 50 si osasse poi molto di più: la EMI con la Callas andava coi piedi di piombo (ok persino Bohème, ma non certo Lady, Bolena, Poliuto); la DECCA piazzava la Tebaldi e Del Monaco ovunque.


Assodato che le case discografiche hanno da fare i conti con platee molto più vaste (e dunque) più rischiose di quelle di un teatro d'opera... e assodato che i soldi che vi vengono investiti sono "privati" (a differenza delle istituzioni pubbliche, che rischiano solo i soldi altrui), io credo che negli anni '50 ci fosse da parte delle case discografiche una consapevolezza artistica molto maggiore.
Se Legge avesse avuto la stessa ossessione di "conformismo" che rivelarono i sui colleghi di 20-30 anni dopo, proprio sulla Callas non avrebbe così radicalmente scommesso. La Callas era la negazione vivente di tutti i valori vocali precedenti: c'era chi trovava la sua voce brutta, diversa, sgradevole, ancora oggi c'è qualche scemotto che scrive che era una voce nasale, innaturata, franta in registri diversi.
Andare a sottoscrivere un contratto con lei nel 53, quando per inciso la Callas era ancora estranea al mercato americano e tutto sommato non ancora mitica, fu un azzardo: con tutte le belle voci carine e rassicuranti che c'erano in quegli anni, Legge si è andato a impelagare con una "vociaccia" ben sapendo che poi avrebbe dovuto affidarle la totalità del grande repertorio, da mettere - per la prima volta - sul neonato vinile.
Ok... Avrà capito che era una vociaccia di genio! Ma il punto non è questo (lo avremmo capito anche noi!)... Il punto è che osò la sua carta, nonostante i rischi che questo significava.
Anche scommettere su Di Stefano e Gobbi non era così scontato: entrambi erano molto popolari e amati, ma le stranezze delle loro sonorità aperte ed eterodosse le sentiva anche lui; anzi si sentivano certo di più nel 53 che oggi (dato che molte di quelle stranezze sono nel frattempo diventate scuola).
Vogliamo parlare dell'audacia di queste scelto col mettere Domingo, Pavarotti e Carreras praticamente in ogni opera italiana e francese lungo un asse di trent'anni?

dire che Bruson e la Freni venivano proposti “ossessivamente” mi sembra un filo esagerato.


Dici? :)
Bruson ha inciso, solo per restare a Verdi, La Traviata (EMI), Rigoletto (Sony e Philips), Macbeth (Philips), Forza del Destino (DDG), FAlstaff (DG), Ballo in Maschera (DG), Alzira (Philips), Luisa Miller (DG), Ernani (EMI) e, fuori da Verdi, ha inciso Tosca. Sansone e Dalila, Manon Lescaut, il Segreto di Susanna, Cavalleria Rusticana, Lucia di Lammermoor, L'isola disabitata, il Cristoforo Colombo, Don Pasquale.... e altri titoli che ora non ricordo.
Ma cosa volevi facesse di più? Ok, certo, poteva incidere altri cento ruoli... per carità... ma a fronte di centinaia di baritoni che non incidevano nulla, quella di Bruson rientrava fra le tipiche "onnipresenze" di quegli anni...
Lamentare una scarsa rappresentatività discografica di Bruson mi pare davvero esagerato.
Cappuccilli e Milnes avranno pure inciso più di lui, ma lui ha comunque inciso il repertorio verdiano più di qualsiasi altro baritono allora in circolazione.
Idem sulla Freni...

Francamente non trovo concepibile si la si possa considerare una che è vissuta ai margini della discografia o come tu dici

se guardiamo alle incisioni ufficiali degli anni 60 e 70, i suoi numeri sono ben poca roba…;


Se la Freni è una che ha inciso poco, allora non so più cosa dire.
Sì è vero... se per noi "incidere molto" vuol dire fare mille opere intere e seicento recital, allora avrà pure inciso poco (a parte che allora non saprei dire che è che incide molto).
Però se andassimo a chiedere, che so, a una Gencer, una Jurinac, una Varnay, una Soderstroem, una Jones... e a qualsiasi altra cantante del secondo Novecento... "ma secondo te la Freni, con le sue quaranta opere intere distribuite da etichette ufficiali, è una che ha inciso poco?" come minimo ci sputano in faccia! :)
Vorrei aggiungere, sempre che non ti abbia frainteso io, :) che non credo abbia rilevanza il fatto che certe incisioni ufficiali fossero connesse a rappresentazioni teatrali (l'Otello con la Freni, il Falstaff con Bruson).
Anche perchè in quegli anni erano i teatri (e dunque le rappresentazioni teatrali) ad essere condizionati agli interessi delle case discografiche.
Erano i teatri a fungere da "prova generale" per i dischi e soprattutto, senza il consenso delle case discografiche, un certo cast non sarebbe stato così e così.

2) io sono profondamente convinto che nei loro anni i suoni di Bergonzi, di Bruson e della Freni erano “nuovi e inattesi”.
[/quote]

Sai Beck, qui non è questione di "convinzione"; qui è questione di confronto fra il prima e il dopo.
Le registrazioni ci permettono agevolmente di misurare la portata di novità insita in un cantante e nei suoni che produce.
Con la Callas bastano un paio di ascolti per capire la distanza fra il suo canto e quello a lei coevo o precedente.
Idem se ascolti Fischer Dieskau e i baritoni precedenti (o coevi).
Idem se senti Vickers in Verdi (ma, oggi, anche il tuo Keenlyside in Wozzeck o Posa: è certo una rivoluzione).

E se qualcuno avesse chiamato in Verdi gli artisti che suggerivo io (Wimbergh in Ernani, Margareth Price in Aroldo, la Eda Pierre nella Contarini, Hagegard nel Conte di Luna), la novità si sarebbe sentita eccome, specie negli anni '80.

Con Bruson e la Freni farei proprio tanta fatica a tentare lo stesso esperimento... e non credo proprio che arriverei a concludere che potessero davvero risultare "inattesi e nuovi" rispetto alla tradizione che li precedeva. :)
poi i loggionisti potevano anche scannarsi su un sol più facile o meno facile (è ciò che amano fare) e non di meno Bruson rappresentava per loro, fin dagli anni 70, un meraviglioso paio di pantofole vecchie.
I tuoi concittadini al regio potevano applaudire o contestare Bruson per quella o quell'altra nota.
Ma come avrebbero reagito al Rigoletto di Fischer Dieskau? Ecco, quello era uno "nuovo e inatteso".

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Re: Herbert von Karajan

Messaggioda Riccardo » mer 01 set 2010, 18:56

Ho seguito con molto interesse questo dibattito.
Timidamente chiedo:
MatMarazzi ha scritto:E se qualcuno avesse chiamato in Verdi gli artisti che suggerivo io (Wimbergh in Ernani, Margareth Price in Aroldo, la Eda Pierre nella Contarini, Hagegard nel Conte di Luna), la novità si sarebbe sentita eccome, specie negli anni '80.

Rispetto a quali cantanti della precedente tradizione invece ritieni che la Freni e Bruson non si distanziassero granché?

E in che modo si concilia questo con la tesi, che condivido, secondo cui Karajan avrebbe innovato il modo di cantare l'opera italiana (con la Freni che capeggia i suoi dischi di Aida e Don Carlo)?

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Re: Herbert von Karajan

Messaggioda MatMarazzi » mer 01 set 2010, 19:42

Riccardo ha scritto:Timidamente chiedo:
Rispetto a quali cantanti della precedente tradizione invece ritieni che la Freni e Bruson non si distanziassero granché?


Timidamente rispondo! :)
Forse non c'è bisogno di fare nomi. E' a tutta la tradizione "sonora" che la Freni si è abbarbicata.
Non c'è mai stato in lei un solo, unico suono che non fosse perfettamente attinente a quell'insieme dei canoni che la tradizione vocalistica novecentesca ha fissato.
proprio questa ossequienza ai canoni (che in altre parole possiamo chiamare, senza alcun intento polemico, "prevedibilità") è la ragione stessa del suo successo e dell'amore che tanti le portano.

Lo stesso Bruson si è ricavato un ampio spazio fin dai primi anni 70... non tanto per la bellezza del timbro, quanto per l'aver dato fin da subito l'illusione di recuperare certi velluti e modi aristocratici da belcantista d'altri tempi.
Nulla di strano, dunque, nella convivenza di Bruson e Cappuccilli: l'uno e l'altro non hanno mai proposto suoni che risultassero (per il pubblico dei loro anni) davvero sorprendenti, che aggiungessero qualcosa o sfidassero gli orizzonti di attesa.

E' ovvio che non c'è nulla di male che un cantante si ispiri alle tradizioni consolidate (guai se così non fosse: la sperimentazione da sola porta all'anarchia).
Infatti, nei momenti di maggiore vitalità, conservazione e sperimentazione convivono e si nutrono l'una dell'altra.
Ciò che mi premeva sottolineare è che in epoca di crisi, come il ventennio di cui parlavamo, la legittima tendenza è quella di dare spazio (almeno per il grande repertorio) solo ai cantanti più conservatori e talvolta persino indipendentemente dalla loro personalità, dalla loro capacità di valorizzare un certo repertorio.
E questo a lungo andare porta a una sclerotizzazione del linguaggio.
Lo stesso canto "tradizionale" perde più velocemente il suo smalto, la sua capacità di persuasione.
E così la "crisi" diventa ancora più crisi.

E in che modo si concilia questo con la tesi, che condivido, secondo cui Karajan avrebbe innovato il modo di cantare l'opera italiana (con la Freni che capeggia i suoi dischi di Aida e Don Carlo)?


La Freni non rappresentava nè in Aida, nè in Don Carlo una rivoluzione tecnica (da quel punto di vista era talmente confortevole da tranquillizzare sia il pubblico sia i produttori). Non era come un Fischer Dieskau in Rigoletto, un Vickers in Radames, una Schwarzkopf in Alice.
In compenso la scelta della Freni in Desdemona, Elisabetta e Aida (e successivamente in Amelia e Leonora) era una svolta sul piano della sostanza strettamente vocale.
Per quei ruoli si era abituati a voci più importanti, maestose, sfarzose; il disco aveva esibito una sequela di Aide "grandi", come Arangi Lombardi, Giannini, Caniglia, Milanov, Tebaldi, Callas, Price, Nilsson. Lo sfarzo di queste voci si traduceva quasi inevitabilmente (fa eccezione solo la Callas) in maestosità psicologica.
Una voce come quella della Freni violava l'equazione voce grande = personalità imponente. Il suono della sua Aida veniva percepito come quello di un'eroina dolce, fragile, luminosa, non certo maestosa, non certo autorevole.
Oggi non considereremmo un'Aida "lirica" una cosa sconvolgente. Ma in anni di crisi, persino questa era considerata un'audacia...
E se non ci fosse stato Karajan dietro (coi suoi sogni di "umanizzazione" lirica), forse non sarebbe nemmeno stata possibile.

Così almeno pare a me.

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Re: Herbert von Karajan

Messaggioda Tucidide » mer 01 set 2010, 21:25

Avrei altre cose da dire, ma ho appena scoperto di essere ingenuo, inesperto e sparacazzate.
Uno come me non apporta alcunché alla discussione. Meglio che stia zitto.
D'altronde, non è di opera, fortunatamente, che io mi occupo nella vita: per me è un passatempo, una cosa da prendere alla leggera. Diversamente, non mi diverto. Sentirsi sotto esame ad ogni aperta di bocca è fastidioso: non fa per me.
Non sto scherzando, questa volta.
Saluti.

Spero che il bel messaggio di Matteo rimanga inalterato, e non sparisca come già misteriosamente è capitato per un altro, scritto sul thread della Frau di Firenze.
Il mondo dei melomani è talmente contorto che nemmeno Krafft-Ebing sarebbe riuscito a capirci qualcosa...
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Re: Herbert von Karajan

Messaggioda MatMarazzi » mer 01 set 2010, 23:39

Tucidide ha scritto:sparacazzate.


Eh, no... scusa Tuc, ma ancora una volta non ti consento di mettermi in bocca cose che non ho detto.
Io non ho affatto detto che spari cazzate.
Ho detto semmai che tu tenti di far passare me per uno che le spara: come? inventandotele e mettendomele in bocca.

Un po' come se io scrivessi: "tu sei talmente fan della Fleming che stravedi persino per il suo Pirata e affermi che è mille volte meglio di quello della Callas".
Molto semplicemente tu potresti rispondermi "io questa cazzata non l'ho mai detta". :)
E faresti bene! :)
Per inciso è solo quello che ho fatto io: mi sono limitato a correggere tutte le arbitrarie deformazioni che avevi operato (mi tocca aggiungere.. come al solito) su quanto avevo scritto.

Sentirsi sotto esame ad ogni aperta di bocca è fastidioso: non fa per me.


Si? Strano... Davvero la comunicazione su internet è foriera di fraintendimenti.
Io ero sicuro che fossi tu (da tanto tempo) a mettere sotto esame i miei post... E addirittura che ti ci divertissi molto! :)
Ho persino avuto la sensazione che pur di mettermi sotto esame arrivassi addirittura a sostenere una cosa oggi e il suo contrario domani (ricordi? Normann colorista, Normann non colorista, ecc...)
Anche in questo caso (come sempre d'altronde) è avvenuto proprio questo.
Niente di male... per carità. E' può essere divertente anche duellare un po'...
Certo, se mi dici che non ti diverti che io replichi alle "cazzate" che tenti di mettermi in bocca... allora non so più cosa dirti.

Spero che il bel messaggio di Matteo rimanga inalterato, e non sparisca come già misteriosamente è capitato per un altro, scritto sul thread della Frau di Firenze.


Non temere: il mio bel messaggio resterà inalterato. E' davvero un bel messaggio, hai ragione.
Quanto al post della Frau, nessun mistero...
Quel post l'ho censurato io stesso (sono o non sono il moderatore)?

Era un messaggio sacrosanto, giustissimo, bello, che non mi sono affatto pentito di aver scritto, perché mi è servito per impartire una bella lezione a qualcuno.
Quel qualcuno si era permesso di scrivere che sì... è giusto che Mehta usi un luogo pubblico come il Comunale di Firenze per imporre anche a chi non le condivide le sue idee, che sì... è giusto che a me (pubblico pagante) venga fatta subire (invece della rappresentazione per cui ho pagato) l'affermazione totalitaria e populista di un certo punto di vista senza consentirmi diritto di replica... E' giusto che ciò per cui io pago (il teatro, la sala, la rappresentazione) sia sfruttato per scopi privati e politici...
Bene: se quel qualcuno la pensava davvero così, allora che ne paghi le conseguenze, subendo a sua volta che qualcun altro (avendone pienamente il diritto) gli tappi la bocca chiudendo un thread e levandogli la possibilità di replicare.

Non so se quel qualcuno ha tratto giovamento dalla lezione (e comunque chi se ne frega?).
E tuttavia a me, al contrario di quel qualcuno, ripugnano le prepotenze, tutte! Anche quelle che partono da me, anche quelle che avevano solo il nobile scopo di far capire a qualcuno quanto è brutto subire le prevaricazioni altrui.
Per questo alla fine, ha avuto la meglio il mio rispetto per il prossimo e per la libertà di opinione.
Così ho riaperto il thread che avevo chiuso e ho censurato il mio stesso messaggio.
Nessun mistero come vedi.

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Re: Herbert von Karajan

Messaggioda Pruun » mer 01 set 2010, 23:51

Ti prego di non mettere in bocca a quel qualcuno (che sarei io) cose che non pensa perché anche a me ripugna qualunque tipo di prepotenza, soprattutto quella di chi pretenderebbe di "insegnarmi" una lezione e poi nascondere agli occhi di tutti la lezione stessa cancellando il messaggio-exemplum.
So che non te ne frega ma non ho tratto nessun giovamento dalla "lezione" e non rigirare come "rispetto per il prossimo e per la libertà di opinione" il fatto di aver riaperto il thread cancellando il tuo exemplum perché in realtà sarebbe bastato riaprirlo aggiungendo i tuoi consueti inni alla libertà d'opinione e alla prepotenza che avresti inflitto con "il nobile scopo di far capire a qualcuno quanto è brutto subire le prevaricazioni altrui".
Facendo come hai fatto hai solo levato un messaggio in cui mi insultavi dandomi del fascista-nazista-stalinista, quindi non rigirare la frittata, per favore.
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Re: Herbert von Karajan

Messaggioda MatMarazzi » gio 02 set 2010, 0:10

Pruun ha scritto:Ti prego di non mettere in bocca a quel qualcuno (che sarei io) cose che non pensa perché anche a me ripugna qualunque tipo di prepotenza, soprattutto quella di chi pretenderebbe di "insegnarmi" una lezione e poi nascondere agli occhi di tutti la lezione stessa cancellando il messaggio-exemplum.
So che non te ne frega ma non ho tratto nessun giovamento dalla "lezione" e non rigirare come "rispetto per il prossimo e per la libertà di opinione" il fatto di aver riaperto il thread cancellando il tuo exemplum perché in realtà sarebbe bastato riaprirlo aggiungendo i tuoi consueti inni alla libertà d'opinione e alla prepotenza che avresti inflitto con "il nobile scopo di far capire a qualcuno quanto è brutto subire le prevaricazioni altrui".
Facendo come hai fatto hai solo levato un messaggio in cui mi insultavi dandomi del fascista-nazista-stalinista, quindi non rigirare la frittata, per favore.


Beato te, Pruun, che puoi replicare a quella che ritieni essere una prepotenza subita.
A chi ha subito il pistolotto totalitarista e idiota di Mehta a Firenze questa opportunità non è stata offerta.

Quanto al resto di questo post (e soprattutto il fatto che ti avrei dato del fascista... ehehehe...) scusa, ma non ho davvero niente da aggiungere: ti sei espresso fin troppo bene. E ti ringrazio.
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Re: Herbert von Karajan

Messaggioda Pruun » gio 02 set 2010, 6:37

Scherzi? Sono io che ringrazio te.
C'è in effetti una grande, enorme, abissale differenza tra il darmi del fascista e dire che quello che io auspicavo l'avevano messo in pratica i fascismi-nazismi-comunismi del nostro povero '900 e - subito dopo - dire che le radici del mio pensiero, se così si poteva chiamare, era nella prepotenza e nella prevaricazione non dimenticando di asserire - subito prima - che alcune mie affermazioni erano pericolose utopie da cui non poteva prescindere nessuna "spietata dittatura". :lol: :lol: :lol: :lol: :lol:
Sono cose, comunque, che non mi appartengono e che non mi sono mai appartenute e chi non era d'accordo col pistolotto di Mehta poteva benissimo fischiare, dato che questo è diritto insindacabile di chi paga il biglietto (come avviene durante le rivendicazioni sindacali della Scala, regolarmente contestate). Ma so che sei contro fischi perché anche questi sono "prepotenza e prevaricazione" ( :roll: ).
Comunque siamo OT e non ho interesse a proseguire questa polemica, esclusivamente retorica.
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Re: Herbert von Karajan

Messaggioda beckmesser » gio 02 set 2010, 12:46

MatMarazzi ha scritto:La Callas era la negazione vivente di tutti i valori vocali precedenti: c'era chi trovava la sua voce brutta, diversa, sgradevole, ancora oggi c'è qualche scemotto che scrive che era una voce nasale, innaturata, franta in registri diversi.


Beh è vero, ma c’era l’altra metà del mondo per cui era comunque il fenomeno più interessante di quegli anni. Gli artisti controversi (nel senso di quelli che suscitano diatribe, battaglie, fazioni) sono forse quelli che vendono di più… Sarebbe un po’ come dire che oggi la Decca ha un gran coraggio a far incidere dischi a Kaufmann perché una buona fetta degli ascoltatori detesta i suoni che produce: la fetta rimanente basta e avanza a garantire le vendite… Per dimostrare fiuto e lungimiranza non basta individuare un artista: bisogna vedere poi come lo usi, e su questo Legge qualche dubbio me lo suscita…

MatMarazzi ha scritto:Bruson ha inciso, solo per restare a Verdi, La Traviata (EMI), Rigoletto (Sony e Philips), Macbeth (Philips), Forza del Destino (DDG), FAlstaff (DG), Ballo in Maschera (DG), Alzira (Philips), Luisa Miller (DG), Ernani (EMI)


Verissimo, però, guarda caso, tutti i ruoli che hai citato sono incisioni degli anni 80 e 90 (la prima credo sia la Miller, del 79): per un cantante che già alla fine degli anni 60 cantava nei più grandi teatri del mondo (Met incluso), suscitando reazioni spesso molto contrastanti, fare la prima incisione verdiana a 45 anni suonati non mi sembra proprio denotare “un’ossessione” da parte delle case discografiche: magari un’ossessione senile… :D L’uso massiccio di Bruson venne dopo, quando sì si era come istituzionalizzato e stava diventando, come dici tu, un “paio di pantofole vecchie”. E lo stesso vale più o meno per la Freni. Ma negli anni 60 e 70 la situazione era ben diversa…
In ogni caso, non ne facevo tanto un discorso di numero di incisioni (che per te possono essere troppe e per me poche), quanto di rapporti con le case discografiche. Se guardo le carriere di Pavarotti, Domingo, Carreras (ma anche Ricciarelli, all’inizio, e tanti altri) vedo un percorso veramente costruito disco dopo disco, con una chiara guida “discografica” (cosa per cui, sia chiaro, non vedo nulla di male). Con Bruson e la Freni, onestamente, no: non avevano esclusive, avevano già importanti e autonome carriere teatrali alle spalle prima di incidere in modo significativo. Poi, certo, le case discografiche li hanno usati (troppo o troppo poco, a seconda dei punti di vista), ma la situazione mi sembra diversa. Quanto alle proposte che avanzi, certo sarebbero state coraggiose, ma in realtà in quegli anni segno di coraggio sarebbe stato non tanto incidere Aroldo con la Price, ma semplicemente incidere Aroldo: persino di Ernani esisteva una sola incisione ufficiale (quella con Bergonzi) fino a quella di Muti…

MatMarazzi ha scritto:Sai Beck, qui non è questione di "convinzione"; qui è questione di confronto fra il prima e il dopo.


Sai, Mat :twisted: , per me la questione è che il confronto fra prima e dopo si fa sulla base di proprie convinzioni. Per te Bruson può suonare come una vecchia pantofola ed essere assimilabile a Cappuccilli, per me c’è un abisso. E questo forse discende dal fatto che per te la “novità” mi sembra consistere principalmente nella novità dei suoni che vengono prodotti (cosa che, per l’appunto, è una tua legittima convinzione), per me no. Per me gli anni 60 e 70 sono un periodo fertile ed importante quanto i decenni precedenti, nel senso che hanno trovato una via d’uscita all’impasse che si era creato. Gli anni 50 avevano prodotto interpreti dalla personalità ciclopica (in tutti i campi: cantanti, direttori, pianisti) a prezzo di un rapporto con il testo sempre più disinvolto, a volte persino arbitrario, oltre il quale ad un certo punto non fu più possibile andare. Negli anni 60 e 70 si crearono le basi per un approccio diverso e, in campo vocale, lo si fece non creando suoni nuovi, ma recuperando elementi (stilistici, espressivi, ecc.) che si erano perduti: in ciò ci fu una rivoluzione dalla portata enorme, che andava di pari passo con la rinascita dell’attenzione filologica ai testi. E resto convinto (anche sulla base dei racconti e delle recensioni) che negli anni 60 sentire Bergonzi in Verdi era (per il pubblico abituato ai tenori degli anni 50), uno shock, esattamente come sentire lo Chopin di Pollini o Askenazy al pubblico abituato a Horowitz. Io detesto le Mimì della Freni degli anni 80 e 90 (o i tardi patetici Rigoletti di Bruson), ma alle origini l’approccio della Freni a quel ruolo (o al Don Carlo in seguito), con quella linea sorvegliatissima, quell’approccio così diretto, umano (così poco “piedistalloso”) doveva risultare spiazzante (esaltato da alcuni e stroncato da altri). E lo stesso il Rigoletto di Bruson. Per questo mi sembra incomprensibile accumunarlo a Cappuccilli: il secondo si limitava ad emettere note scimmiottando lo stile dei baritoni precedenti, il primo no. Certo, la matrice dei suoni era (per certi aspetti, ma non certo tutti) lo stesso: ma approccio, stile, espressione erano all’opposto, e per me sono elementi che valgono quanto la novità del suono/

Poi certo, il fenomeno si è sclerotizzato, anche perché da alcuni venne ridicolmente fatto assurgere a Vangelo, ma all’inizio la novità ci fu e, secondo me, fu epocale…

Ovviamente, è solo una mia convinzione… Gran bell’argomento, comunque…

Saluti,

Beck
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Re: Herbert von Karajan

Messaggioda MatMarazzi » gio 02 set 2010, 13:35

beckmesser ha scritto:Gli artisti controversi (nel senso di quelli che suscitano diatribe, battaglie, fazioni) sono forse quelli che vendono di più… Sarebbe un po’ come dire che oggi la Decca ha un gran coraggio a far incidere dischi a Kaufmann perché una buona fetta degli ascoltatori detesta i suoni che produce: la fetta rimanente basta e avanza a garantire le vendite…


Tutto assolutamente giusto.
Però... hai notato che entrambi gli esempi (la Callas negli anni '50; Kaufmann nel 2000) riguardano epoche di grande vitalità del genere Opera?
Non pensi che forse... sarebbe stato più difficile impegnarsi con contratti di esclusiva con cantanti così strani e discussi come Callas e Kaufmann negli anni '70 ( (e ripeto nel grande repertorio)?
Ti confesso che se fossi stato un discografico negli anni '70, col mercato in crisi, i dischi invenduti, le nuove generazioni che disprezzano l'opera, ecc... ecc... anche io avrei avuto una gran paura a produrre un Rigoletto. Perché mentre Lulu o Nozze di Figaro li avrebbero comprate porzioni limitate di pubblico, un Rigoletto (o comunque un titolo di grande repertorio) sarebbe stato caricato di responsabilità che vanno ben al di là dell'arte...
Ad esempio di sostenere con le vendite la sopravvivenza stessa della casa discografica (e in ultima analisi di tutto il sistema).
Me ne sarei fregato alla fine di fare qualcosa di nuovo e inatteso, e persino di artisticamente rilevante, che magari viene comprato da poca gente illuminata.
Probabilmente avrei rincorso anche io soliti noti.

L’uso massiccio di Bruson venne dopo, quando sì si era come istituzionalizzato e stava diventando, come dici tu, un “paio di pantofole vecchie”.


Ripensandoci, hai ragione.
Però non pensi che questo confermi la mia tesi? Che in anni di crisi si ricorra a cantanti "istituzionali" e quindi rassicuranti?
Tu stesso ci ricordi che, per valorizzare Bruson a livello discografico, si è atteso che lo diventasse anche lui. No?

Con Bruson e la Freni, onestamente, no: non avevano esclusive, avevano già importanti e autonome carriere teatrali alle spalle prima di incidere in modo significativo. Poi, certo, le case discografiche li hanno usati (troppo o troppo poco, a seconda dei punti di vista), ma la situazione mi sembra diversa.


Sì concordo.
Ma io non avevo puntato il dito sul fatto che fossero o non fossero cantanti da teatro prima che da disco.
io mi mettevo solo nei panni di un produttore discografico dell'epoca.
Nel selezionare gli artisti a cui affidare un'incisione pucciniana, io non avrei avuto alcuna paura a chiamare la Freni. Una Stratas sì.
Anche se, in tutta sincerità, trovo più interessante quest'ultima.
Avevo unificato Freni e Bruson, Pavarotti e Carreras non per il tipo di carriera, ma solo per il fatto di essere stati tutti quanti eletti (dai discografici) fra i cantanti che non spaventano il pubblico più generalista di allora, quello a cui erano rivolti i titoli del grande repertorio.

Sai, Mat :twisted: , per me la questione è che il confronto fra prima e dopo si fa sulla base di proprie convinzioni.
(cut)
Certo, la matrice dei suoni era (per certi aspetti, ma non certo tutti) lo stesso: ma approccio, stile, espressione erano all’opposto, e per me sono elementi che valgono quanto la novità del suono


Non riesco a rispondere ora a quest'ultima parte del tuo post (che tra l'altro riprende in mano questioni che già avevamo tentato di affrontare).
E' interessantissimo il modo con cui, in pratica, contesti l'idea stessa (da me spesso sostenuta) di una crisi dell'opera nell'era della contestazione.
Gli argomenti che porti sono forti, ne convengo, e proprio perché avrei molto da dire... penso di fare un bel copia-incolla e trasferire (appena ho un attimo di tempo) le tue considerazioni sul thread degli anni 70, che merita - a questo punto - di essere riaperto.

Intanto grazie mille,
salutoni,
Mat
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Re: Herbert von Karajan

Messaggioda Tucidide » gio 02 set 2010, 14:58

Pur senza rinnegare il contenuto del mio post precedente, volevo tornare su alcuni punti interessanti. Poi ne affronterò altri, forse. Eviterò di dire "come dici tu", tanto so già che traviserei. Mi limiterò, ove sia il caso, di citare testualmente.
MatMarazzi ha scritto:Io ero sicuro che fossi tu (da tanto tempo) a mettere sotto esame i miei post... E addirittura che ti ci divertissi molto! :)
Ho persino avuto la sensazione che pur di mettermi sotto esame arrivassi addirittura a sostenere una cosa oggi e il suo contrario domani (ricordi? Normann colorista, Normann non colorista, ecc...)

Io che mi diverto a mettere sotto esame i tuoi post? Beh, sai, ci sono tante cose molto più divertenti, nella vita. Te ne potrei elencare una novantina, e poi e poi... : Chessygrin :
Solamente, quando leggo una cosa che mi pare degna di risposta, eventualmente di discussione, intervengo.
MatMarazzi ha scritto:Ho scritto queste cose in decine di thread... e proprio tu, che spesso le hai ripetute quasi testualmente, ora mi metti in bocca un moralismo di segno opposto?

Cos'ho fatto io??? Ho ripetuto quasi testualmente quello che scrivi tu? Oddio, di male in peggio. Vorrei notificarti che se per qualche motivo io e te abbiamo, su qualche argomento, opinioni simili, ciò non dipende dal fatto che io... ripeto quello che dici tu. Ti assicuro che sono in grado di avere e sostenere posizioni in modo autonomo, senza adagiarmi su pigre scopiazzature.
Vuoi un esempio? Anni fa, ben prima di conoscere OD e te, sostenni su un altro forum operistico che Di Stefano cantava aperto anche negli anni '40, contrariamente a quanto dice Celletti. Mi si rispose che GDS aveva studiato, che all'inizio era un prodigio di maschera e canto sul fiato eccetera. Anni dopo, almeno un paio, entrai qui su OD e lessi che anche tu la pensavi in modo simile (non uguale, e se vuoi ti dico perché). Bene: se tu dicessi (protasi dell'irrealtà) che io ho ripetuto testualmente quello che dici tu su GDS, diresti (apodosi dell'irrealtà) una falsità, siccome quell'idea mi apparteneva molto prima di sapere che, vivaddio, anche tu la pensi allo stesso modo. :)
Così avviene sempre. E' la pura verità.
A proposito di Celletti...
Scusa se ti parlo apertamente, ma mi fai proprio sorridere quando tenti (molto confusamente, peraltro, e ti dimostrerò perché) di cogliermi in fallo... dicendo:
"ah... ma questo lo diceva anche Celletti!! Ti ho fregato!!!"

Se vuoi saperlo, sono ben altre le affinità fra le mie idee e ciò che ha scritto Celletti . E questo non inficia per niente la coerenza delle mie idee.
Anzi, dimostra solo che non sono schiavo di manicheismi e partigianerie grossolane.
Sono capace di dar ragione a Celletti, pur contestandolo su altri fronti.
Di cose giuste e importanti ne ha dette tantissime anche lui: non vedo ragione di contestarlo per partito preso.

Ovviamente. Anch'io sono d'accordo su molte cose che scrive Celletti; quella delle case discografiche per me è un'affermazione priva di senso, ma non, bada bene, nella conclusione, ma proprio nelle premesse, quelle da cui parli anche tu, per giungere a conclusioni opposte.
MatMarazzi ha scritto: Ma all'epoca i "miti" artefatti e costruiti a tavolino da agenti e case discografiche furono un efficace argine contro la completa dissoluzione del genere.
(per inciso, mi spieghi da dove ricavi l'equazione fra "costruire carriere a tavolino" - cosa che effettivamente ho scritto - e "essere brutti e cattivi" o addirittura "cioccolatai" - che invece hai scritto tu, salvo, more solito, attribuirlo poi a me?

Beh, mi arrendo: se per te "mito artefatto" e "carriera costruita a tavolino" (spero che il rovesciamento della frase da attiva a passiva non costituisca un travisamento del tuo pensiero) sono cose belle, allora mi arrendo. La prossima volta che vedo un cantante di grido, gli dirò "complimenti vivissimi per la sua carriera costruita a tavolino: lei è un mito artefatto!" Sono sicuro che apprezzerà molto i complimenti. :D
Mi rendo conto che queste carriere, ammesso e non concesso che siano state davvero costruite a tavolino, nella tua concezione hanno avuto il merito di alimentare il mercato ed evitare il collasso, e che quindi per te sia un fatto positivo: resta però il fatto che sia una diminutio capitis nei confronti degli artisti citati.
Oltretutto, potresti spiegarmi, quaeso, in che cosa Pavarotti e Domingo, Cossotto e Freni, Ricciarelli o Carreras sarebbero miti artefatti e perché le loro carriere sarebbero state costruite a tavolino. Mi risulta, ma posso sbagliarmi, che essi abbiano fatto una carriera di tutto rispetto PRIMA di firmar contratti discografici. La Freni cantava dal 1955, e dai primi anni '60 era entrata nelle grazie di HvK, e non solo. Poi vennero i dischi. Furono una conseguenza della sua popolarità, non una causa. Pavarotti? Beh, il Lucianone con i suoi acuti aveva fatto ingagliardire tutti i pubblici del mondo, prima che i Bonynge lo cooptassero per le loro incisioni. Carreras non divenne un divo senza motivo, ma per le sue grandi prove dei primi anni '70. Domingo aveva cantato all'Arena e al Met prima dei suoi primi dischi. La Cossotto, poi, era sulla breccia da anni, prima di diventare onnipresente mezzosoprano discografico.
Ogni tre per due mi tiri fuori la Fleming (non dire di no! - anzi, in certi casi anche quando non c'entra una pippa), allora ti accontento. :D Parliamo della Fleming. :) Ogni tanto, qualche simpaticone (non tu) mi dice che ella è una creatura discografica. E' fin troppo facile smontare questa bambinata.
Anno di inizio carriera: 1986; anno di firma del contratto DECCA: 1996. In mezzo, 10 anni (diconsi dieci) di carriera con: debutto al Met, al Covent Garden, alla Scala, al Colon, a Pesaro al ROF, a Parigi, a Houston, a San Francisco. PRIMA! Non dopo! Prima! I dischi hanno amplificato la sua fama, le hanno procurato scritture e popolarità, ma la carriera se l'era costruita prima.
Un altro? Kaufmann. Da quant'è che canta? Oramai diversi anni. Il contratto DECCA è di due - tre anni fa. Chi dice che è una creatura discografica, mente sapendo di mentolo.
Una che mi crea qualche dubbio è la Cecilia Bartoli. A 22 anni, praticamente sconosciuta, contratto DECCA e partenza in quarta con BArbiere e recital rossiniano... Ehi... lì la puzzettina di creatura discografica c'è... : Chessygrin :
Poi, certo, questi sono "DIVI discografici", ma non "creature discografiche". C'è un abisso.
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Re: Herbert von Karajan

Messaggioda MatMarazzi » gio 02 set 2010, 16:41

Sulle questioni "off topic" (e "off musica", e pertanto di scarso interesse per i nostri lettori) ritengo che si sia già detto un po' troppo.
Si potrebbe continuare, se è il caso, in privato?

Sulle questioni musicali invece sono ben felice di provare a rispondere, e in particolare sulla questione dei "miti artefatti".

se per te "mito artefatto" e "carriera costruita a tavolino" (spero che il rovesciamento della frase da attiva a passiva non costituisca un travisamento del tuo pensiero) sono cose belle, allora mi arrendo. La prossima volta che vedo un cantante di grido, gli dirò "complimenti vivissimi per la sua carriera costruita a tavolino: lei è un mito artefatto!" Sono sicuro che apprezzerà molto i complimenti. :D


In questo (e per me in tanti altri argomenti) si dovrebbe fare la tare delle sovrastrutture più o meno morali che noi inevitabilmente mettiamo in questi discorsi.
Ad esempio che la componente di "artefazione" o di "costruzione a tavolino" che interviene in una carriera (e spesso le garantisce il successo) siano cose "brutte", o per lo meno "non belle" come tu chiaramente affermi in questo quote.

Se ci sbarazziamo di queste sovrastrutture e valutiamo le cose semplicemente come sono, allora Tucidide diventa ovvio che la bravura non è l'unico elemento che entra nel gioco di una carriera (e non parlo solo di cantanti d'opera, ma di chiunque faccia spettacolo).
Se bastasse l'arte, come mai una Gencer (che era obbiettivamente brava, direi) non cantò mai al Metropolitan, non incise mai un'opera, non ha nemmeno mai inaugurato la Scala (dove anzi, fino al 65 rimase quasi sempre confinata ai secondi cast), abbia presenziato per una sola stagione alla Staatsoper di Vienna e al Covent Garden?
Come mai invece una Ricciarelli (che era meno brava, direi) ha cantato per quindici anni nei maggiori teatri del mondo, ha inciso paccate di dischi, ha dominato per anni le copertine delle riviste specializzate?

La risposta è che nella carriera di un artista intervengono elementi che trascendono la sua bravura.
E questo vale per i grandi come per i piccoli... la Callas è stata una cantante ipermediatizzata, più di tutte le Fleming e le Dessay di oggi.
Eppure era una grandissima artista.

Questi elementi, diciamo così, "strategici" (promozione, pubblicità, apparizioni sulla stampa, copertine concordate, interviste ad hoc, televisione, radio, ecc...) non sono affatto una cosa brutta. Sono il frutto non solo di investimenti spaventosi di soldi, ma anche di professionalità precise, che hanno proprio lo scopo di "costruire a tavolino" una certa carriera, di lanciarla e sostenerla, non solo divulgando un nome, imprimendolo nella memoria di milioni di persone, ma anche di continuare a mantenerne alto l'interesse, anno dopo anno.

Basta un'apparizione "giusta" a un concerto "giusto" (chiedilo a Bocelli) e si diventa star internazionali dalla sera alla mattina, con aumenti vertiginosi di tutte le potenzialità inerenti una carriera.
L'intenso lavoro che sta dietro alle carriere non è "più importante" della bravura di un interprete.
E' semplicemente un'altra cosa.
Ed è un lavoro, molto ma molto complesso e delicato, che per alcuni anni le case discografiche si sono assunte in toto (oggi un po' meno, ma solo perché sono in difficoltà pure loro).
Gli artisti su cui investivano (e che DOVEVANO vendere decine, anzi centinaia di migliaia di copie, altrimenti la stessa casa discografica avrebbe collassato) andavano promossi in tutti i modi attraverso i percorsi dell'industria dell'intrattenimento.
C'erano fior di professionisti, inutile negarlo, dietro a Domingo, Pavarotti e gli altri divi dell'epoca. E soprattutto montagne di soldi che qualcuno (non certo Celletti) ci investiva.

Non c'entra con l'arte. Son cose diverse, ma ugualmente importanti.
Proprio il caso della Gencer ci insegna che può succedere che artisti davvero grandi non riescano a imporsi come meriterebbero perché la parte "strategica" della loro carriera è deficitaria.
Questo lo diceva proprio la biografa (e amica) della Gencer: Franca Cella.

Nel suo libro sulla cantante turca, la musicologa non cadeva - essendo donna intelligente - nel moralismo cellettiano, magari mettendosi a gridare sull'ingiustizia subita dalla Gencer, sul non riconoscimento del suo valore, e bla... bla... bla...
Queste sono scemate moralistiche.
Al contrario: la Cella rimproverava proprio la Gencer: la accusava - in questo senso - di essere la prima responsabile della cosa.
Una carriera è fatta anche di strategie, di capacità di promuoversi, disponibilità ad apparire anche fuori dal teatro, di stringere alleanze, intavolare rapporti artistici con i colleghi giusti, e soprattutto di affidarsi ad agenti e professionisti capaci.
Tutte cose che - a detta della Cella - la Gencer non ha mai saputo fare.
La scarsa dimensione della sua carriera (rispetto alle immense qualità dell'artista) sarebbero quindi per la Cella, una COLPA della Gencer, un suo limite, non (moralisticamente e cellettianamente) una prova della cattiveria e stupidità delle case discografiche.

Il moralismo cellettiano (quello che detesto e che tu, al contrario, hai attribuito proprio a me, dicendo che per me le case discografiche sarebbero "brutte, sporche e cattive" e che invece è completamente in te, quando affermi che il lavoro "a tavolino" di agenti e pubblicisti, la loro "artefazione" sarebbero cose "non belle") ha portato una parte del pubblico a fidarsi di un'equazione (cellettiana) totalmente falsa.
Che le case discografiche facciano assurgere a "miti" cantanti mediocri e che i grandi artisti siano ignorati e calpestati.
Tu stesso ti senti in dovere di difendere la Fleming dall'accusa di essersi ampiamente nutrita di questo sistema extra-artistico, come se fosse una colpa.
Non lo è! E non vedo perchè dovremmo considerare una colpa il fatto di sapersi relazionare con le regole dello spettacolo!
Non era forse la Callas una cantante iper-mediatizzata?
Non lo era forse Caruso?
Credi che non sapessero anche loro quanto era importante che altri lavorassero alla loro immagine, alla loro promozione?
Credi che non fossero consapevoli di quanto erano debitori verso l'industria del disco? E quanto l'industria del disco sia stata determinante nel farne dei miti?

Dovremmo davvero - ocme ho cercato di dire - buttare alle spalle queste banalizzazioni buoniste di matrice cellettiana e imparare a distinguere le due cose.
L'essere grandi artisti e l'essere miti.
Può esserci l'uno senza l'altro (la Lott è un genio ma non è un mito; Pavarotti è un mito ma non è un genio) o possono esserci entrambi (o nessuno dei due).
Un pubblicista e discografico che ha condotto alla fama un cantante (anche se questo è un piccolo artista come la Ricciarelli) ha fatto bene il suo mestiere ed è riuscito nel suo compito.
il nostro giudizio estetico sulla Ricciarelli-artista (o su Bocelli) è tutt'altra cosa... e non è certo colpa del pubblicista incaricato di promuoverla se la Ricciarelli non ci piace.

La prova più evidente ce la offre, oggi, il caso di Kaufmann.
Lui ha avuto due carriere.
Una (un buon decennio) al di fuori di questo meccanismo, e una (più recente) dal di dentro.
il Kaufmann di prima era bravo esattamente quanto quello di oggi; però dieci anni fa nessuno parlava di lui, se non una limitata cerchia di ammiratori.
Oggi invece scatena le folle e non solo (non dimentichiamo questo aspetto) guadagna cifre infinitamente più alte, ma le fa guadagnare a tantissima gente, non ultimi i teatri che - quando c'è Kaufmann - si assicurano esuariti spettacolari; non ultimi i colleghi che, cantando con lui, si assicurano un'eccezionale visibilità .

E di tutto questo lui sa benissimo che il merito non è solo della sua arte; sa di dover ringraziare (e lo fa) un vasto numero di professionisti che (lavorando a tavolino, "ad arte") hanno sviluppato anche l'altro aspetto della sua carriera, quello extra-artistico, investendoci soldi, concordando interviste e apparizioni televisive, giocando con raffinata strategia sulle sue presenze a teatro, sfruttando tutti gli strumenti dell'informazione, definendo la sua immagine, ecc...
Tu dici che a dirglielo si offenderebbe?
Sbagli! Lo stesso Kaufmann afferma nelle interviste "la mia vita e la mia carriera è cambiata quando un certo agente mi ha sentito in una Traviata al Met e mi ha proposto di occuparsi di me".
Un'altra che riconosce pienamente il proprio debito verso il lavoro dei pubblicisti (e delle case discografiche) è la stessa sovra-mediatizzata Netrebko.
Si chiede (giustissimante) che male c'è che un'artista sia visibile?
Ha ragione: e mi verrebbe voglia di risponderle, dando ragione a Franca Cella, che il vero male è quando altri artisti - per colpa loro - non lo sono altrettanto.

Ho citato il caso di Kaufmann proprio per evitare di essere frainteso! :)
Tutti in questo forum sanno quanto io ami questo tenore! Quanto lo consideri uno dei maggiori artisti del nostro tempo.
Ho citato lui proprio per dimostrare che quell'artefazione, quella professionalità "extra-artistica" (ma anzi fatta a tavolino) di agenti e promoters non ha nulla di negativo, nulla di "moralisticamente" sbagliato.
E anzi... se nessuno si mette a lavorare "ad arte" e a "tavolino" anche a questo aspetto di una carriera, lo stesso artista avrà molte meno possibilità di esprimersi, e in ultima analisi persino la sua "arte" ne soffrirà (mentre la Price incideva Ernani per la RCA, la portava al Met e minacciava di inaugurare la Scala, la Gencer la cantava a Bilbao... ah, già! anche a Catania!! Ovviamente ... con altre orchestre, altri registi e scenografi, altra...visibilità).

Per concludere e tornare all'argomento, è indiscutibile che di questo lavoro "ad arte e a tavolino" abbiano ampiamente goduto anche i soliti nodi del grande repertorio discografico degli anni '65-'85. Dietro a un Placido Domingo, una Mirella Freni, una Renata Scotto (nella seconda parte della carriera), un Luciano Pavarotti ci sono stati investimenti fortissimi e decine di professionisti.
E questo - come spero di aver chiarito - non implica affatto un giudizio morale o estetico su di loro!

Come ho già detto in varie occasioni (ma sono contento di ripetere) al centro del mio discorso non c'era l'accusa alle case discografiche di aver "promosso" tali artisti.
Lo avrebbero fatto comunque anche se avessero scelto altri artisti. E avrebbero fatto bene.
La domanda che mi ponevo io era piuttosto: "perché la scelta è caduta proprio su loro? Sui Pavarotti, Domingo, Carreras, Ricciarelli, Freni, Cossotto, Bruson, Cappuccilli, ecc?"
Questa era la domanda che secondo me era interessante porsi.

Qualcuno risponderà "perché erano oggettivamente i più bravi".
Oppure perchè erano gli unici possibili Verdiani o Pucciniani dell'epoca!
bene, io non sono d'accordo.
In termini artistici, per me c'era tanto di meglio, persino in quegli anni.

Allora perché erano già famosissimi!
Mah... molti di loro (Ricciarelli, Carreras, Obrasztova) sono diventati famosissimi proprio in virtù delle incisioni e del lavoro promozionale svolto intorno a loro.
Gli altri (come la stessa Freni o Domingo) all'epoca delle loro prime incisioni erano comunque circondati da tanti artisti ugualmente famosi e applauditi.
Visto che abbiamo spesso citato la Gencer, all'epoca in cui la Freni fece i suoi primi passi del disco la Gencer era notevolmente più celebre.
Eppure le case discografiche si indirizzarono sulla prima. Perché?

Questa era la domanda.
Perché, negli anni della crisi, in cui l'Opera perdette il suo pubblico, la considerazione di cui aveva goduto prima, con un buco generazionale spaventoso, perchè furono proprio scelti i Pavarotti, i Domingo, i Carreras, le Freni, i Ghiaurov, le Cossotto, ecc... ecc... ecc...?
Cosa avevano di speciale da offire?

La mia risposta è che erano cantanti che non avrebbero affatto turbato un certo modo di intendere l'opera popolare (come invece si poteva dire, prima, di Maria Callas e dopo di un Kaufmann). Andavano bene perché erano - sia pure ognuno con le sue caratteristiche - confortevolmente tradizionali rispetto a quanto il sopravvissuto pubblico generalista poteva aspettarsi. Niente stranezze! Niente svolazzi interpretativi o sperimentazioni audaci (di una Callas ad esempio), ma tante formule sperimentate e previdibili.
E questa risposta, in anni di crisi oggettiva, è quella che a me sembra più vera.
Per la stessa ragione io, se fossi stato un discografico in quegli anni - avrei scritturato la Freni in Verdi e Puccini (pur senza amarla particolarmente) e di sicuro non la mia amata Silja! :)

Salutoni,
Mat
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Re: Herbert von Karajan

Messaggioda Luca » gio 02 set 2010, 17:08

Molto interessante quanto dici Matteo sulle sovrastrutture ed agenti extramusicali che intervengono a 'fare' la carriera di un cantante e a renderlo degno di essere qualificato come serio artista. Però c'è da osservare anche un altro aspetto che compare in filigrana nel tuo ultimo intervento: quale è la condotta che rende un cantante d'opera storico? Io credo l'intelligenza che lo conduce a tentare nuove strade e nuovi approcci in ruoli che, commisurati alla sua voce e alle sue qualità interpretative, possano ampliare in modo originale il proprio repertorio. Nuovi approcci non significano bizzarrie (e per bizzarrie intendo inadeguatezza vocale), ma tali da far emergere lati nuovi di un determinato personaggio. L'esempio che mi piace ricordare (tanto si va semprea finire lì): la Callas in Butterfly: alla 'piccina mogliettina' (espressa anche genialmente) la cantante greca ha raccontato una storia dove psicologia e dialettica della parola si fondono. Più vicino a noi la revisione operata da R. Scotto in alcuni personaggi in cui la cantante ligure lavora sulla parola (magari con qualche cessione all'enfasi: Fedora, Francesca da Rimini, Abigaille, Lady). Ma è chiaro che non ci sono solo loro: abbiamo avuto una Gencer, una Olivero, una Silja, ecc. Inoltre, correggimi se sbaglio, il percorrere nuove strade lo vediamo più attuato dalle donne che dagli uomini.
Questo, a mio avviso, rende un artista storico: non il contentarsi di saper cantare bene la gelida manina o la furtiva lacrima o l'accettare di essere indotti a trasformare una popolare romanza in uno slogan pubblicitario contribuendo alla diseducazione che già regna sovrana, pensando invece di avvicinare il pubblico all'opera. Questa è una strada che definirei del 'disimpegno'.

Saluti, Luca.
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