Moderatori: DocFlipperino, DottorMalatesta, Maugham
DottorMalatesta ha scritto:Plaudo con entusiasmo all´iniziativa di Pietro. Prometto che nei prossimi giorni ne parlerò piú approfonditamente. Per ora però vi proporrei alcune considerazioni.
Come definire un “grande classico”? E, soprattutto, un “grande classico” deve per forza essere qualitativamente ai vertici? O deve necessariamente sembrare “attuale” nei contenuti?
A mio parere un “grande classico” è tale soprattutto perché segna un “prima” e un “dopo”, perché impone con forza una nuova direzione o perché cristallizza al meglio una ben precisa atmosfera culturale/estetica/sociale. Un grande classico può essere quindi paragonato ad un vettore di una nuova forza, una freccia che punta in una nuova direzione. Oppure ad un punto fermo, un´altitudine da cui contemplare una realtá compiuta e ben definita. Cosí, ad esempio, il Parsifal di Knappertsbusch e quello di Boulez sono entrambi “grandi classici”. Il primo perché cristallizza un preciso modo di eseguire ed interpretare quest´opera (ben determinato dal punto di vista storico, estetico, sociale, tecnico, filosofico etc.) , il secondo perché apre orizzonti nuovi e invita a percorrere sentieri inesplorati. In maniera simile non esiterei a indicare, ad esempio, il Tristan di Furtwaengler e quelli di Karajan (Bayreuth, dal vivo e l´incisone EMI) come “grandi classici”: il primo è un punto fermo, gli altri due potentissimi vettori di forza che spingono in direzioni diversissime, ma affascinanti. Ed egualmente “definitive”.
Ecco perché non mi sentirei di condividere in toto l´affermazione “ecco l´edizione probabilmente definitiva dell´opera” data da Pietro a questo Tristan di Vickers/Karajan. Questa è, a mio parere, l´edizione definitiva di un certo modo di intendere quest´opera (come illustrato benissimo da Pietro). Il che non significa, ipso facto, che sia l´edizione definitiva di quest´opera in senso assoluto.
Dal momento che l´opera, una volta terminata, sfugge anche al suo stesso creatore per diventare “cosa a sé” - oggetto che per vivere richiede l´”interpretazione” e la costante, continua “ri-creazione”- essa diventa portatrice di una “pluralitá” di significati, di molteplici possibilitá interpretative. Forse non esiste l´edizione definitiva di un´opera, ma esiste l´edizione definitiva (per ora, fino a quando, cioè, non ne verrá un´altra ancora più “definitiva”) di un certo modo (uno tra svariati altri) di intendere un´opera.
Complimenti a Pietro per la bella recensione sullo specifico della quale mi piacerebbe tornare nei prossimi giorni (così come sulle due interessanti recensioni proposte dall´amico Luca )!
DM
pbagnoli ha scritto:Per entrambi: classico è tutto ciò che - ragionevolmente - ci sembra esserlo.
Il concetto di Classico implica qualcosa - un insieme, o un singolo elemento - che fa sì che ci ricordiamo di quel determinato disco (poiché di questo stiamo parlando) ancora a distanza di anni.
Se andiamo a cercare le sole incisioni che cambiano drasticamente il corso delle interpretazioni, forse non arriviamo a 10...
michele cesareo ha scritto:L'Edizione di TOSCA DE SABATA/CALLAS/DI STEFANO/ GOBBI/ per me, ancora oggi, rimane "nihil melius ".
DocFlipperino ha scritto:non si corre il rischio che voci come quelle da te desiderate arrivino al IV atto completamente distrutte?
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