Herbert von Karajan

Moderatori: DottorMalatesta, Maugham

Re: Herbert von Karajan

Messaggioda MatMarazzi » dom 16 nov 2008, 13:44

Maugham ha scritto:Che io sappia no.
Le uniche modifiche che Verdi fece in quest'aria riguardano la cadenza dopo la cabaletta I.


Scusa, mi sono spiegato male.
Io parlavo di "Tu vedrai che amore in terra", non di "Di tale amor".
Mi sono sempre chiesto perché quell'alterazione di tonalità (preceduta dall'orribile ..."di te, di te, scordarmi di te" in cui la Sutherland e Bonynge architettano una mostruosità pur di passare alla nuova tonalità.
E' talmente orrendo l'effetto che mi sembra strano se lo siano permessi loro... senza qualche autorevole precedente.

Salutoni,
Mat
Avatar utente
MatMarazzi
 
Messaggi: 3182
Iscritto il: gio 05 apr 2007, 12:34
Località: Ferrara

Re: Herbert von Karajan

Messaggioda Maugham » dom 16 nov 2008, 14:42

MatMarazzi ha scritto:Io parlavo di "Tu vedrai che amore in terra", non di "Di tale amor".


Quella nella versione di parigi non dovrebbe esserci. Mi sembra di ricordare che Verdi l'abbia tagliata.
WSM
Mae West: We're intellectual opposites.
Ivan: What do you mean?
Mae West: I'm intellectual and you are the opposite.
Avatar utente
Maugham
Site Admin
 
Messaggi: 1331
Iscritto il: gio 31 gen 2008, 19:04

Re: Herbert von Karajan

Messaggioda MatMarazzi » dom 16 nov 2008, 15:13

Maugham ha scritto:
MatMarazzi ha scritto:Io parlavo di "Tu vedrai che amore in terra", non di "Di tale amor".


Quella nella versione di parigi non dovrebbe esserci. Mi sembra di ricordare che Verdi l'abbia tagliata.
WSM


Allora era giusta la prima ipotesi! :) Concludere su un bel re bemolle tenuto mezz'ora (grazie alla aggiunta di una serie di accordoni non scritti) è meglio che concludere su un do! :D
Avatar utente
MatMarazzi
 
Messaggi: 3182
Iscritto il: gio 05 apr 2007, 12:34
Località: Ferrara

Re: Herbert von Karajan

Messaggioda Maugham » dom 16 nov 2008, 15:39

MatMarazzi ha scritto:
Maugham ha scritto:
MatMarazzi ha scritto:Io parlavo di "Tu vedrai che amore in terra", non di "Di tale amor".


Quella nella versione di parigi non dovrebbe esserci. Mi sembra di ricordare che Verdi l'abbia tagliata.
WSM


Allora era giusta la prima ipotesi! :) Concludere su un bel re bemolle tenuto mezz'ora (grazie alla aggiunta di una serie di accordoni non scritti) è meglio che concludere su un do! :D


Perfino un fan del Trovatore angelicato come Celletti, che ovviamente non poteva picchiare duro su questa Leonora, onde non stroncarla scrisse grosso modo questo: "la Sutherland non sarà un granchè nella cabaletta ma non ho mai sentito nessuna cantante in tutta la mia vita in grado di dare un senso a questo brano" :D :D :D
WSM
Mae West: We're intellectual opposites.
Ivan: What do you mean?
Mae West: I'm intellectual and you are the opposite.
Avatar utente
Maugham
Site Admin
 
Messaggi: 1331
Iscritto il: gio 31 gen 2008, 19:04

Re: Herbert von Karajan

Messaggioda Pruun » lun 17 nov 2008, 2:32

Maugham ha scritto:
MatMarazzi ha scritto:Io parlavo di "Tu vedrai che amore in terra", non di "Di tale amor".


Quella nella versione di parigi non dovrebbe esserci. Mi sembra di ricordare che Verdi l'abbia tagliata.
WSM


Confermo. La cabaletta è assente ne Le Trouvère (ma venne tradotta come 'Cet amour, mon bien, ma vie', forse per repliche successive...)
Orrenda orrenda pace
la pace dei sepolcri
Avatar utente
Pruun
 
Messaggi: 392
Iscritto il: mar 11 set 2007, 2:10

Re: Herbert von Karajan

Messaggioda MatMarazzi » lun 17 nov 2008, 9:20

Pruun ha scritto:
Maugham ha scritto:
MatMarazzi ha scritto:Io parlavo di "Tu vedrai che amore in terra", non di "Di tale amor".


Quella nella versione di parigi non dovrebbe esserci. Mi sembra di ricordare che Verdi l'abbia tagliata.
WSM


Confermo. La cabaletta è assente ne Le Trouvère (ma venne tradotta come 'Cet amour, mon bien, ma vie', forse per repliche successive...)


Perfetto, come dicevamo.
Quindi se la Sutherland la esegue mezzotono sopra, alterando la scrittura del recitativo precedente, e aggiungendo accordi alla fine per tenere l'acuto più lungo, non è perché si ispirasse a una variante d'autore...
E' tutta farina del sacco "Bonynge" :roll:

Mi è venuta in mente un'altra ipotesi per giustificare la cosa: la cabaletta insiste moltissimo (e addirittura parte) su do gravi. La Sutherland del declino è generalmente in grosse difficoltà coi gravi, non avendo mai imparato a coprirli correttamente. L'elevazione di tonalità potrebbe averla aiutata...

Per amor di cronaca, riferisco che qualcuno mi ha appena scritto in privato suggerendo l'idea (cattivissima :twisted: :twisted: ) che la cabaletta sia stata incisa in tono e poi velocizzata in studio per sembrare più brillante e virtuosa. Ovviamente si è anche dovuto modificare il breve recitativo di passaggio "di te, di te" per evitare l'incoerenza tonale rispetto al miserere...
Questa ipotesi mi sembra cattivella... ;) Per demolirla occorrerebbe sentire come la Sutherland si comportava dal vivo nel Trovatore: se qualcuno conosce una qualche edizione live, potrebbe verificare se anche lì c'è il cambiamento su "di te, di te" e quindi se la cabaletta è mezzo tono sopra. Nel qual caso difficilmente si potrebbe spiegare la cosa con un giochetto da sala di incisione, ma proprio con una scelta (per quanto esecrabile)...


Salutoni,
Mat
Avatar utente
MatMarazzi
 
Messaggi: 3182
Iscritto il: gio 05 apr 2007, 12:34
Località: Ferrara

Re: Herbert von Karajan

Messaggioda Triboulet » sab 28 ago 2010, 21:16

Vorrei riprendere l'argomento, ma solo per cercare onestamente di capire.
Alcuni dei cast di Karajan (seconda maniera), parlo dell'opera italiana:

CAVALLERIA: Cossotto, Bergonzi, Guelfi
BUTTERFLY: Freni, Pavarotti
TROVATORE: Bonisolli, Obratzova, Price, Cappuccilli
DON CARLO: Carreras, Freni, Baltsa, Cappuccilli
TOSCA: Carreras, Ricciarelli, Raimondi
AIDA: Carreras, Freni, Baltsa, Cappuccilli
FALSTAFF: Taddei, Araiza, Panerai, Kabaivanska, Perry, Ludwig
TURANDOT: Ricciarelli, Hendricks, Domingo
CARMEN: Carreras, Ricciarelli, Baltsa, van Dam
BALLO IN MASCHERA: Domingo, Barstow, Quivar, Nucci

Allora, lasciamo stare lo stile della direzione, spiegatemi la scelta dei cantanti. Se mi dite che non poteva fare diversamente perchè quelli erano sotto contratto per la casa discografica allora alzo le mani. Ma se li sceglieva, come li sceglieva?
Avatar utente
Triboulet
 
Messaggi: 370
Iscritto il: sab 05 dic 2009, 12:01

Re: Herbert von Karajan

Messaggioda Luca » dom 29 ago 2010, 9:20

Caro Triboulet,

una puntualizzazione cronologica: Cavalleria con Bergonzi e la Cossotto non la metterei nel Karajan seconda maniera (anche perché non abbiamo una Cavalleria precedente o successiva a quella! Posteriore di 3 anni è il video con Cecchele al posto di Bergonzi). A rigor di logica avresti dovuto mettere anche Pagliacci dello stesso anno (Bergonzi, Carlyle, Taddei, Panerai, Benelli). Quella Cavalleria risale al 1965 e due anni prima c'è Carmen e nel '62 c'è Tosca entrambe con la Price (e Trovatore live di Salisburgo con Price e Corelli).
Secondo aspetto: da quello che so, nella Turandot doveva esserci la Behrens che ruppe con Karajan, il quale chiese alla Freni che rifiutò. Sarebbe da chiedersi invece quale Turandot ci avrebbe potuto proporre il Karajan prima maniera! Sicuramente con la Freni come Liù e forse anche con un Bergonzi Calaf.

Buona domenica.
Luca.
Luca
 
Messaggi: 1184
Iscritto il: ven 06 apr 2007, 0:25
Località: Roma

Re: Herbert von Karajan

Messaggioda Triboulet » dom 29 ago 2010, 10:33

Caro Luca, i dettagli sono sempre interessanti ma è il complesso che dobbiamo analizzare... (se è per questo non ho neanche messo i cast dei film, e neanche Otello, che è l'unico cast che mi sembra azzeccato - chissà se l'idea di Vickers l'ha fregata a Serafin, non ho elementi per dirlo).
Altri direttori (credo) non avevano le enormi possibilità che aveva Karajan (dato che ormai era Karajan) di dire "voglio tizio e voglio caio", e di certi cast non se ne può far loro una colpa. Indubbiamente anche Karajan avrà avuto le sue difficoltà, magari non aveva sempre pieni poteri, però il ricorrere di alcune voci mi fa anche pensare che fossero gradite al maestro e le adoperasse per tutti gli usi (aggiungiamoci anche LA TRAVIATA lì in mezzo). Freni/Ricciarelli = no piedistallo, no tradizionalismi. Basta questo? in quante delle opere cantate con Karajan la Freni e la Ricciarelli arrivano ad un risultato che si possa definire pienamente soddisfacente in termini interpretativi (se non addirittura illuminante)?

In altri casi, laddove la sua direzione voleva essere innovativa, sceglie un cast tradizionalissimo (Cossotto e Guelfi in Cavalleria, Bonisolli/Obratzova in Trovatore, Cappuccilli in Verdi in generale) mentre laddove varia le sue scelte sono spesso discutibili...
Allora, o non aveva scelta di cantanti (può essere, ed io nn lo sapevo), o sceglieva in base a criteri preconcetti applicando lo stesso principio a tutte le opere (ma non si spiega perchè talvolta usava cast più traditional che mai), o non ci capiva niente di interpreti e andava a simpatia, o gli interessava la bellezza della voce (oppure sono io che non capisco dove voleva arrivare).
Sta di fatto che, nell'opera italiana (e ci aggiungo anche Carmen in mezzo), ha cominciato ad assemblare cast assolutamente insoddisfacenti (sempre dal mio punto di vista), col risultato che quasi nessuno oggi (pur riconoscendo la portata storica delle sue operazioni) indica le sue incisioni come di riferimento, e se lo si fa ci si ferma ai primi anni 60 (e ti assicuro che vale spesso anche per la musica sinfonica, almeno dalle opinioni che leggo in rete). Ha inciso pesantemente nella storia esecutiva diceva Mat, innegabile, è stato uno dei più grandi fenomeni del secolo scorso (con una buona dose di divismo, ruffianeria, e capacità commerciali e di autopromozione, aggiungo io) ma poi questi risultati, a parte lo stracciarsi di dosso le vesti per il sinfonismo sempre più sontuoso e particolareggiato, sono stati veramente proporzionali alla fama di "direttorissimo intoccabile" che si è guadagnato/costruito? E guardate che questo discorso lo si può fare anche con la Callas, sulla quale pendono ancora (da parte di molto pubblico poco addentro) un sacco di "pregiudizi positivi" (come se tutto quel che ha fatto la Callas fosse giusto e ben fatto perchè "la Maria poteva cantare tutto").
Mi interesserebbe capire anche se nel repertorio tedesco operava scelte anticonformiste e se queste risultavano poi appropriate.
Ultima modifica di Triboulet il dom 29 ago 2010, 11:44, modificato 1 volta in totale.
Avatar utente
Triboulet
 
Messaggi: 370
Iscritto il: sab 05 dic 2009, 12:01

Re: Herbert von Karajan

Messaggioda MatMarazzi » dom 29 ago 2010, 11:14

Luca ha scritto:Caro Triboulet,
una puntualizzazione cronologica: Cavalleria con Bergonzi e la Cossotto non la metterei nel Karajan seconda maniera


Giustissima la puntualizzazione di Luca.
Aggiungo che - ammesso che sia giusto isolare le opere italiane del Karajan "seconda fase" - ti sei dimenticato di Otello.
Tuttavia l'argomento è affascinante.
Come dice Luca, occorre anche ricordarsi che molte delle scelte più audaci di Karajan si scontrarono con le perplessità degli stessi artisti (la Freni che rifiutò Turandot, Norma e Leonora) e che molte ipotesi non le conosciamo.
Alla fine è vero che nei cast finali dobbiamo considerare anche i ripieghi dovuti ai rifiuti e le pressioni delle case discografiche.
FAtte tutte queste tare, occorre riconoscere, hai ragione, che i cast di secondo Karajan, almeno sul fronte Verdi-Puccini, ci paiono non poi troppo rivoluzionari e spesso anche vistosamente sbagliati. Ma questo dipende, secondo me, anche da due fattori.
Il primo dipende direttamente da Karajan, che - su questo sono d'accordo con te - pensava che un certo tipo di suono e di canto potesse da solo rappresentare una rivoluzione.
Non capì (ma all'epoca pochi lo capivano! Nemmeno Celletti lo capì mai) che il suono è solo uno strumento, non è nè teatro, nè musica.
Per quelli ci vuole la personalità.
E così Karajan pensava che il fatto stesso di chiamare una Freni in Aida e una Ricciarelli in Tosca fosse già una rivoluzione, mentre si trattava solo di un abbozzo, perché l'una e l'altra mancavano dell'adeguata personalità per i rispettivi ruoli, specie nella nuova ottica che Karajan sognava di imporre.
La Callas e la Schwarzkopf non erano solo "suoni", per questo con loro la rivoluzione riuscì.
Già con la Price (e con la giovane Freni in Traviata e Mimì o con Bergonzi) il risultato di karajan fu assai meno probante.
Ma con gli anni della "crisi" la rivoluzione fallì. Perché i cantanti erano ormai scelti esclusivamente sull'originalità del suono rispetto alla tradizione.

La crisi internazionale dell'Opera negli anni 65-85 è il secondo fattore che purtroppo occorre tenere presente nel valutare i cast del secondo Karajan.
Questa crisi si respira perfettamente anche nelle incisioni di Karajan, ma non solo.
L'onnipresenza discografica e teatrale di gente come Domingo, Carreras, Pavarotti o come Ricciarelli, Caballé, Freni o come Ghiaurov, Raimondi o ancora Bruson, Cappuccilli non può certo essere ascritta solo a Karajan.
A cercarli col lumicino, i grandi artisti c'erano anche i quegli anni - seppure molto meno che in altre fasi - ma, quasi sempre, erano degli outsider specie rispetto al grande repertorio verdiano e pucciniano: incidevano raramente, e ancor più raramente nel grande repertorio; inoltre restavano ai margini delle programmazioni teatrali più fastose, quelle di New York, Londra, Vienna, Milano che venivano sbandierate sulle riviste internazionali.

La crisi non si vede solo dalla carenza di grandi interpreti, ma anche dal fatto che quei pochi che ci sono passano in secondo piano: ad esempio un Boccanegra davvero straordinario come Wachter rimase confinato in Austria, mentre nel resto del mondo e in sala di incisione si continuava a dar spazio agli infinitamente più modesti Cappuccilli e Bruson.
Sempre tra le voci gravi, per anni il più incisivo e rivoluzionario bass-baritono verdiano della sua generazione, José Van Dam, se ne restò a lungo confinato a Bruxelles, dove inanellava trionfi in Boccanegra, Filippo II, Falstaff.
Solo nella seconda metà degli anni '80, superata la crisi, ci si accorse del fatto che lo si poteva chiamare in Verdi anche nei teatri importanti e in studio: peccato però che il momento d'oro del suo Verdi fosse già trascorso.
Quale casa discografica o teatro internazionale (a parte la Staatsoper di Monaco) avrebbe chiamato allora una Julia Varady in Nabucco? La sua Abigaille, sicuramente la migliore da svariati decenni in qua, doveva cedere spazio alle ben più dozzinali (almeno in questo ruolo) Dimitrova e Zampieri!
Ci vollero gli anni '90, superata la crisi, perché la chiamassero a Parigi e pubblicassero il live del suo Nabucco...
Chi avrebbe chiamato una Eda Pierre, che so, nei Due Foscari? O una Margareth Price in Aroldo? Nessuno: spazio alle Ricciarelli e Caballé!
O un Ochman in Masnadieri? Un Wimbergh in Ernani? Nessuno: spazio ai Bonisolli e ai Dominghi.
O un Allen in Carlo di VArgas? un Hagegard in Conte di Luna! Un Hinninen in Macbeth? Guai! Spazio ai Cappuccilli e ai Bruson.

Quello che voglio dire è che negli anni della crisi non c'era spazio per le sfide (a differenza di ciò che avveniva nel quindicennio felice posteriore alla seconda guerra o come avviene oggi). Fra il 65 e l'85 si prendevano solo le strade più semplici, prevedibili, rassicuranti.
Se si interpellavano ossessivamente i Dominghi e le Caballé, i Bruson e le Freni non era solo per i contratti firmati, ma anche perchè il pubblico era già abituato a loro: non avrebbe dovuto fare lo sforzo di porsi di fronte a suoni nuovi e inattesi.
Ed è questo il segno più grave e riconoscibile della Crisi.

Fatte tutte queste premesse, si può sottolineare che:
- a parte tutto, la scelta della Freni in tanti ruoli che la tradizione affidava a volumi vocali più importanti fu un atto sintomatico della volontà di Karajan non tanto di ricorrere ai bei suoni, quanto di "umanizzare" certi personaggi e insistere - come dicevo altrove - sui primi piani, abbattere la retorica e il magniloquio della tradizione.
Già Traviata e Butterfly erano operazioni audaci; ma semplicemente rivoluzionario fu interpellarla in Desdemona, Elisabetta, Aida.
Noi oggi consideriamo normale sentire la Freni in questi personaggi, dato che poi - specie i primi due - sono diventati i suoi biglietti da visita; ma all'epoca la cosa creò vasto sconcerto: era pur sempre una Susanna, una Nannetta, una Despina che Karajan promuoveva ai grandi personaggi Stolz; era un passo inaudito.

- sullo stesso tracciato va intesa l'audacia di scritturare una Ricciarelli per Tosca e Turandot. Anche in questo caso i risultati sono stati pessimi (perché già del 1980 la Ricciarelli si era miseramente frantumata la voce e la personalità è sempre stata insignificante e modestissima) e tuttavia l'operazione era ancora una volta arrischiata, sintomatica di un progetto che non seguiva i sentieri battuti e cercava nuove verità.

- Idem per l'idea di chiamare in Amneris, Eboli, Carmen (per non parlare di Erodiade e Donna Elvira) un giovane mezzosoprano greco - per altro dalla voce chiara, sopranile, non grande e forgiata nel repertorio rossiniano - come la Baltsa.
Ancora una volta, non dobbiamo fermarci ai risultati - non tutte le ciambelle Baltsa sono riuscite col buco; piuttosto dovremmo interrogarci ancora sulle ragioni di una scelta tanto audace e coraggiosa e infatti discussa e contrastata.
Non mi verrai a dire, spero, che Karajan diede tanta fiducia alla Baltsa, e in ruoli solitamente affidati alle trombe marine come la Cossotto e la Obrastzova, perché era ossessionato dal "bel suono"? La Baltsa tutto era fuorché una cantante da "bei suoni".

- sulla stessa linea di liricizzazione estrema, di umanizzazione scopertamente anti-retorica, vanno intese le collaborazioni con la Janowitz e soprattutto con la Hendrics. Il canto di quest'ultima era, lo sappiamo tutti, fragilissimo, vetroso e monocromo, ma talmente spoglio e sussurrante da incarnare perfettamente l'ottica con cui Karajan intendeva ripensare il repertorio popolare.
Ma certamente anche nel caso della Hendrics in Nannetta, Micaela e Liù, Karajan non si preoccupò certamente del "bel suono"!
Anzi, se dovessimo valutare la Hendrics solo sulla bellezza del suono, potremmo considerarla la peggiore Nannetta, Micaela e Liù della discografia.
Le ragioni della scelta di Karajan (quali che siano stati gli effettivi risultati) si spiegano ancora una volta con la volontà di togliere ai personaggi del grande repertorio la maschera di pienezza e piacevolezza sonora (nonché austerità psicologica) imposte loro dalla tradizione: insomma, farli scendere dal piedistallo.

Anche chiamare Bergonzi nei grandi ruoli veristi era una scelta "sonora" (perché violava la tradizione del declamato iperdrammatico) ma non va confusa con l'ossessione del "bel suono" (rispetto al quale Bergonzi non era affatto un'autorità).
E sono forse esponenti di "bel suono" la Kabaywanska (Pagliacci, Trovatore, Falstaff) o la Barstow (Tosca, Ballo in Maschera)?
E Taddei? Era il bel suono ad aver convinto karajan ad affidargli Scarpia e Falstaff?
Non parliamo di Vickers, ossessivamente scritturato da Karajan e non solo in Florestan, Siegmund e Tristan, ma anche in Otello.
Era forse il tenore canadese un rappresentante del suono bello a tutti costi? Era per edonismo che Karajan ricorreva a lui?

Anche io, Triboulet, sono d'accordo che la maggior parte delle scelte di casting di Karajan nel repertorio di tradizione siano state alla fine inefficaci o discutibili, ma non superficiali e tanto meno edonistiche.
Il loro limite era dovuto all'erronea convinzione che il solo fatto di disporre di una voce più lirica e sfumata fosse sufficiente a suggerire nuovi spaccati psicologici di un personaggio.
I nuovi spaccati non si aprono con i suoni, ma con la personalità che li governa.
In questo Karajan sbagliò: è come un regista che si fidi della foto di un attore per scritturarlo, come se una "faccia così e così" sia in grado di assicurare l'efficacia di un'interpretazione.
E tuttavia se c'è una cosa che Karajan non fece era di inseguire l'edonismo, le belle voci a tutti i costi. E in anni in cui si era ossessionati dai Pavarotti, dalle Caballé e dalle Cossotto, fare scelte di casting che prescindessero dalla bellezza timbrica e dalle abitudini del pubblico, per inseguire un progetto di umanizzazione del repertorio, era già un'operazione coraggiosissima, anche solo potenzialmente vincente e sulla quale non è possibile alzare le spalle.
Possiamo anche non amare la Desdemona e l'Elisabetta della Freni con Karajan, ma probabilmente senza di loro saremmo ancora fermi alle Elisabette e Desdemone morigerate, fastose e mature, tutte legatoni e pose alla Yvonne Samoson, in stile Antonietta Stella.

Attendo le tue repliche.
Salutoni,
mat
Avatar utente
MatMarazzi
 
Messaggi: 3182
Iscritto il: gio 05 apr 2007, 12:34
Località: Ferrara

Re: Herbert von Karajan

Messaggioda Triboulet » dom 29 ago 2010, 12:39

Nel frattempo, siccome prima andavo di fretta, avevo aggiunto cose al mio intervento precedente, ma la tua risposta è stata troppo celere!
La situazione mi è più chiara... il discorso bel suono era una ipotesi che io stesso non riuscivo sempre a rendere credibile (tutte le eccezioni che hai fatto tu e che avevo fatto anche io, in alcuni casi).
L'Otello non l'avevo inserito perchè mi sembra l'unica opera italiana o francese (insieme a Pelleas e Melisande) in cui Karajan azzecca tutto.
Per dire che la sua visione poteva funzionare eccome se ci mettevi dentro gli interpreti giusti (e cavolo quante buone idee che hai sparato nel tuo intervento! alcune così buone che neanche li conosco :lol: ) e quando c'era sotto la musica giusta!
Però Otello nell'opera italiana è molto un caso a sè (e se vogliamo anche Vickers in Otello non era una novità).

Non ho poi molto da aggiungere. Le sue scelte erano spesso controcorrente, e questo l'abbiamo assodato, e anche tu convieni che questo non bastava a renderle efficaci, e questo è il parere che volevo raccogliere (cominciavo a sentirmi un pazzo eretico); è la loro strana incoerenza che non mi ha mai convinto (alle volte scelte arditissime altre scelte convenzionalissime), che tu giustifichi col discorso "crisi" che indubbiamente può essere una valida spiegazione. Era fondamentalmente di questo che volevo conferma:

MatMarazzi ha scritto: Karajan pensava che un certo tipo di suono e di canto potesse da solo rappresentare una rivoluzione. Non capì (ma all'epoca pochi lo capivano! Nemmeno Celletti lo capì mai) che il suono è solo uno strumento, non è nè teatro, nè musica.


Ecco forse io sbagliavo a parlare di bellezza del suono (la Hendricks è veramente terribile in tutti i sensi per me), e a ridurre tutto a quello (che poi non ci riuscivo e mi sorgevano tutti quei dubbi), ma volevo arrivare alla conferma che Karajan fosse concentrato su una ricerca strumentale piuttosto che drammaturgica, e faceva le sue scelte in base a questo principio.
Siccome io sposo la visione esattamente opposta, ovvero secondo me un interprete deve essere prima teatralmente adatto al ruolo e poi viene tutto il resto, e quindi una direzione deve puntare prima ad esaltare lo sviluppo drammaturgico e poi le atmosfere sonore, a me quei risultati sembrano appiccicosi (Maugham si è scandalizzato un po' : Chessygrin :), perchè ci vedo addirittura un passo indietro nella storia interpretativa. La sua rivoluzione ai miei occhi appare involuzione, tutto quì, non volevo distruggere il mito di nessuno : King :

Mi chiedo poi perchè usare così poco Vickers (cosa avrebbe combinato in Don Carlo!!), la Kabaiwanska (di intelligenza superiore alle varie Hendricks, Janowitz, Tomowa-Sintow, Ricciarelli) o Van Dam, che pure gravitavano nella sua sfera.
Avatar utente
Triboulet
 
Messaggi: 370
Iscritto il: sab 05 dic 2009, 12:01

Re: Herbert von Karajan

Messaggioda Luca » dom 29 ago 2010, 16:18

Alcuni punti dell’intervento di Matteo mi inducono ad ulteriori riflessioni che voglio condividere con voi. Scusate la pedanteria con le quali le elenco servendomi di una numerazione di frasi più interessanti, almeno per me:

1) E così Karajan pensava che il fatto stesso di chiamare una Freni in Aida e una Ricciarelli in Tosca fosse già una rivoluzione, mentre si trattava solo di un abbozzo, perché l'una e l'altra mancavano dell'adeguata personalità per i rispettivi ruoli, specie nella nuova ottica che Karajan sognava di imporre.
======

C’è da osservare che l’esperimento Freni in Aida attuato da Karajan, tutto sommato era forse più digeribile ai melomani (avevamo avuto nell'edizione '59 la Tebaldi di cui la Freni presenta non poche analogie vocali), mentre quello di Ricciarelli Tosca e addirittura Turandot restava più ostico, almeno ad un primo impatto. Inoltre credo che il clou della Ricciarelli nell’epoca Karajan (e quindi di certo suo crollo vocale) sia rappresentato non soltanto da Turandot, ma anche da Aida (in particolare) e Elisabetta di Valois incise con Abbado. Da notare che in quest'ultimo ruolo persino con Prêtre, negli anni della sua giovinezza vocale, la Ricciarelli aveva qualche difficoltà non piccola. Esiste l’incisione e ho fatto osservare queste cose. Quindi l’esperimento ha avuto l’inizio in Karajan e la sua continuazione in Abbado per quanto riguarda la Ricciarelli.

2) L'onnipresenza discografica e teatrale di gente come Domingo, Carreras, Pavarotti o come Ricciarelli, Caballé, Freni o come Ghiaurov, Raimondi o ancora Bruson, Cappuccilli non può certo essere ascritta solo a Karajan.

3) Quale casa discografica o teatro internazionale (a parte la Staatsoper di Monaco) avrebbe chiamato allora una Julia Varady in Nabucco? La sua Abigaille, sicuramente la migliore da svariati decenni in qua, doveva cedere spazio alle ben più dozzinali (almeno in questo ruolo) Dimitrova e Zampieri! Ci vollero gli anni '90, superata la crisi, perché la chiamassero a Parigi e pubblicassero il live del suo Nabucco...Chi avrebbe chiamato una Eda Pierre, che so, nei Due Foscari? O una Margareth Price in Aroldo? Nessuno: spazio alle Ricciarelli e Caballé! O un Ochman in Masnadieri? Un Wimbergh in Ernani? Nessuno: spazio ai Bonisolli e ai Dominghi. O un Allen in Carlo di Vargas? un Hagegard in Conte di Luna! Un Hinninen in Macbeth? Guai! Spazio ai Cappuccilli e ai Bruson.
======
Questi giustissimi aspetti sono stati messi in rilievo, anche in modo molto polemico, persino da Celletti nel suo arcinoto volume che ha fatto epoca e nel quale il critico romano, ad esempio, loda la Desdemona di M. Price come loderà poi la Tosca di K. Te Kanawa, anche se poi non amava neppure gran parte dei cantanti menzionati da Matteo (Winberg, Hinnynen, etc.).

4) - sullo stesso tracciato va intesa l'audacia di scritturare una Ricciarelli per Tosca e Turandot. Anche in questo caso i risultati sono stati pessimi (perché già del 1980 la Ricciarelli si era miseramente frantumata la voce e la personalità è sempre stata insignificante e modestissima) e tuttavia l'operazione era ancora una volta arrischiata, sintomatica di un progetto che non seguiva i sentieri battuti e cercava nuove verità.
======
L’unica verità a mio avviso era il … mal d’orecchi a sentire una Toschina (Tosca bambina) e una Turandot senza nerbo. E giustamente la critica ha lanciato strali. Restando a Turandot (che è il 'caso discografico' che mi appassiona maggiormente), perché Karajan dopo il rifiuto della Freni ed onnipotente qual'era non ha pensato ad una cantante in piena virata verso ruoli drammatici (Abigaille, Lady, Medea, Norma, Gioconda, oltre che Fedora e Tosca) come R. Scotto, cantante che non ha "personalità insignificante e modestissima" ?

5) Ma certamente anche nel caso della Hendrics in Nannetta, Micaela e Liù, Karajan non si preoccupò certamente del "bel suono"! Anzi, se dovessimo valutare la Hendrics solo sulla bellezza del suono, potremmo considerarla la peggiore Nannetta, Micaela e Liù della discografia. Le ragioni della scelta di Karajan (quali che siano stati gli effettivi risultati) si spiegano ancora una volta con la volontà di togliere ai personaggi del grande repertorio la maschera di pienezza e piacevolezza sonora (nonché austerità psicologica) imposte loro dalla tradizione: insomma, farli scendere dal piedistallo.
======
Ma esimio musicista quale era, Karajan non ascoltava i cantanti? Quale piedistallo ci poteva essere per personaggi tutto sommato ‘gentili’ e lineari come Micaela, Liù e Nannetta? Nella fattispecie, poi la Hendricks non ha inciso Micaela!

6) Possiamo anche non amare la Desdemona e l'Elisabetta della Freni con Karajan, ma probabilmente senza di loro saremmo ancora fermi alle Elisabette e Desdemone morigerate, fastose e mature, tutte legatoni e pose alla Yvonne Samson, in stile Antonietta Stella.
======
I legatoni (è una parola simpatica) che mi fanno venire in mente i rigatoni (la pasta romana!), e il paragone con la Stella ci sta veramente bene, anche se non capisco cosa ci sia di sfarzoso nella voce di questa cantante! Basta sentire le 2 edizioni (mica una sola, che bastava!) del Don Carlo incise e dirette da Santini.

Attendo qualche riscontro (in primis da Matteo).
Saluti, Luca.
Luca
 
Messaggi: 1184
Iscritto il: ven 06 apr 2007, 0:25
Località: Roma

Re: Herbert von Karajan

Messaggioda MatMarazzi » lun 30 ago 2010, 13:37

Triboulet ha scritto:Ecco forse io sbagliavo a parlare di bellezza del suono (la Hendricks è veramente terribile in tutti i sensi per me), e a ridurre tutto a quello (che poi non ci riuscivo e mi sorgevano tutti quei dubbi), ma volevo arrivare alla conferma che Karajan fosse concentrato su una ricerca strumentale piuttosto che drammaturgica, e faceva le sue scelte in base a questo principio.


Be' ecco... io non dicevo proprio questo.
Secondo me la ricerca drammaturgica è sempre stata la sua ossessione, altrimenti non avrebbe avuto bisogno di ricorrere a voci così particolari. Diciamo che ...sbagliava gli strumenti! :) Ossia pensava di poter scegliere i cantanti in base alle caratteristiche vocali invece che sulla personalità. E' un po' lo stesso errore che commetteva e commette Muti, solo che quest'ultimo non ha un'oncia del senso teatrale che aveva Karajan.
Comunque ogni opinione è lecita e rispettabile.

Mi chiedo poi perchè usare così poco Vickers (cosa avrebbe combinato in Don Carlo!!), la Kabaiwanska (di intelligenza superiore alle varie Hendricks, Janowitz, Tomowa-Sintow, Ricciarelli) o Van Dam, che pure gravitavano nella sua sfera.


Vickers in fondo non è stato usato tanto poco, anche perché Karajan lo scoprì quando il tenore era già in uno stadio piuttosto avanzato della carriera.
A quel punto non sarebbe stato possibile scritturarlo in Don Carlo, ruolo che d'altronde Vickers aveva già abbandonato negli anni '60. Otello era l'unico personaggio verdiano in cui, drammaturgicamente, l'età matura del tenore non era un problema. E non di meno... non credere. Sono stati tantissimi allora a trovare inascoltabile l'Otello di Vickers.
Quanto alla Kabaywanska, il suo repertorio e la sua carriera erano troppo distanti dall'estetica del maestro. In fondo è già notevolissimo che siano riusciti a realizzare tre straordinarie collaborazioni.
Infine non dobbiamo dimenticare che eravamo, come dicevo, negli anni della crisi. Troppe stranezze non sarebbero state tollerate. Già le stranezze che Karajan riuscì a realizzare suscitarono (e suscitano) vespai clamorosi.
Chi ha vissuto quegli anni ti può confermare che le cose non erano facili come oggi. Proprio perché il genere era in crisi, a corto di soldi, a corto di pubblico, la paura di rischiare era davvero ossessionante. Una delle poche strade per tenere viva l'opera era quella di costruire (ovviamente a tavolino) miti mediatici e imporli. A noi oggi i Pavarotti e i Domingo, le Cossotto e le Freni (non parliamo di Ricciarelli o Carreras) fanno un po' alzare il sopracciglio... "ma come? tutto qui?". Ma all'epoca i loro "miti" artefatti e costruiti a tavolino da agenti e case discografiche furono un efficace argine contro la completa dissoluzione del genere.

Venendo alle brillanti considerazioni di Luca

Questi giustissimi aspetti sono stati messi in rilievo, anche in modo molto polemico, persino da Celletti nel suo arcinoto volume che ha fatto epoca e nel quale il critico romano, ad esempio, loda la Desdemona di M. Price come loderà poi la Tosca di K. Te Kanawa, anche se poi non amava neppure gran parte dei cantanti menzionati da Matteo (Winberg, Hinnynen, etc.).


Mi spiace Luca ma su questo non sono d'accordo. Lasciamo a Celletti le sue belle responsabilità nel provincialismo e nell'ottusità che dilagarono negli anni della crisi e che tuttora sopravvivano in Italia (mentre altrove la crisi è stata superata da più di vent'anni).
Celletti fu una bella, limpida, travolgente voce critica negli anni dello splendore operistico mondiale (45-65). Lì avanzò nuovi punti di vista, nuove prospettive critiche, stimolanti riletture. Contribuì (almeno in Italia) a far sentire la necessità di recuperare - almeno nel repertorio scritto per lei - la vecchia scuola vocalista (in quegli anni molto ridimensionata, tranne eccezioni clamorose come quella della Callas, a tutto vantaggio delle famiglie declamatorie e coloristiche). Colse al volo le novità rappresentate dalle nascenti tendenze interpretative, spesso sgradite in Italia (non solo Karajan, ma anche la Sutherland).
Ciò che Celletti fece entro la metà degli anni '60 è fondamentale.
Purtroppo il suo astro si offuscò negli anni successivi (65-85), ossia quelli della crisi dell'Opera.
Ognuno reagisce in modo diverso ai momenti di crisi: Celletti reagì chiudendosi a riccio in un dogmatismo patetico e pontificante, perse ogni ritegno nel trasformare in verbo i propri gusti, assunse quel suo tipico stile volgare e insultante che ancora oggi fa scuola (scambiato per dirittura inflessibile), si improvvisà con esiti catastrofici direttore artistico e maestro di canto (col risultato di distruggere ogni cantante si rivolse a lui), cadde in frequentissime contraddizioni, cominciò a esibire due pesi e due visure, divenne baluardo del passatismo più geriatrico, rimase ai margini dei grandi fenomeni interpretativi che accadevano sulla sua testa (persino il recupero del Rossini serio, che lui per primo aveva invocato e argomentato, fu alla fine realizzato prescindendo completamente da lui) e infine sia come critico, sia come storico perse smalto e credibilità.
Purtroppo questo Celletti "della crisi" è quello più conosciuto: è anche per le sue farneticazioni che - superata la crisi operistica nel resto del mondo - l'Italia restava indietro, nella periferia delle periferie. Se il pubblico italiano è diventato così fiero della propria ignoranza, è perché il Celletti della crisi gli ha insegnato che si poteva spacciare l'ignoranza per superiore conoscenza (col semplice e vecchio giochetto di far passare ogni evoluzione linguistica per "mancanza di scuola").
Nel resto del mondo si facevano avanti le nuove tendenze interpretative: i grandi registi aprivano nuovi orizzonti, il barocco rifioriva - fra entusiasmi impensabili del pubblico - grazie alle nuove sperimentazioni vocali e strumentali, autori novecenteschi un tempo considerati d'élite (Janacek, Prokof'ev, Britten) conquistavano il grande pubblico grazie alla forza dei nuovi interpreti, si superavano le barriere di scuola per cui gli stessi teatri accoglievano - con eguali trionfi - coloristi, declamatori e vocalisti, finalmente apprezzando la ricchezza che la convivenza di scuole diverse assicurava...
Tutto questo in Italia ci è stato precluso.
Sull'onda delle farneticazioni sclerotiche di Celletti, i nostri "intenditori" operistici hanno continuato nel facile gioco di rifiutare a priori qualsiasi cosa il mondo proponesse. Abbasso i registi! Abbasso i barocchisti! Abbasso il repertorio novecentesco! Abbasso i cantanti che non siano vocalisti (e spesso abbasso anche quelli, se hanno firmato contratti con case discografiche e trionfano nei teatri "della perdizione"... che, per chi non lo sapesse, sono quelli che hanno ricominciato a raccogliere centinaia di migliaia di presenze ogni anno, come i teatri di Parigi, di Londra, di Monaco, di Vienna, di Amsterdam e di Zurigo e dove, alla faccia del povero Celletti, l'Opera ha ricominciato a vivere).

Ma esimio musicista quale era, Karajan non ascoltava i cantanti? Quale piedistallo ci poteva essere per personaggi tutto sommato ‘gentili’ e lineari come Micaela, Liù e Nannetta? Nella fattispecie, poi la Hendricks non ha inciso Micaela!


Sì, hai ragione. La Micaela di Karajan era la Ricciarelli.
Quanto al "piedistallo" può benissimo esserci anche in personaggi "gentili", almeno nell'accezione che abbiamo dato noi.
Piedistallo è semplicemente un complesso di strumenti espressivi "esteriori" e goffamente sublimanti.
Il 90 % delle Micaele discografiche non evocano affatto una ragazza di paese, una giovane donna di campagna che lotta per il suo uomo e per i suoi valori, ma un esserino sospiroso e treccioso che pontifica con aria innocente dall'alto del suo piedistallo.

I legatoni (è una parola simpatica) che mi fanno venire in mente i rigatoni (la pasta romana!), e il paragone con la Stella ci sta veramente bene, anche se non capisco cosa ci sia di sfarzoso nella voce di questa cantante! Basta sentire le 2 edizioni (mica una sola, che bastava!) del Don Carlo incise e dirette da Santini.


be' dai Luca! :) La voce della Stella era sfarzosa! Poi anche a me non fa impazzire e tuttavia il velluto, la pienezza timbrica, l'intensità del legato c'erano.
Sentila nell'Aroldo, con Protti (piuttosto scadente) ma diretta meravigliosamente da Serafin.


Salutoni,
Matteo
Avatar utente
MatMarazzi
 
Messaggi: 3182
Iscritto il: gio 05 apr 2007, 12:34
Località: Ferrara

Re: Herbert von Karajan

Messaggioda Luca » lun 30 ago 2010, 16:21

Anche qui replico in più punti a Matteo:

a) La Stella proprio non mi è simpatica: ha una gran daffare ad infervorarsi, ma le manca la scintilla della mattatrice ed il carisma di altre sue colleghe coeve e posteriori. Inoltre si è lasciata tentare da cose più grandi di lei (Linda di Chamounix e Norma, p. es.). La stavo ascoltando come Amelia del Ballo in maschera (ed. Gavazzeni con Poggi-Bastianini-Lazzarini-Tavolaccini) ma mi suona, nell'espressione, artefatta e falsa e vocalmente poco rifinita. Lo stesso dicasi del Don Carlo e di altre opere...

b) Celletti: effettivamente si è chiuso in un dogmatismo simile a quello elaborato in sede filosofica da Cartesio: tutto ciò che si inquadrava nell'ambito del Cogito passava a pieni voti, censurato e condannato tutto ciò che invece proveniva dal senso, dalla sperimentazione, dall'immaginazione e dalla fantasia...

c) Micaela: ne dai un ritratto piuttosto complesso ed è vero. Ci sono state troppe riduzioni alla fanciulletta sospirosa (penso al caso limite della L. Albanese!), mentre è una creatura molto pragmatica (sale sui dirupi per riprendersi il suo fidanzato). Mi chiedo: quale è, secondo te, la raffigurazione migliore nella discografia? A conti fatti la Freni con la sua schiettezza timbrica e i suoi modi popolani (ma non nel senso dispregiativo del termine), pur criticata quanto si vuole, ha dato molto (dall'edizione live di Palermo del '59 fino a quella in studio PHILIPS del 1989: 30 anni!) e questo a prescindere da Karajan (che nella II edizione ha schierato una pigolante Ricciarelli). Quale alternativa lungo questo cammino nella discografia? Le due Renate (Tebaldi prima e Scotto poi) sono assenti eppure avrebbero fatto un figurone, specie la seconda! Hanno lasciato qualche aria della protagonista, ma ... :evil: La Moffo ha preferito incidere una Carmen epidermica, eppure poteva essere una Micaela ottima. La Ricciarelli mah... mah... (anche in gioventù...)
Venendo ai tempi nostri: la Georghiu ha inciso entrambi i ruoli (Sinopoli prima e Plasson poi), ma non l'ho ascoltata.

Che pensi?
Saluti, Luca.

P.S.: E' chiaro che il discorso è aperto a tutti...
Luca
 
Messaggi: 1184
Iscritto il: ven 06 apr 2007, 0:25
Località: Roma

Re: Herbert von Karajan

Messaggioda Tucidide » mar 31 ago 2010, 23:19

MatMarazzi ha scritto:[L'onnipresenza discografica e teatrale di gente come Domingo, Carreras, Pavarotti o come Ricciarelli, Caballé, Freni o come Ghiaurov, Raimondi o ancora Bruson, Cappuccilli non può certo essere ascritta solo a Karajan.
A cercarli col lumicino, i grandi artisti c'erano anche i quegli anni - seppure molto meno che in altre fasi - ma, quasi sempre, erano degli outsider specie rispetto al grande repertorio verdiano e pucciniano: incidevano raramente, e ancor più raramente nel grande repertorio; inoltre restavano ai margini delle programmazioni teatrali più fastose, quelle di New York, Londra, Vienna, Milano che venivano sbandierate sulle riviste internazionali.

Come sempre, caro Mat, le tue considerazioni sono molto stimolanti e trancianti, ed invitano alla riflessione. Ma come talvolta succede, ho l'impressione che tu tenda ad estremizzare. :)
E' senz'altro vero che fra la seconda metà degli anni '60 e i primi anni '80 la stragrande maggioranza delle incisioni discografiche fu appannaggio di pochi artisti. Di questo, verissimo, non ci si può che rammaricare. Artisti di grande levatura, come alcuni (non tutti, secondo me) che citi, meritavano una considerazione maggiore rispetto a quella avuta, specialmente per un certo genere di repertorio. Però, non condivido due punti. Il primo è la demolizione di un certo tipo di fare opera, e conseguentemente degli artisti che l'hanno incarnato, seppure in modo diversissimo fra loro. Mi pare un po' superficiale mettere nello stesso calderone baritoni dissimilissimi come Bruson, teso in acuto, morbido nell'emissione, nobile e legatissimo, dalla voce non grande, e Cappuccilli, baritonaccio (in senso positivo) dalla voce gagliarda ed enorme, dall'emissione un po' rozza ma efficacissima ed esaltante in acuto. Oppure soprani diversissimi come la Freni e la Ricciarelli, o tenori come Domingo e Pavarotti, la cui unica caratteristica comune è stata la popolarità. Poi, mi pare tu sottintenda che costoro erano piccoli artisti, rispetto ad altri che, poverini, non erano tenuti in considerazione dai discografici brutti, sporchi e cattivi. E qui... Etti etti, sento odore di Celletti. :mrgreen:
E difatti, ecco il secondo punto: una frase come questa è presa pari pari dai deliri dello Zio...
MatMarazzi ha scritto:Una delle poche strade per tenere viva l'opera era quella di costruire (ovviamente a tavolino) miti mediatici e imporli. A noi oggi i Pavarotti e i Domingo, le Cossotto e le Freni (non parliamo di Ricciarelli o Carreras) fanno un po' alzare il sopracciglio... "ma come? tutto qui?". Ma all'epoca i loro "miti" artefatti e costruiti a tavolino da agenti e case discografiche furono un efficace argine contro la completa dissoluzione del genere.

Ci manca la taccia di "cioccolatai" e siamo a posto! : Cowboy :
In verità, il problema della discografia è sempre stato lo stesso, e se ne è già parlato.
Negli anni '70 gli onnipresenti erano Freni, Domingo, Pavarotti, Cappuccilli... insomma, quelli che hai detto tu. Ma nei tuoi amati anni '50 la situazione era la stessa, per il repertorio italiano. EMI: Callas, Di Stefano, Gobbi, Zaccaria, BArbieri, Panerai. DECCA: Tebaldi, Bergonzi, Simionato, Del Monaco, Bastianini, Siepi. RCA: Milanov, Moffo, Tucker, Bjoerling, Merrill, Flagello.
Sempre loro, per tutte le incisioni o quasi.
Un discografico non può più di tanto astrarsi da quella che è la realtà teatrale maggioritaria del suo periodo. Legge scritturava la Callas per le sue incisioni non perché era un genio (e Legge ERA un genio, sia chiaro), ma perché la Callas era una delle superdive del momento. Lo stesso avveniva alla DECCA per la Tebaldi. Negli anni '70 erano quelli i cantanti che cantavano con maggior insistenza quel repertorio. Lasciarli fuori dalle sale di registrazione, come tu avresti fatto, sarebbe stato illogico. Lo so che il tuo sogno proibito sarebbe stato vedere Winbergh :shock: onnipresente in tutte le grandi incisioni Decca, e Pavarotti relegato a fare il comprimario... :D Peccato che Pavarotti fosse una stella, e non perché ci fossero sinarchie occulte, la Bilderberg dell'Opera coalizzata a suo favore contro il povero Gosta.
Questo non toglie che si sarebbe dovuto osare di più. Certo! Le volte che qualcuno ha osato, spesso è venuto fuori qualcosa di bello. Per esempio, chi affidò Konstanze alla Eda Pierre nell'incisione Philips ha avuto naso: è una delle migliori Konstanze che si ricordino.
Adesso le cose si sono equilibrate. Di dischi, se ne incidono pochi, e quindi i divi delle multinazionali non hanno più la possibilità di incidere sei opere l'anno, scavando il fosso fra sé e gli altri. Si fanno molti DVD, che finalmente rappresentano la realtà teatrale e non dei (a volte bellissimi) falsi, come le due Tosche della Freni senza riscontro sul palcoscenico. Nei DVD, se massiccia è la presenza dei soliti divi, si hanno comunque moltissime produzioni con cantanti meno famosi, che hanno la possibilità di farsi apprezzare e di immortalare le loro prove artistiche. Se una come la Theodossiou ha al suo attivo due Norme in DVD, c'è davvero speranza per tutti! :D

Su Karajan: secondo me, la sua rivoluzione maggiore non è tanto nel repertorio italiano quanto in quello tedesco. Usare calibri vocali più ridotti per Dedemona e Tosca, per Aida ed Elisabetta non è stata un'idea di Karajan. In Wagner, invece, certe scelte di distribuzione sono semplicemente geniali, e davvero rivoluzionarie.
Nel repertorio italiano, poi, secondo me non aveva nemmeno un grande senso del teatro - e qui forse bestemmio. Ma quando sento, nel 1958, la Canzone del Velo mutilata della seconda parte, mi chiedo: va bene, i tagli si sono sempre fatti, OK, d'accordo. Ma che diamine... la Canzone del Velo racconta una storia! Se ne togli un pezzo, è priva di senso! Tanto valeva tagliarla tutta!
Il mondo dei melomani è talmente contorto che nemmeno Krafft-Ebing sarebbe riuscito a capirci qualcosa...
Avatar utente
Tucidide
 
Messaggi: 1699
Iscritto il: mar 02 ott 2007, 1:01
Località: Faenza

PrecedenteProssimo

Torna a DIRETTORI

Chi c’è in linea

Visitano il forum: Nessuno e 1 ospite

cron